Articolo interessante che offre spunti di riflessione eccellenti. Si può essere d'accordo o meno, ma per esserlo, bisogna PENSARE. Ed è questo il complimento migliore che si possa fare ad uno scritto.
Buona
lettura,
Francesco
Salistrari.
Tu
dici, la fine della Storia. Quella con la maiuscola, naturalmente, le
nostre piccole storie minuscole non entrano qui.
Tu
dici, dunque, la fine della Storia. E io chiedo, quale Storia?
Cos’è la Storia: un insieme di date, eventi tipo le Crociate,
lo Sbarco in Normandia, la nascita e l’estinzione di una
sconosciuta dinastia africana nel Congo del X secolo?
Quando
è iniziata la Storia: con i rotoli babilonesi, con l’invenzione
della ruota? E quando è finita, con il crollo del Muro di Berlino,
con la fine dell’URSS? E quando è ricominciata: forse in questo
fastidiosamente troppo simbolico 11 settembre 2001? Cos’è la
Storia, oltre che una ininterrotta serie di eventi per lo più
sanguinosi?
È
curioso pensare invece che eventi epocali come il crollo del Muro di
Berlino e la dissoluzione dell’URSS siano stati privi di
spargimenti di sangue. È come se il gigante stanco si sia
abbandonato alla morte e migliaia di vermi siano fuggiti dal suo
immenso corpo in decomposizione. La fine della Storia, dici. Vediamo
di capire. Il concetto di fine della Storia è essenzialmente
hegeliano.
La
Storia è un fiume le cui acque vorticose si devono placare
nell’oceano della fusione di Concetto e Tempo, cioè del sapere e
del soggetto, coscienza giudicante e coscienza agente. Tutto avrà
termine nell’estrema riconciliazione, nell’omogeneità delle
vite, in un mondo in cui tutti i bisogni di tutti saranno appagati.
Questa suprema conciliazione, per Hegel, è il dominio perfetto dello
Stato, non come si immagina di solito, lo Stato prussiano: Hegel ha
passato gli ultimi anni di vita nel “crepuscolo” come lo
chiamava, cercando di trovare “la rosa nella croce del presente”
lamentando l’insufficienza della Ragione.
L’immagine
futura dell’Assoluto integrato, Hegel non la conobbe: è lo stato
stalinista. Non, come si potrebbe pensare, il regime hitleriano: il
Terzo Reich era assai poco ambivalente, i suoi fini erano troppo
evidentemente distruttivi. Lo stalinismo è dunque il prodotto finale
della Storia. Lo stalinismo è sanguinario, crudele e perfetto.
Proprio per questo è il modello perfetto di Stato, il modello
perfetto di mondo nel quale avviene la riconciliazione di tutte le
contraddizioni, attraverso la forza, l’astuzia, l’inganno, la
delazione, l’esilio, la morte, ma anche la lusinga, l’adescamento,
la finta benevolenza.
Come
non vedere che, in qualche modo nascosto, cupo e terribile, lo
stalinismo è il desiderio nascosto di ogni democrazia, ciò che ogni
governo democratico vorrebbe inconsciamente essere? Non per niente
Debord parlava dello stalinismo come del regime dello spettacolare
“concentrato”. Ora viviamo nel regime dello spettacolare
“diffuso”. Come non vedere l’istinto di morte che, mentre viene
cacciato dalla porta, rientra dalla finestra? Hegel sperava in una
riconciliazione pacifica delle contraddizioni, vedeva nella fine
della Storia, la vera prima manifestazione dello Spirito Assoluto nel
quale l’uomo, definito da lui il Concetto, potesse esprimire il
proprio pieno potenziale, contribuendo alla collettività, felice di
dare la vita per essa, in quanto l’individuo esiste solo dentro la
collettività. Non si può pretendere troppo da un uomo vissuto tra
il 1770 e il 1831.
Tuttavia
Hegel sapeva che il Concetto, la filosofia, la sapienza che è anche
(forse) speranza, giungono sempre troppo tardi, sul far della sera
come la nottola di Minerva. Arriva, cioè, quando la guerra e la
stupidità hanno già devastato nazioni e cuori. Hegel vedeva la fine
della Storia allontanarsi sempre più, come l’orizzonte al quale
una nave tende ad avvicinarsi senza tuttavia poterlo mai raggiungere.
Raggiungerlo veramente, significherebbe arrivare alla fine del mondo,
e precipitare nel nulla ma il mondo è una sfera e dunque non ha mai
fine, e il nulla è tenuto fuori, come se si fosse nell’utero
materno. Il mondo non ha neppure inizio. Forse non inizierà mai,
forse l’utero-mondo non partorirà mai qualcosa degno di vivere.
Hegel è rimasto così, avvolto in un infinito crepuscolo fino alla
morte per colera. Sarà dunque morto sostanzialmente cagando fuori
l’anima. Avvolto dai fumi della febbre la sua coscienza giudicante
avrà perso molta della sua proverbiale lucidità. Decisamente quel
giorno del novembre 1831 per lui la Storia fu finita.
Cos’è
dunque la Storia? Sicuramente un flusso di eventi specificamente
umani che tendono tutti al soddisfacimento di desideri più o meno
uguali ma contrapposti.
In
sostanza la Storia è la storia di chi vince la gara per la
sopravvivenza.
La
Storia è storia della classe dominante e dei suoi schemi
difensivi, ideologici e psicologici.
Da
qui deriva l’illusione che con la fine pressoché spontanea
dell’URSS la Storia potesse assestarsi su un indefinito
ordine mondiale, più o meno pacifico, retto dal mercato globale e
dalle concezioni liberali, cioè meno Stato possibile e più
possibilità di speculare per tutti.
