FONTE:
COMIDAD
Pierluigi
Bersani manifesta apparentemente una visione chiara del nemico da
battere. Tutto ciò che lo contraria viene fatto rientrare nel
contenitore del "populismo", un'etichetta che gli consente
di accomunare fenomeni come Grillo, Di Pietro, Ingroia o il Buffone
di Arcore.
Nel
Bersani-Pensiero, "populismo" è quindi tutto ciò contro
cui è lecito, anzi doveroso, battersi. Angela Merkel sembra essere
venuta in suo soccorso, poiché poche settimane fa anche la
cancelliera tedesca aveva dato fiato ai timori di una possibile
vittoria elettorale dei populismi in Europa.
Questo
però prima di convertirsi anche lei al "tremontismo", cioè
all'espediente retorico di rifarsi una verginità grazie alla
denuncia generica dei mali del dominio della finanza, salvo poi
continuare ad obbedire, punto per punto, ai dettami del Fondo
Monetario Internazionale.
Potrebbe
darsi infatti che Bersani e la Merkel, in fatto di esecrazione del
populismo, abbiano avuto un ideologo in comune, in questo caso
proprio il FMI. La categoria "populismo" è infatti quella
che dagli anni '80 serve ad individuare e screditare tutte le
opposizioni alla politica del FMI in America Latina. Il populismo ha
come termini contrari "pragmatismo" o "modernità".
L'opposizione proposta in questi termini non è affatto simmetrica,
dato che non si capisce perché non possa esistere anche un populismo
moderno e pragmatico; ma il senso propagandistico di questa
opposizione di termini è invece evidente; vuole cioè suggerire che
una politica economica seria non può che basarsi su provvedimenti
impopolari. Almeno questo è ciò che ci assicurano gli ideologi del
FMI sul sito della stessa organizzazione. [1]
Si
comprende perciò il motivo per il quale Bersani ritiene lecito e
doveroso opporsi al populismo, visto che la condanna viene da tanta
autorità. E, visto che però una "opposizione" di bandiera
al berlusconismo bisognava comunque fingerla, allora, per poterselo
consentire, occorreva collocare pretestuosamente nel calderone del
"populismo" anche un'esperienza di governo che si è
distinta invece per assoluta obbedienza ai dettami del FMI. Del
resto, sebbene oggi l'Europa sia trattata esattamente come l'America
Latina degli anni '80 e '90, di importanti tentativi di opposizione
politica al FMI non ve ne sono stati; tranne il fuoco di paglia di
Orban in Ungheria, che però non ha trovato in Putin la sponda che
sperava, dato che il leader russo se ne è andato, anche lui, a
cercare il proprio spazio alla corte del FMI e del WTO. Intanto, in
Europa ed in Italia c'è chi crede veramente che il problema sia il
rigore deflazionistico della Germania, e magari aspetta e spera
soccorso da Obama o dallo stesso FMI.
Quando
Bersani è diventato segretario del Partito Democratico in molti
hanno tirato un sospiro di sollievo. Che al posto di un ideologo
fumoso e sradicato come Veltroni si insediasse un uomo legato agli
affari delle Coop rosse, delle Municipalizzate del Nord-Italia o
della Compagnia delle Opere, fu considerato persino un elemento
rassicurante, poiché finalmente si aveva a che fare con qualcuno
legato a interessi, magari loschi, ma comunque connessi al territorio
italiano. Questa speranza che l'affarismo locale potesse costituire
un contrappeso allo strapotere dell'affarismo delle multinazionali si
basava sul vecchio schema delle "borghesie nazionali"; uno
schema che però non tiene conto del fatto che il colonialismo
determina un vero e proprio "sequestro di coscienza" nei
confronti dei gruppi dirigenti locali.
Mettiamoci
nei panni del giovane Bersani nell'Italia degli anni '70, iscritto al
PCI mentre questo partito attuava la sua riconciliazione con
l'Occidente e con la NATO. Rampollo di un'umile famiglia di
lavoratori, Bersani si iscriveva alla Facoltà di Filosofia, e non
perché sia quella dove si studia meno, ma proprio per soddisfare la
sua insaziabile sete di verità. Gli eventi storici però cospiravano
per offrire luminosamente al giovane Bersani quella Verità che i
suoi studi universitari gli rendevano invece sfuggente.
Nel
1976 il governo italiano contraeva il suo primo debito col FMI. Con
una "lettera d'intenti" dell'allora ministro del Tesoro,
Stammati, l'Italia chiedeva un prestito di durata determinata al FMI,
ovviamente offrendo le consuete "garanzie comportamentali",
cioè tagli alla spesa sociale ed ai salari. Il prestito aveva
un'entità di poco più di cinquecento milioni di dollari, cioè una
cifra non molto rilevante per il bilancio di uno Stato come l'Italia.
