Molti
economisti liberali e persino radicali hanno ventilato la prospettiva
di una "doppia recessione". Con la frase "double-dip"
(doppio calo), si riferiscono a una ripetizione del drastico
rallentamento della crescita visto in quasi tutti i paesi del mondo
nel 2008-2009.
La
possibilità di una ripetizione, una contrazione violenta
dell'attività economica, incombe sull'economia globale mentre sta
ancora tentando di riprendersi - barcollando e vacillando - dallo
shock di tre anni fa.
Dal
momento che l'economia capitalistica deve ancora rimediare alle
contraddizioni profonde che hanno prodotto la crisi, la possibilità
di un altro forte calo non può essere esclusa.
Tuttavia,
è probabile che un esito ancora peggiore sia in agguato. Infatti, la
diagnosi economica è così terribile che una flessione drammatica
sarebbe gradita in alcuni ambienti come un allentamento delle enormi
pressioni che incidono sulle economie del mondo. Tale flessione,
distruggendo la ricchezza reale e quella nominale, consolidando i
mezzi produttivi, e tragicamente devastando il tenore di vita,
potrebbe concedere al capitalismo un po' di respiro e anche
costringere chi prende le decisioni politiche a ripensare la tabella
di marcia per andare avanti.
Chiaramente,
gli economisti e i politici hanno imparato poco o nulla dal dramma
2008-2009. Nonostante la tanto acclamata "morte" del
neo-liberismo celebrata nel momento peggiore della crisi da liberali
come Paul Krugman e Robert Reich, l'ideologia pre-crisi della
sovranità del mercato, del governo minimo e dei piccoli
aggiustamenti alla valuta, regna ancora sovrana. Ciò che i policy
makers hanno imparato è di incoraggiare le banche centrali ad
amministrare una trasfusione monetaria preventiva al primo segnale di
recessione.
Anche
se questo non ha ancora fermato l'emorragia, ha evitato che il
paziente morisse dissanguato.
Al
posto della temuta recessione "double dip", è possibile
che succederà qualcosa di peggiore: un rallentamento lacerante, una
stagnazione insostenibile, una specie di morte economica causata da
mille tagli [riferimento a un sistema di tortura dell'antica Cina;
l'espressione ha anche il significato di cambiamento negativo che
avviene lentamente per piccoli incrementi in modo da apparire normale
e accettabile, ndt].
Se
i cani da guardia economici sono stati colti di sorpresa nel 2008,
fiduciosi che il capitalismo avrebbe continuato a mostrare capacità
di recupero e di continua crescita, quelli che oggi dettano le
politiche economiche sono diffidenti nei confronti di un simile
"momento Lehman", in cui i mercati si bloccano, la fiducia
precipita e la paura tiene in pugno tutta l'attività
economica.
Così,
il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, resta vigile
sull'uscio, guardando intensamente intorno a sé per individuare
qualsiasi intruso economico, ma senza alcuna garanzia di avere armi
per respingerlo. Questa vigilanza è particolarmente acuta in un anno
di elezioni, quando nessuno zar economico vuole dare l'impressione di
poter influenzare il risultato delle elezioni.
La
mitologia popolare, molti economisti e troppi marxisti descrivono la
crisi economica solo come una grande onda d'urto che manda la vita
economica nel caos. Certamente il panico del 1929 ha radicato questa
immagine. Ma questa immagine è una caricatura del decennio della
Grande Depressione in cui il declino e accenni di ripresa debole e
parziale venivano interrotti dai preparativi della seconda guerra
mondiale.
La
crisi di oggi rispecchia tale evento in molti modi, ma presenta anche
delle sue caratteristiche uniche. Alcune delle differenze sono
particolarmente minacciose.
Segnali
di declino
Il
declino economico che ho identificato e previsto nel mio post di
gennaio, facendo il punto della situazione, non accenna a diminuire.
