di Alberto Bagnai.
(esce
domani in libreria il libro di Marino e Fabrizio: La
trappola dell'euro. Un
testo che vi darà delle soddisfazioni e soprattutto degli argomenti
nella battaglia contro il luogocomunismo. Regalatelo al vostro
piddino preferito. Di seguito, la prefazione che sono stato onorato
di scrivere per questo libro importante e tempestivo).
Un
paio di anni fa la crisi dell’eurozona entrava nella sua fase
acuta, dalla quale ad oggi non siamo ancora usciti. Il timore (usando
un eufemismo) per le sue possibili conseguenze sociali e politiche mi
spingeva ad affiancare alla mia attività di ricerca e insegnamento
un’opera di divulgazione, sulla base della convinzione che l’unica
remota possibilità di scongiurare esiti violenti e autoritari della
crisi in corso passasse attraverso la diffusione di un’informazione
fattualmente corretta. Risulta purtroppo difficile considerare tale
quella diffusa dalla totalità dei mezzi di informazione italiani,
nei quali elementi fattuali palesi vengono sistematicamente distorti,
naturalmente in un’unica direzione, quella favorevole al progetto
di unione monetaria.
Due
anni dopo questo lavoro faticoso ma appassionante comincia a dare i
suoi frutti, e fra questi il più importante è quello di avermi
fatto capire che non ero solo. Tanti altri italiani dubitavano già
del fatto che l’ingresso nell’euro fosse stata una scelta
opportuna, e alcuni si erano già espressi in questo senso (fra
questi Marino e Fabrizio), ma a molti mancavano le parole, i dati,
gli argomenti teorici che confermassero a un livello più ampio e
scientificamente più rigoroso e coerente la sinistra sensazione che
l’evidenza aneddotica di tutti i giorni proponeva loro con
spiacevole insistenza: quella di aver preso una colossale fregatura.
Il dialogo con tutte queste persone è stato uno stimolo prezioso: mi
ha permesso di misurare e valicare la distanza (non così ampia) che
separava il cittadino comune dalla comprensione di fatti
relativamente semplici e assolutamente ovvi per gli addetti ai
lavori; mi ha fornito i mezzi per comunicare in modo sempre più
efficace “la follia dell’euro” (dal titolo di un lavoro
dell’amico Tony Thirlwall); mi ha dato l’energia necessaria per
aiutare un numero crescente di persone a combattere nel proprio
ambiente una dura battaglia quotidiana contro il “luogocomunismo”,
quella funesta ideologia che a colpi di slogan (“l’euro ci ha
salvato dalla crisi! l’euro ci ha dato stabilità!”), tanto
facili da assimilare quanto scollati dalla realtà dei fatti, ha
ucciso le menti di milioni di italiani, ostacolando un dialogo aperto
e mettendo così a rischio la possibilità di una gestione
democratica e consapevole della crisi.
Una
tappa per me particolarmente significativa di questo percorso è
stato l’incontro con Marino alla fine dello scorso anno (in un anno
di lavoro convulso è sempre mancata l’occasione di conoscere anche
Fabrizio). Marino possiede tre qualità preziose: una visione che a
me pare estremamente lucida del quadro politico europeo, dalla quale
consegue un giusto scetticismo verso “sogni” e “visioni
europee” dei nostri illuminati governanti (quelli che ci hanno
messo in questo disastro ignorando volutamente gli ammonimenti della
professione economica); una lunga consuetudine col metodo
scientifico, che gli consente di strutturare in modo rigoroso il
ragionamento, e di stimolare il suo interlocutore ad articolare in
modo compiuto i suoi argomenti (qualità della quale sono spesso
stato vittima); infine, e questa forse è la qualità più
preziosa, Marino non è un economista, il che gli permette di
mantenere quella freschezza e indipendenza di giudizio che spesso
manca al “professionista” dell’economia, il cui pensiero spesso
si coagula, involontariamente ma inesorabilmente, intorno a categorie
stereotipate. I più feroci “luogocomunisti”, duole ammetterlo,
si annidano proprio nella professione economica.
