Di Romano
Bracalini
l
popolo che si ribella, o solo mostra insofferenza alle direttive
della tecnocrazia europea, ha una sua aggettivazione spregiativa in
“populista”. Parola di cui si è fatto un uso intimidatorio in
questi ultimi giorni. Il potere vessatorio, con tratti di
autoritarismo come non si ricordava da tempo, riunisce sotto la
specie populista, che ha il suo equivalente in qualunquista, tutti
coloro, che a vario titolo, dissentono dalle linee imposte da questa
Europa. Dissentire è un diritto democratico garantito da ogni
Costituzione civile. Ma nel nuovo ordine finanziario mondiale,
che segue i sogni visionari e apocalittici di Napoleone e Hitler,
parrebbe piuttosto che la democrazia sia un inutile orpello da
eliminare. Chi dissente incorre nella condanna comminata dalla nuova
Inquisizione. Populisti i due milioni di catalani, sui sette che ne
conta la Catalogna, che martedì 11 settembre hanno sfilato per le
vie di Barcellona per chiedere l’Indipendenza da Madrid (nella
foto). Populisti i partiti antieuropeisti che si stanno affermando
nell’Est Europa e nei Balcani. Populisti gli indipendentisti
italiani che vogliono un nuovo assetto nazionale del Nord Italia,
populisti i sudtirolesi che non smettono di sognare il
ricongiungimento con la madre patria austriaca. Populisti gli
indipendentisti scozzesi, irlandesi, baschi, corsi, savoiardi che
vogliono riappropriarsi della loro storia. C’è un fermento nuovo
di libertà tra le nazionalità oppresse o cancellate d’Europa
contro cui nulla potranno le proibizioni del nuovo ordine
europeo.
L’Italia
d’oggi è più simile a una oligarchia che al titolo usurpato di
“democrazia”. Cosa rende diversa una democrazia da una
oligarchia? Anche tolto il ventennio fascista, non ravvisiamo in
tutta la storia unitaria una sola epoca di democrazia sostanziale. Né
prima né dopo il fascismo. Scrive Arturo Labriola, nel suo libro
Storia di dieci anni 1899-1899: ”Si vede in realtà che la
rivoluzione liberale, che trasforma il suddito in cittadino e il re
in primo funzionario dello Stato, non ha attraversato l’epidermide
degli italiani”. Il panorama politico italiano è costellato da
partiti che traggono origine dal pensiero autoritario, fascismo,
comunismo: c’è sempre stato un deficit di cultura liberale, così
che il popolo,vezzeggiato a parole, è in realtà disprezzato dal
potere, che conia contro di esso parole degradanti e offensive quando
non intende conformarsi al suo comando. ”Sovranità popolare”, di
cui parla la Costituzione italiana, è una falsa e vuota formula. Le
elezioni in Italia sono spesso una farsa e il voto una formalità che
non impegna il candidato una volta eletto. Il responso dei referendum
popolari è stato stravolto e annullato quando non andava nella
direzione gradita ai partiti. E’ successo col rimborso pubblico dei
partiti che ha sostituito il finanziamento pubblico, con esiti anche
più disastrosi per le casse dello Stato, quattrini nostri; è
successo col ministero dell’agricoltura sostituito col ministero
delle politiche agricole.
Se
non è zuppa è pan bagnato. Nel 1946 i monarchici accusarono il
governo di aver manipolato le elezioni per far vincere la repubblica.
Non è provato, ma non è nemmeno escluso. L’Italia d’allora,
come quella d’oggi, aveva scarsa dimestichezza con i metodi
democratici. Tutto ciò avviene nei paesi in cui la “democrazia”
è un simulacro o una tragica finzione, cioè nei paesi dell’Est ex
comunista e nell’Islam medievale. L’Italia non è troppo lontana
da quei modelli. Da noi si sono svolte spesso elezioni farsa, non
solo durante il periodo fascista. La formula era piuttosto quella del
plebiscito, del consenso più ampio decretato per paura o servilismo;
così nel 1860 si fecero i plebisciti in Toscana e in Emilia, e poi
nel Sud; nel 1866 nel Veneto, nel 1870 a Roma. All’elettore non era
concessa praticamente nessuna forma di dissenso, pena l’emarginazione
sociale o peggio la galera o la deportazione. Qualcosa del vecchio
costume autoritario è rimasto nell’ordinamento italiano. Solo in
Italia, fino a qualche tempo fa, il voto era obbligatorio e chi non
aveva votato doveva risponderne al sindaco. Altrove il voto è
libero. Negli Stati Uniti una grande percentuale non va a votare.
Nessuno pensa che la democrazia sia in pericolo. Ma in Italia si ha
bisogno dell’alibi del voto per legittimare le malefatte del
potere. Col nuovo direttorio la prospettiva è cambiata radicalmente.
Prima si obbligava l’elettore, adesso gli si impedisce di votare.
Così si è trovato il modo di prenderlo in giro un’altra volta
nominando, caso unico in Europa, un governo di tecnocrati che
risponde alla BCE e a Bruxelles, ma non ai cittadini. In questo caso
è stato il regime, che vuole sudditi ubbidienti e muti, a impedire
che il popolo andasse alle urne. Con Monti, come al tempo dei viceré
spagnoli che governavano per interposta persona, si è fatto a meno
anche della finzione.
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