UNDICI DIPENDENTI COMUNALI COLTI IN FLAGRANTE E FINITI AI DOMICILIARI.
La notizia di ieri degli undici arresti di
Pedace (CS) nelle fila dei dipendenti comunali, è stata una
bella mazzata. E non solo di immagine.
Nel piccolo Comune della Presila cosentina, dopo mesi di indagini, sono infatti scattate le manette per undici dipendenti comunali, accusati di truffa aggravata e continuata, principalmente per assenteismo sul luogo di lavoro, ma anche per aver usufruito illecitamente di compensi da straordinari mai effettuati o comunque gonfiati.
A quanto pare e dalle stesse dichiarazioni degli inquirenti, le indagini non si fermano qui, ma ci saranno altri provvedimenti in altri Comuni e nei confronti probabilmente di altri dipendenti. L'indagine infatti, coordinata dal nucleo investigativo di Rogliano (CS) in collaborazione con il Comando Provinciale dei Carabinieri, non riguarda solo Pedace. E presto si aspettano ulteriori colpi di scena.
Ma ritorniamo ai fatti di ieri.
Voglio subito dire che non sono tra coloro che
gridano “alla forca!” per queste persone che, pedinate e filmate
fin da gennaio, sono state si, beccate con le mani nel sacco, ma hanno pur sempre famiglia e adesso rischiano seriamente di perdere il posto di lavoro. E per loro sarà veramente dura.
Certamente, se fosse
così, verrebbero sostituiti da altrettanti disoccupati (almeno si spera) che
lavorerebbero di più, con più valore e con positive
ricadute sull'efficienza della macchina amministrativa comunale di
Pedace. Questo è indubbio.
Ma è giusto dare la
croce addosso solo a loro?
Non credo proprio.
Proviamo a fare alcune
considerazioni.
La prima che mi viene
spontanea è che gli undici arrestati, non sono certo i soli e gli unici, nel panorama amministrativo italiano, che
approfittano della situazione lucrando su straordinari, assentandosi
ingiustificatamente, imbrogliando sulle ferie, sui rimborsi, sugli
orari.
La macchina
amministrativa NAZIONALE, non certo solo locale, pullula di questi
episodi. Ed anche di molto più gravi e dannosi.
Questa prima
considerazione non è certo una giustificazione per queste persone ed
il loro comportamento esasperante (tanto da indurre i cittadini a
denunciarli). Non è il consueto “così fan tutti” e quindi un comportamento da considerare quasi lecito. Assolutamente. Ma è il sintomo di un “modello
culturale” e comportamentale generalizzato, figlio esclusivo della
selezione malata, politica, del personale amministrativo, che
assomma (nella maggioranza dei casi) deficit di competenze e
motivazioni etiche a mancanza di controlli.
Il concetto di “cosa
pubblica” nel senso comune è stato completamente distorto. I dipendenti
pubblici non hanno mai visto nel proprio lavoro un servizio,
una funzione a vantaggio dei cittadini (e quindi di se stessi), bensì
solo il “posto fisso”, “le sei ore lavorative”, i vantaggi e
le sicurezze contrattuali, quasi uno status sociale di privilegio a
prescindere . Tutto insomma di personale, niente di PUBBLICO.
E i meccanismi di selezione clientelare della classe burocratica
italiana non hanno certo tenuto a freno questa deriva etica. Il posto
pubblico pochi se lo sono sudato, pochi hanno lottato per averlo ed il più
delle volte è frutto di un favore, di uno scambio, di una promessa
elettorale mantenuta. E così la funzione pubblica, perde
completamente di senso. Anche perchè, soprattutto in quei casi
esplosi negli scandali, chi ha preso il posto pubblico, nelle
amministrazioni locali (che siano regionali, provinciali o comunali
non importa), il più delle volte non è nemmeno competente
per le funzioni che svolge. E le
inefficienze e gli sprechi, in questo circolo vizioso, si moltiplicano
esponenzialmente.
E' o non è così? E'
vero o non è vero che, soprattutto negli anni '80, con l'ampliarsi
delle funzioni della macchina burocratica statale (le regioni furono
istituite nei primi anni '70) l'esplosione delle assunzioni fu un
fenomeno che favorì clientelismo, inefficienze, sprechi, creazione
di enti inutili, strutture malfunzionanti?
E' indubbio.
Ma è una caratteristica
storicamente ricorrente e individuabile anche prima di questo
periodo. Tant'è che a lagnarsi di casi di malfunzionamento,
malversazione, clientelismo e assenteismo furono gli stessi Giolitti
e Mussolini. Salvo poi denunciare populisticamente le “mele
marce”, ma favorire a man bassa la nomina politica della (e i
privilegi accordati alla) “classe burocratica” italiana (da
allora fino agli anni '90 in costante ascesa, sociale e di
consistenza numerica).
Tutto questo per dire che
non è che si scopre “lo scandalo degli scandali” a Pedace, oggi.
Ma solo l'ennesimo episodio di malfunzionamento, gestione
superficiale, perfettamente contraria allo spirito pubblico
che dovrebbe informare i comportamenti e le condotte di tutti i
dipendenti del settore pubblico del paese.