Una
delle intuizioni a mio parere più profonde di Marino e Fabrizio è
anche, se vogliamo, la più ovvia (tanto ovvia che, naturalmente, ben
pochi la prendono in considerazione): la valutazione dei costi
dell’uscita dall’euro deve risultare dal confronto fra scenari
(è, come dicono gli economisti, un’analisi “controfattuale”),
il che comporta che ai costi dell’uscita vadano sottratti i costi
della permanenza. Calata nella cronaca di questi giorni, questa
intuizione ci suggerisce che lo stillicidio dello spread altro
non è che un pagamento anticipato per il costo che gli investitori
dovrebbero sostenere se l’euro si sfaldasse. Di fatto,
lo spread prezza il rischio di svalutazione sui titoli
detenuti dagli investitori esteri. La conclusione che se ne trae è
che noi stiamo già pagando il nostro biglietto di uscita dalla
trappola... ma lo stiamo pagando per restare intrappolati! Forse, se
si capisse appieno che stiamo già pagando i costi
dell’uscita, diventerebbe più naturale pretendere che ci si
appropri anche dei suoi benefici (svalutando effettivamente la nostra
valuta e rilanciando così il commercio e l’economia, secondo i
meccanismi che Marino e Fabrizio descrivono con precisione ed
efficacia).
Condivido
totalmente un’altra loro convinzione, quella che è utopistico
attendere una svolta da una reazione politica articolata a livello
transnazionale paneuropeo. Le classi lavoratrici dei singoli paesi
europei stanno subendo una dopo l’altra i colpi di maglio
dell’austerità, senza preoccuparsi minimamente di organizzare una
reazione comune, senza averne gli strumenti, né le possibilità. La
reazione alla macelleria sociale compiuta in Grecia è stata un
timido “io speriamo che le la cavo”. Ma in assenza di una simile
coscienza di classe europea, la logica della politica e quella
dell’economia vogliono che alla segmentazione dei mercati del
lavoro corrisponda una segmentazione delle valute nazionali, senza la
quale qualsiasi shock esterno fatalmente si tradurrà in una
richiesta di “svalutazione interna”, cioè di taglio dei salari.
In termini politici, Marino e Fabrizio pongono nei termini più
corretti e razionali il tema del recupero del concetto di sovranità
nazionale come condizione imprescindibile per l’attuazione di
politiche di contrasto allo strapotere del capitalismo finanziario.
Una riflessione estremamente coraggiosa in un paese nel quale perfino
(anzi, soprattutto!) la sinistra “di sinistra”, mentre bolla come
“nazionalismo” qualsiasi riflessione critica sulla (illusoria)
razionalità dell’euro, continua a favoleggiare di un (altrettanto
illusorio) “sindacato europeo”, quando non esistono, perché
nessuno ha voluto che esistessero, un sistema educativo, un mercato
del lavoro, e un sistema previdenziale europeo. Il capitalismo del
Nord, del resto, ha lucrato proprio sulle divergenze fra i paesi
(secondo il meccanismo ben individuato da Roberto Frenkel, del quale
Marino e Fabrizio danno conto nella parte quinta del testo), ed è
difficile e soprattutto ingenuo aspettarsi la sua collaborazione a un
progetto che riduca efficacemente queste divergenze.
Scorrendo
il testo constato con un certo orgoglio quanto Marino e Fabrizio
citino la mia opera di divulgazione, e sono loro grato per
l’attenzione che hanno dato al mio lavoro. Devo dire che sono quasi
in imbarazzo, perché in fondo continua a sembrarmi strano di esser
tanto citato e tanto ringraziato per aver detto cose che a me (e ai
migliori colleghi esteri) sembrano tanto ovvie, cose che, come non mi
stanco di ripetere, sono in tutti i libri di testo. Ma, chissà,
forse queste cose tanto ovvie non sono, certamente in Italia c’era
bisogno di ribadirle, e probabilmente nel nostro paese occorre ancora
un po’ di incoscienza per esporsi così. Mi sembra doveroso
contraccambiare notando come gli articoli di maggior successo del mio
blog siano quasi tutti nati da stimoli ricevuti da Marino e Fabrizio.
Il loro intuito nell’individuare quali fossero le domande più
pressanti per il cittadino comune è stato un elemento importante per
il successo della mia opera di divulgazione. Auguro altrettanto e più
successo a questa loro fatica, che certamente lo merita, e che
certamente contribuirà a riequilibrare nel senso della verità dei
fatti il dibattito su un tema così importante per le vite nostre e
dei nostri figli.
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