Il rallentamento della crescita del prodotto interno lordo
statunitense ha persistito per tutto il secondo trimestre [di
quest'anno]. La crescita nell'eurozona è persino diventata negativa,
in particolare nei paesi del Sud Europa. Il crollo della domanda in
quest'area critica ha rallentato l'intera economia mondiale, anche
nei paesi dei mercati emergenti che in passato erano in rapida
crescita: la Cina, il Brasile, l'India e la Russia. La prospettiva di
crescita economica globale è scarsa, la stagnazione probabile, una
ritirata altamente possibile.
Negli
Stati Uniti, gli indicatori chiave dal punto di vista capitalistico -
profitti e produttività - hanno vacillato nella prima metà del
2012. Il momento di crescita della produttività che è il risultato
della dura disciplina imposta dalla disoccupazione, dalla contrazione
dei salari e dei benefit e dalla intensificazione del lavoro nel
momento in cui la crisi ha raggiunto l'apice, ha prodotto un aumento
altrettanto significativo nei guadagni e nel margine di profitto
della classe capitalista.
Per
il capitalista, questo era un segnale di "recupero", anche
se lo era solo per i pezzi grossi. Oggi lo slancio generato da quella
intensificazione dello sfruttamento si è dissolto: i profitti e la
crescita della produttività stanno di nuovo rallentando. Il sistema
non può funzionare per i capitalisti se questi parametri non
dimostrano una crescita sana e, quindi, il declino sistemico diventa
nuovamente un problema per la classe capitalista.
Il
fronte europeo della crisi globale continua a deteriorarsi, ma ad un
ritmo più veloce. La crescita del PIL è negativa in quasi tutta
l'eurozona e i trafficanti del credito continuano la loro aggressione
contro i tassi di interesse delle obbligazioni, sia mettendo alla
stretta i debitori sovrani che pretendendo pagamenti di interessi
sempre più alti. Le economie nazionali più vulnerabili si trovano
in una crisi perversa "a forbice", tra la fuga dei loro
debiti e la necessità di stimolare la crescita economica.
La
Repubblica Popolare Cinese, la seconda economia più grande del
mondo, è stata colpita dal rallentamento dell'economia mondiale,
trascinando le sue prospettive di crescita verso il basso. Quasi
tutti gli indici economici della RPC sono inferiori a quelli dello
stesso periodo di un anno fa. Mentre il consumo interno è in
crescita, ma non al ritmo impressionante di un anno fa, né con lo
stesso equilibrio del 2011. Inoltre, il credito bancario inesigibile
è alto, i profitti del settore privato sono in calo e il credito ha
subito un rallentamento.
Anche
in altri mercati emergenti, in passato fiorenti, l'economia sta
rallentando.
Naturalmente
i freddi dati economici mascherano i costi umani della crisi
economica: letteralmente una morte causata dai tagli ripetuti. La
disoccupazione, la precarietà, la stagnazione e il declino dei
salari, i tagli dei benefici e gli aumenti dei prezzi, i pignoramenti
immobiliari, la perdita di copertura assistenza sanitaria e una
miriade di altri colpi stanno dissanguando tutti coloro che non hanno
ricchezza e potere.
Paralisi
Politica
In
primo luogo è stata la sfida del socialismo. L'isolamento dal
mercato capitalista e i successi del riallineamento agricolo,
l'industrializzazione e la pianificazione hanno consentito all'unico
stato socialista, l'Unione Sovietica, di rimanere immune alla crisi e
godere di una crescita e uno sviluppo senza precedenti nel XX
secolo.
In
particolare in Europa, l'appello del socialismo e l'attrazione dei
partiti comunisti sono aumentati notevolmente, soprattutto in paesi
politicamente instabili come l'Italia, la Germania e la Spagna.
In
risposta, il nazionalismo rabbioso, l'anticomunismo fanatico e uno
stato corporativista insieme, hanno creato una nuova forma di dominio
capitalista: il fascismo. La forza trainante dietro l'ascesa del
fascismo, suo principale obbiettivo, era la distruzione della
sinistra comunista; era in essenza un movimento controrivoluzionario.