Quindi niente di nuovo
sotto il sole.
Quello che emerge però
in questo episodio deplorevole, non è certo solo la responsabilità
di chi è stato colto con le mani nel sacco. Perchè se esiste una
responsabilità personale (e pagheranno pesantemente per questo), ne
esiste anche un'altra, che è pienamente ed eminentemente politica.
L'amministrazione
comunale di Pedace, vale a dire la classe politica eletta democraticamente
per amministrare la funzione pubblica, mentre queste persone si
esibivano in una tale curiosa quanto drammaticamente comica forma di
“amministrazione creativa”, lor signori, e penso ad assessori,
sindaco, vice-sindaco e consiglieri, dov'erano? Di cosa si
occupavano? Come valutavano il lavoro dei propri uffici? Come
valutavano i resoconti dei vari responsabili di servizio o dei
dirigenti comunali? Li ricevevano? Li pretendevano? Non hanno mai
sentito o raccolto alcuna lamentela?
Possibile?
Domande retoriche. Fatte
di quella amara retorica di chi, da cittadino che paga le
tasse, pretenderebbe comportamenti di un certo tipo.
Pertanto credo che la
responsabilità della “parte politica” in questo come in altri scandali simili, sia eticamente e amministrativamente maggiore.
Il problema dunque è
politico.
Ed è un problema che
investe nella sua totalità la classe politica italiana, con il
contagio dell'illiceità che ammorba tutti i gangli della gestione
della cosa pubblica, dai vertici fino alla base.
Quale esempio dovrebbero
rappresentare, per qualsiasi dipendente pubblico, le “scorrerie
piratesche” di questa classe politica a tutti i livelli? Quale
motivazione di etica pubblica dovrebbe trasmettere una classe
politica che adotta pratiche clientelari, di malversazione,
tangentizie, di manipolazione nell'assegnazione di appalti, di
favoritismo politico, di collusione mafiosa? Quale esempio di zelo lavorativo dovrebbero
fornire le nostre classi politiche ai dipendenti pubblici se già ai
massimi livelli, in Parlamento, assistiamo a forme spudorate di
assenteismo e improduttività?
Non dico che nel caso
specifico dell'amministrazione di Pedace ci troviamo dinnanzi a
furfanti di bassa lega. Probabilmente, come nel caso degli stessi
dipendenti, ci si trova dinnanzi a brave persone.
Brave persone però che
NON SANNO cosa sia l'etica pubblica, il rispetto dei
cittadini, delle regole, dell'assunzione di responsabilità iscritta
nel proprio ruolo pubblico.
E a fronte di una
amministrazione che, nonostante l'evidenza dell'inefficienza e
dell'assenteismo, non abbia preso alcun provvedimento o addirittura
non si sia accorta di niente, delle due l'una, o ci troviamo dinnanzi a dei perfetti incapaci a svolgere un ruolo e una funzione
amministrativa, o ci troviamo dinnanzi ad una manica di assenteisti a
cui certamente i dipendenti si sono ampiamente ispirati. In entrambi i casi, questi signori, dovrebbero gentilmente togliere il disturbo.
E a pretenderlo dovrebbero essere proprio quegli stessi cittadini che, votandoli, avevano loro accordato fiducia e risposto speranza nelle loro capacità.
La funzione primaria di
una amministrazione eletta democraticamente è quella di assicurare l'efficienza della macchina burocratica, degli uffici e dei servizi
ad essa connessi. Senza questa precondizione, qualsiasi progettualità
di sviluppo del territorio, qualsiasi proposta, azione o
condotta politica NON hanno assolutamente possibilità di venir
realizzate, o quantomeno non nella maniera in cui siano in grado di assicurare il
massimo beneficio ai cittadini, che, in quanto destinatari delle
politiche ed usufruitori (paganti) dei servizi, hanno tutto il
diritto affinché i propri eletti, garantiscano primariamente questo aspetto.
Lo scandalo di Pedace
dunque è innanzitutto uno scandalo politico, l'ennesimo delle
nostre classi dirigenti, figlie di una cultura nazionale e di un
senso comune che hanno visto, nel tempo, relegare la funzione pubblica
a semplice strumento di guadagno personale, di acquisizione di
status, di speculazione, di rendita di posizione.
Una cultura generale
deleteria che spolia del proprio significato fondamentale il concetto
di PUBBLICO, di funzione pubblica, di cosa pubblica, di bene comune,
agevolando in modo diretto e indiretto tutti i pescecani, piccoli e
grossi, che dal settore pubblico vogliono trarre solo vantaggio
personale.
Ma è questa “cultura”,
in modo ancora più pericoloso e deleterio, che favorisce quel
concetto ormai entrato a far parte del senso comune in cui pubblico
significa marcio. Ed è proprio attraverso questo meccanismo che
i grandi poteri finanziari (privati), ottengono, ormai dagli anni '90, il beneplacito dei cittadini alle loro politiche
di conquista e di appropriazione dei settori strategici del
sistema pubblico del nostro paese.
(Francesco Salistrari)
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