di Roberto Romano.
Il
decreto legge n° 95 del 6 luglio 2012 “Disposizioni urgenti per la
revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi pubblici”,
è l’ultima puntata di una serie di manovre correttive del bilancio
pubblico italiano.
L’Italia
ha subito 5 manovre correttive, maggiori entrate e tagli alla spesa
pubblica, tra il 2011 e il 2012, per un ammontare complessivo che
sfiora i 120 miliardi di euro, al netto del fiscal compact e
dell’euro plus che costringerà il paese a delle misure
(correttive) tra i 35-45 mld di euro.
Le
previsioni di crescita del Paese sono sicuramente condizionate dal
contesto internazionale e, in particolare, europeo, ma le stime di
crescita sono in qualche misura coerenti con il taglio della spesa
pubblica e la riduzione del reddito delle famiglie via incremento
della pressione fiscale. Adottando un criterio prudenziale[1] è
possibile stimare una diminuzione del Pil italiano per il 2012 del
2,5% e del 3% nel 2013. Sono ordini di grandezza che trovano una
parziale conferma nelle prime proiezioni del FMI e della Banca
d’Italia (-2% per il 2012), mentre Confindustria si è spinta oltre
(-2,4%). Diversamente da queste previsioni, il governo stima la
crescita per il 2012 in meno 1,2% (DEF aprile 2012). Probabilmente un
eccesso di fiducia, oppure la necessità di far conciliare i saldi di
finanza pubblica che non sono neutri rispetto all’andamento del
Pil, come mostra la crescita della spesa corrente intervenuta tra il
2007 e il 2011, dal 44,1% al 47,5% del Pil, per lo più imputabile
agli stabilizzatori automatici[2].
La
contrazione della crescita ha condizionato il rapporto debito/Pil,
facendolo aumentare, più di quanto non abbia fatto la crescita dei
tassi di interesse. Infatti, l’onere degli interessi passivi sul
debito, pur rimanendo saldamente al di sopra del 5% del Pil, passa da
una previsione del 5,1% dell’aprile del 2011 al 5,3% del Pil
dell’aprile 2012. Quindi è proprio la dinamica del Pil a
condizionare il rapporto debito/Pil, mentre la spesa per interessi
concorre in misura più contenuta, per il momento.
Il
DL 95/2012 (Spending Review) non si discosta molto dalla filosofia
dei provvedimenti adottati da Tremonti e Monti (2011): forte
incremento delle entrate, riduzione del ruolo degli enti territoriali
(comuni, province, regioni), ridimensionamento degli enti di ricerca,
contenimento dell’impiego pubblico (meno 10% degli impiegati e meno
20% dei dirigenti), più una punta di raggiro che rende alcuni
provvedimenti fastidiosi.
Da
una parte è del tutto evidente che il DL 95/2012 non è una
qualificazione ma un taglio della spesa, con risparmi attesi nel
medio periodo di 80 mld di euro su 250 mld. Ci sono poi delle
inefficienze e sovrapposizioni (maggiori costi) nella parte relativa
alla soppressione delle province (Servizio Bilancio del Senato),
mentre si prospetta una ulteriore stretta per le famiglie interessate
dalle agevolazioni fiscali (detrazioni-deduzioni) che rendono
veramente fastidioso il rinvio dell’aumento dell’IVA. Infatti, la
riduzione dell’IVA, meno 3.280 mln nel 2012, meno 6.569 mln nel
2013 e meno 9.840 nel 2014, è condizionata da un aumento delle
entrate fiscali legate alla rivisitazione delle agevolazioni fiscali
(delega fiscale di Tremonti). Indubbiamente l’IVA è una imposta
odiosa perché in ultima istanza si scarica su tutti i consumatori
(regressiva), ma il taglio delle agevolazioni (detrazioni e
deduzioni) ha contorni che sfiorano il grottesco. Tecnicamente sono
le famiglie più bisognose a beneficiare delle detrazioni e delle
deduzioni fiscali.
Il
governo Monti ha trovato nell’opinione pubblica un certo sostegno
e, in ragione di questo consenso (?), ha adottato dei provvedimenti
che agli occhi dell’Europa erano indispensabili[3].
In qualche misura “costretto” dal contesto europeo ha
precarizzato il mercato del lavoro, contratto i diritti e
“liberalizzato” il mercato delle public utilities, ma la spending
review non è imposta dall’Europa. Poteva essere una occasione per
valorizzare le “competenze” del Governo. Infatti, la revisione
della spesa pubblica è una attività normale del governo della cosa
pubblica. Ogni qualvolta c’è uno speco o una spesa mal allocata è
giusto intervenire. La spending review di Monti è un taglio
lineare e mirato allo stesso tempo, con forti tratti classisti.
Sostanzialmente un governo classista e “leggero” con il diritto
positivo, che gioca con la costituzione (pareggio di bilancio).
Questa
crisi è molto peggio di quella del ’29. Krugman l’ha descritta
efficacemente. Ma gli europei (gli italiani) si meritavano dei
dirigenti-tecnici-politici così scadenti?
Nessun commento:
Posta un commento