La risposta del fascismo alla crisi economica è stata la
militarizzazione, la guerra, una mentalità collettiva tribale e lo
smantellamento del sistema parlamentare. E' sorto in un contesto
storico, un momento storico unico nel suo genere.
Anche
se raramente riconosciuto negli studi accademici, il fascismo ha
messo profonde radici in altri paesi con importanti movimenti di
sinistra che coinvolgevano la classe operaia e i contadini, paesi
come la Polonia, la Romania, la Finlandia e l'Ungheria. Altrettanto
trascurato dagli storici è la caratteristica essenziale
dell'anticomunismo, la caratteristica che genera e anima il fascismo
ovunque esso riappare.
Molti
indicano il New Deal statunitense come una terza via e una risposta
meno radicale al comunismo, un moderato e modesto programma
socialdemocratico che era iniziato come un approccio quasi
corporativista (la National Recovery Administration) e si è
trasformato in un progetto di assistenza e di creazione di posti di
lavoro spinto dal settore pubblico. Il fatto che abbia portato
sollievo a milioni di persone che altrimenti avrebbero sofferto
inutilmente è indiscutibile. Che non abbia "risolto" la
crisi del capitalismo è altrettanto indiscutibile. Come accadde per
il governo del Partito Conservatore britannico dell'epoca, l'economia
è andata avanti barcollando fino a che la guerra e le spese militari
non hanno definitivamente risolto la crisi economica.
Oggi
le élite che detengono il potere, i partiti politici e gli
opinionisti mediatici non hanno nessun approccio nuovo, nessun
programma nuovo per affrontare le sfide economiche sempre più
minacciose. Sono un misto di compiacimento imbarazzante e una quasi
religiosa devozione al dogma neoliberista. Anche coloro che
sostengono un modello provvisorio di crescita ed elementi di
assistenza per mezzo di uno stato sociale, sono molto lontane
dall'affrontare la gravità di questa crisi e le carenze sistemiche
che l'hanno creata.
Dai
fanatici e austeri fautori del mercato, come Paul Ryan e Angela
Merkel, ai loro omologhi più umani, flessibili e riformisti, come
Paul Krugman e Francois Hollande, tutti condividono la convinzione
che la proprietà privata e il mercato sono indispensabili per lo
sviluppo economico e la crescita.
Tutti
credono che abbiamo gli strumenti per portare l'economia globale ai
livelli raggiunti prima del 2007; l'unico elemento che li distingue è
quali strumenti adoperare. Anche la visione miticizzata del New Deal
e dello Stato timoniere, con un capitalismo dal volto umano, è oltre
l'immaginazione dei nostri leader contemporanei.
In
attesa delle elezioni di novembre negli Stati Uniti, i due partiti si
sforzano di aizzare le loro rispettive basi con prevedibili richiami
retorici. I democratici sperano di convincere l'elettorato che
l'economia è sulla via della ripresa o, se gli elettori non
crederanno a questa menzogna, sosterranno che è l'intransigenza
repubblicana che ostacola la ripresa. I repubblicani, invece,
vogliono far credere che è la spesa imprudente da parte del Partito
Democratico che costituisce un impedimento alla ripresa o, se gli
elettori non vi crederanno, affermeranno che ritornare al sistema
aureo rimetterà il capitalismo sui binari giusti!
Risponde
al campanello per la sinistra, la solita ciurma eterogenea che agita
lo spettro del fascismo e la bandiera del male minore. Non importa
l'assenza di una minaccia comunista che stimoli il fascismo; non
importa che il male minore della scorsa stagione si sia trasformato
nel male peggiore di questa stagione. Mentre nel corso di diversi
decenni, il centro si stia spostando inesorabilmente verso destra, la
sinistra istituzionale costituita da gruppi di esperti, riviste,
dalla burocrazia sindacale e dalle ONG, conosce una sola risposta:
votare per i democratici!
