di
Giovanni Pili
Proviamo
a immaginare Giorgio Gaber, che sprona il pubblico a ricordare
l’epopea risorgimentale, ricordandoci i valori della Repubblica;
proviamo altresì a pensare un De André che in persona fa da padrino
allo speciale Tv “Quello
che non ho” e
magari ci decanta pure un elenco. Già che ci siamo, facciamo curare
la trasmissione a Pier Paolo Pasolini. Fantascienza pura. Il ruolo
dell’intellettuale non è quello di difendere le istituzioni del
proprio paese, bensì
quello di rovesciarle, seppur in senso metaforico.
Oggi
abbiamo innanzitutto una specializzazione dell’intellettuale, che
diviene monodimensionale per meglio essere piazzato nella fascia
oraria e per il pubblico a lui più affine.
Il Travaglio, il Saviano, il Rizzo, si occuperanno per lo più di
cronaca giudiziaria, ben lungi dall’approfondire il resto. Quindi
l’altro val bene lasciarlo così com’è nella sua superficialità.
Per
es. ai Travaglio e Saviano val bene la difesa dello stato di Israele
derubricando le azioni dei palestinesi come terrorismo. Tale è
effettivamente nell’universo concettuale del cronista giudiziario.
Per il secondo poi è maggiormente evidente l’appoggio acritico
allo stato, in quanto le organizzazioni mafiose vengono viste come
un altro
eterogeneo che
ogni tanto finisce per inquinare l’entità statale, vista come sua
prefetta antitesi. Per Rizzo le autonomie regionali non hanno ragion
d’essere, la sua è una preparazione meramente fiscalista, con
unica finalità ridurre gli sprechi. Per Rizzo le minoranze culturali
e linguistiche sono uno spreco. In
Tv non passa la specializzazione del singolo intellettuale, che
attraverso il mezzo televisivo ci appare come un tuttologo. Tutti
esempi di pensatori liberi comodamente usati in difesa del sistema
che vorrebbero cambiare.
Esistono
casi ancor più gravi di veri e propri “intellettuali organici”
privati dell’originale punto di riferimento: il PCI; i quali sono
riusciti a farsi adottare dal meno emozionante, ma più sicuro,
sistema italiano. Gli Scalfari, i Mauro, i Benigni, eccetera.
Scalfari ultimamente non si fa scrupolo di definire la trattativa
stato-mafia come qualcosa di giusto; per lui è del tutto fisiologico
che accada. Si tratta di una visione più profonda di quella di
Saviano in quanto è implicita una interdipendenza tra le due entità.
Non di meno, accertare
non significa accettare uno stato di cose,
altrimenti torniamo alla prima repubblica con le “bustarelle
fisiologiche”. L’obiettivo di Scalfari e Mauro è la difesa
acritica di Giorgio Napolitano, in quanto istituzione, niente di più
ovvio. Solo
che il capo dello stato dovrebbe sapersi difendere da solo e se non
ci riesce è tempo che se ne torni a casa. Succede in tutte le
democrazie, compresi gli USA.
Benigni
è un caso più contorto e sottile allo stesso tempo. Prendiamo come
esempio le lezioni sulla Divina Commedia, dove ogni incontro di
piazza è una occasione per ricordarci l’importanza della Chiesa e
dell’amor di patria. Ebbene, un’opera letteraria – qualsiasi
opera d’arte – dovrebbe trascendere i concetti di nazione o credo
religioso. Quando viene usata per educare al rispetto acritico delle
istituzioni siamo già fuori dai canoni della cultura ed entriamo nei
meandri della propaganda tout cure.
Esempi
simili possiamo trovarli solo andando a ritroso fino al ventennio
fascista: per es., D’Annunzio, Marinetti, Gentile, e tanti altri,
che da un giorno all’altro si trovarono a firmare le leggi
razziali; succede quando l’intellettuale come fine smette di avere
la cultura in sé e finisce per ergersi in difesa delle
istituzioni.Precisiamo
che qui non si vuole considerare l’istituzione a prescindere come
negativa o addirittura fascista. Essa diviene tale quando non è più
in grado di suscitare autorevolezza (si
veda per es. Equitalia, il sistema carcerario, i quadri dirigenti dei
partiti, ecc.) e invece di essere sostituita da qualcos’altro,
trova negli intellettuali – prima che nella violenza – il suo
ultimo baluardo.
Assistiamo
così a situazioni grottesche; Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle
vengono attaccati usando metodi berlusconiani, attraverso la
mistificazione e la diffamazione più becera. Questo si deve al fatto
che una
critica al grillismo è possibile solo nella misura in cui si
riconosce come quello che effettivamente è, ovvero come avanguardia
di un capitalismo soft.
Nell’Italia dei tecnici questo tipo di critica verrebbe bollata
come marxista. Così ci si trova a lavorare con quel che capita a
tiro.
Ancor
più grottesco è il modo in cui è stata accolta la sentenza contro
Breivik dagli intellettuali italiani. La Norvegia avrebbe colto la
sua sfida condannandolo a 21 anni, chiuso in un albergo. Questo ci
dovrebbe insegnare lo scopo delle carceri come strumento di recupero
del detenuto. Niente di più retorico e falso; si capitola persino
alla distinzione tra l’essere ed il
dovrebbe.
Con buona pace dei parenti di Stefano Cucchi e Federico
Aldrovandi. Prima
ancora che qualcuno chiedesse dove tengono reclusi in Norvegia i
rapinatori o gli stupratori, se per caso questi fossero alloggiati in
alberghi di lusso, è sparito Breivik dai Tg.
Anche la strage di Brindisi e la “provvidenziale” scomparsa dei
referti della scientifica, e l’intervista al figlio di Provenzano a
“Servizio Pubblico” sono assenti; nonostante le attuali polemiche
riguardo la trattativa stato-mafia ne suggeriscano un collegamento.
In
conclusione è
sparita la figura dell’intellettuale, sostituita dallo specialista,
il quale delega alla narrazione ufficiale tutto il resto,
appoggiandola acriticamente. La
cultura perde il suo connotato più importante, quello di antitesi
delle istituzioni, non di mero sponsor. Osservatrice superficiale
del“fondamentalismo
dei mercati”,
questa pseudo-cultura fa presto a trasformarsi in propaganda,
togliendo a tutta la popolazione la scintilla della ribellione, del
cambiamento, senza la quale siamo tutti osservatori passivi e privi
di orientamento.
L’equivoco
di fondo che ha provocato questo si basa sull’assunto errato in
base al quale i mercati trarrebbero forza dalla distruzione degli
stati, mentre invece ne hanno disperato bisogno. I soldi e le banche
esistono solo nella misura in cui esiste uno stato.
Anche nel Monopoli possiamo fare quel che ci pare, ma se vogliamo
restare nel gioco dobbiamo seguire regole e convenzioni concordate
con gli altri giocatori. Regole e convenzioni sono la sostanza degli
stati. La loro difesa acritica genera un circolo vizioso che
contribuisce ad aumentare ed aggravare le ingiustizie attuali, lungi
dal debellarle.
fonte primaria: http://anarchyintheuk-sytry82.blogspot.it/2012/09/la-scomparsa-degli-intellettuali.html
fonte secondaria: http://www.oltrelacoltre.com
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