[2]
Ma
quel debito dell'Italia nei confronti del FMI assumeva un enorme
significato politico nel momento in cui il PCI reggeva il governo in
parlamento attraverso la propria astensione. In pratica si richiedeva
al PCI di aderire non solo alla NATO, ma anche alle dottrine del
braccio finanziario della stessa NATO, cioè il FMI.
A
riprova di questa "conversione" del PCI, sta di fatto che
non soltanto i media ufficiali, ma anche la stampa di sinistra -
comprese alcune riviste rivoluzionarie - cominciarono ad attribuire
la causa della crisi economica agli aumenti salariali e alla crescita
della spesa sociale (definita allora anche come "salario
sociale"). Immaginiamoci dunque il giovane Bersani immerso
nell'avida lettura de "l'Unità", de "La Repubblica"
(un quotidiano allora appena fondato) o de "l'Espresso".
Immaginiamocelo anche seguire disciplinatamente i corsi alla
scuola-quadri del PCI, e nutrirsi avidamente di quelle nuove e
ispirate verità. Per Bersani fu una rivelazione, un nuovo Vangelo:
"Beati i poveri perché sarà sempre colpa loro".
Bersani
era anche allora un coerente uomo di sinistra, sempre dalla parte dei
più deboli e, grazie a quelle geniali dottrine, scoprì che l'unico
modo di stare veramente dalla parte dei più deboli è quello di
mettersi sempre contro di loro. Infatti gli ideologi del FMI ci
spiegano che i poveri vorrebbero più salario e più tutele, ma
questo è populismo, che crea inflazione e calo della produttività,
quindi più povertà. Per combattere la povertà bisogna invece
combattere i poveri e tutelare i ricchi, cioè costringere i poveri a
fare l'elemosina ai ricchi. Qualsiasi mediazione sociale e
territoriale viene quindi liquidata come obsoleta, ed ogni questione
viene letta esclusivamente nell'ottica di un classismo
feroce.
Bersani
apprese egregiamente quella lezione, la fece sua. Capì che bisogna
avere la spregiudicatezza e il coraggio di sfidare il principio di
non-contraddizione, che è roba da populisti. Tra le sue varie
esperienze di governo, Bersani è stato anche ministro dei Trasporti,
cosa che gli ha consentito di affrontare con particolare competenza
la questione TAV. Bersani ci ha spiegato che non conta nulla che la
Tratta ad Alta Velocità Torino-Lione si basi su un traffico sempre
più inconsistente, che lascia semi-inutilizzate le linee già
esistenti, poiché saranno le nuove linee ferroviarie a creare il
traffico, e non viceversa. Ma i soldi per l'Alta Velocità bisognava
trovarli da qualche parte, perciò occorreva tagliare laddove il
traffico invece c'era, come nelle linee regionali o nei vagoni-letto.
Le conseguenze di questa minore mobilità di persone e di merci sono
stati un calo delle attività produttive ed anche un crollo dei
valori immobiliari. Hai creato tanta nuova povertà, quindi ricchezza
sicura. Pensa infatti a quante attività produttive e quanti immobili
possono essere rilevati dalle compagnie multinazionali a prezzi di
svendita. Ormai non sono più solo i lavoratori a impoverirsi, ma
anche i ceti medi. Anche in Val di Susa il grande buco nella montagna
sta determinando un crollo dei valori immobiliari, perciò i "tagli"
o le cosiddette "grandi opere" convergono nell'obiettivo di
aggredire e saccheggiare i territori.
Un
aspetto curioso della propaganda del FMI riguarda il tentativo di
porre tutta la propria politica sotto l'icona dell'economista
neoliberista Milton Friedman, come a voler lanciare un'esca ai
keynesiani, sfidandoli a singolar tenzone in una di quelle infinite
discussioni sulle teorie economiche. In realtà nessuna dottrina
economica è in grado di giustificare i precetti del FMI, che sono
invece spiegabilissimi in base al codice penale. Si tratta infatti di
banali pratiche di sabotaggio e di aggiotaggio per svalutare i
territori, i beni pubblici e i piccoli patrimoni privati per
consentirne più facilmente il saccheggio da parte delle
multinazionali. Che il fenomeno FMI debba essere analizzato non in
base a criteri economici, bensì strettamente criminologici, è un
elemento che ormai fa parte del bagaglio dell'opinione pubblica
latino-americana; al contrario, in Europa l'esistenza del FMI è
appena percepita e, per di più, come un'entità indistinta e neutra.
Se non fosse stato per le disavventure sessuali di Strauss-Kahn,
molti in Europa non saprebbero neppure che il FMI esiste.
Fonte:
www.comidad.org/
[1] http://
translate.google.it
Nessun commento:
Posta un commento