In
Francia, i cittadini stanno vivendo un momento di déjà vu: François
Hollande è Barack Obama con un accento francese, promettendo un
cambiamento e già seminando delusione. I suoi consiglieri economici
incessantemente ricordano all'elettorato la crisi del disavanzo,
presagio di nuove delusioni in futuro.
Solo
in Grecia c'è una "minaccia" comunista e solo in Grecia
c'è davvero una minaccia fascista incarnata nel movimento Alba
dorata. I comunisti greci - il KKE - ha presentato un programma
rivoluzionario per la rinascita della Grecia, un programma che è
sostenuto da un partito di massa ed è unico in Europa. La sinistra
"ABC" (Anything But Communism, ossia tutto tranne il
comunismo) è rappresentata in Grecia da SYRIZA, una alternativa
popolare che offre l'illusione di una militanza senza alcun
sacrificio rivoluzionario.
L'attuale
leadership della Cina Popolare sembra decisa a smantellare alcune
delle garanzie socialiste che proteggevano il paese dalla grave
recessione del 2008-2009. Da un lato, si invita un rischio maggiore,
riducendo il semi-monopolio dello stato nel settore bancario. D'altra
parte, contano soprattutto sulla manipolazione del mercato del
credito, piuttosto che su una pianificazione prudente e equilibrata
per stimolare la crescita.
Di
conseguenza, c'è disordine in iniziative di investimento: progetti
non finiti, sprechi, duplicazioni, ecc. Mentre vi è stato uno
spostamento deciso verso la crescita dei consumi interni, il tasso di
crescita è rallentato notevolmente dopo l'inizio dell'anno. Il
recente e palese colpo simbolico alla sinistra del Partito, lascia
molte preoccupazioni su quale strada intraprenderà la Repubblica
Popolare Cinese e la capacità della Cina di far ripartire l'economia
globale.
In
breve, le élite al potere in tutto il mondo offrono solo soluzioni
stantie e già screditate. Rimangono intrappolate nel pensiero
economico che ha dominato il periodo prima della crisi. Né l'audacia
né lo spirito di sperimentazione che ha caratterizzato
l'amministrazione Roosevelt è ancora emerso, un livello di risposta
che potrebbe almeno attenuare il costo umano del declino
economico.
Anche
la minaccia che potremmo cadere da una "scogliera fiscale",
ventilata dal presidente della Federal Reserve e dall'Ufficio per il
Bilancio del Congresso statunitense non porta nuove idee o a un
ripensamento.
Alcuni
vedono questo comportamento come irrazionale da parte dei governanti,
ma non riescono a capire che negli ultimi anni le élite hanno
sofferto poco: i profitti sono rimbalzati significativamente dopo
2008-2009. E le élite hanno tutte le ragioni di credere, nonostante
l'attuale allarme rispetto agli utili, che possono continuare a
rattoppare i meccanismi per ottenere profitti e andare avanti grazie
alla propensione delle vittime della crisi di lasciarsi
sacrificare.
Forse
hanno ragione, ma le masse stanno andando verso una lenta agonia per
dissanguamento causato dai tagli; la stragrande maggioranza, come ha
fatto nel corso degli ultimi quattro anni, pagherà un prezzo enorme
per garantire la salute e la redditività del capitalismo
monopolistico.
La
crisi non accenna a diminuire. L'unica domanda è: chi pagherà per
la distruzione che lascerà dietro di sé? Le classi dirigenti
esigono che i lavoratori - le masse - paghino per consentire al
capitalismo di diventare di nuovo sano e in grado di generare
profitti. Non hanno bisogno di nuove idee o nuovi programmi per
raggiungere tale risultato.
Ma
noi, gli altri, abbiamo un disperato bisogno di idee che ci
permettano di uscire dalla crisi e dalla tirannia del capitale
monopolistico.
Il
socialismo risponderebbe alla
chiamata.
Fonte: http://mltoday.com/subject-areas/commentary/death-by-a-thousand-cuts-1475.html
Traduzione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
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