Qui
l’Occidente, o meglio, la classe dominante dell’Occidente, ha
commesso un grosso peccato di arroganza. Ha creduto che i conti
fossero ormai chiusi, una volta liquidato il suo vecchio nemico,
l’Est.
L’Occidente
arrogante ha preferito ignorare, ritenendoli innocui o controllabili,
i residui della sua antica lotta contro l’impero sovietico. Vale a
dire tutti i terroristi e i fanatici integralisti, coccolati e
addestrati per far fuori Ivan.
Tutti
noi, nati al tempo della Guerra Fredda, siamo vissuti così, con i
buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Dopo il Crollo, i
cattivi si sono sparpagliati in giro e gli alleati dei buoni
(ovviamente, gli occidentali) gli si sono rivoltati contro.
Abbiamo
vissuto per decenni in un mondo diviso da uno specchio. E ognuna
delle parti rifletteva l’altra. Ora lo specchio è andato in
frantumi e in cosa l’Occidente si può specchiare, ormai?
Ora, tutto è Occidente, è tutto ciò che è contro
di noi è brutto, straccione, fondamentalista, Altro, troppo Altro.
Noi rifiutiamo di specchiarci nel nuovo specchio che è sorto dalla
macerie nel frattempo. Rifiutiamo di vedere la nostra
immagine rozza e violenta che ci viene rimandata dai paesi poveri,
dai paesi che bombardiamo.
Fingiamo,
fingiamo che la Storia sia finita, che d’ora in poi ci
saranno solo guerricciole infinite di aggiustamento per eliminare chi
non ci somiglia troppo, ma che sostanzialmente la nostra visione del
mondo trionferà.
Dobbiamo
essere tutti democratici e tutti commercianti, in un modo o
nell’altro. La cosa tragica è che il “nemico” di adesso, il
fondamentalismo islamico, il “terrorismo” non propugna una
visione radicalmente Altra, che per noi è inaccettabile, come può
essere il comunismo, la rivoluzione: niente di tutto questo. Il
nemico propugna gli stessi nostri valori, solo distorti, ancora più
impoveriti e imbarbariti. Non ci sono più due visioni del mondo che
si combattono: esiste solo lo straccione che confida in un Dio
arcaico contro il manager in completo scuro che confida nella merce,
o meglio, nel business, a sua volta derivazione di un Dio arcaico che
nel frattempo si è evoluto.
In
mezzo a tutto ciò, Mafia e Stato fanno i loro giochetti. Le
filosofie orientali sono neutre e anzi in realtà più tendenti a
dare a Cesare quel che è di Cesare e anche di più. Business is
business. Non a caso tantissimi uomini d’affari e politici
orientali fanno mostra della loro fede buddista senza che questa le
impedisca di commettere alcunché.
Il
fatto è che nell’appiattimento ideologico imperante, gli
straccioni hanno alzato la testa. Ne fanno una questione di identità,
cioè noi contro loro.
L’identità
è tutto, nel XXI secolo. Più non si capisce cosa cazzo è
l’identità, più il tema dell’identità (e per identità si
intende per lo più la religione o l’etnia di nascita) diventa
cruciale. Ela Storia, che non ha mai smesso di tendere al suo vero
fine, cioè il godimento estremo della classe dominante, continua a
procedere, macinando vite, finendo di fare a pezzi coscienza agente e
coscienza giudicante, finendo di far cagare l’anima a Hegel come in
quelle (per lui) atroci e definitive notti del novembre 1831.
L’unica
cosa che consola è pensare che vista dalla prospettiva di un
osservatore vivente, che ne so, tra un migliaio di anni, questa
contrapposizione in blocchi durata meno di mezzo secolo, con tutte le
conseguenze che stiamo vivendo adesso, sarà forse una paginetta o
due su un manuale.
Quello
che rimarrà, saranno invece gli sfracelli ambientali ed economici
che avrà prodotto il capitale.
La
fine della Storia, dunque, dici.
Ma la
Storia può avere fine solo se c’è un fine.
Se il fine è la riconciliazione, la soddisfazione del bisogno, la
Storia è un’illusione. Mai nessun fine collettivo è stato
realizzato veramente, consapevolmente, tranne il tentativo leninista
maoista. E si sa come è andato a finire.
Nel
mondo cosiddetto “libero” è la stessa cosa. Ho persino il
sospetto che, dopo tutto, l’elevato grado di benessere nel quale
vive molta gente, sia tutto sommato casuale, non voluto dal potere.
Solo in seguito, il potere si è accorto che il benessere delle
classi mediobasse gli faceva comodo. Semplicemente, l’espansione
dei mezzi di produzione prima e il libero mercato poi hanno
consentito, marginalmente, a molti di stare bene. La classe dominante
ha bisogno di consumatori, dopo tutto. Forse la vera riconciliazione
umana avviene sotto il segno della merce.
Da
qui nasce l’illusione della Fine della Storia. Il capitalismo
produce come surplus, benessere per milioni di persone, un benessere
pagato a caro prezzo.
Democrazia
e capitalismo sono uniti indissolubilmente. Il gioco della merce ha
bisogno di persone libere di acquistarle, venderle, farle circolare.
La libertà la si compra pagandola sotto forma di vita degli altri.
Il capitalismo non può fare a meno di sfruttare, non può fare a
meno della disuguaglianza, non può fare a meno di esternalizzare.
Tutti vogliono saltare sul carrozzone. Ma nel carrozzone non c’è
posto per tutti. Il surplus prima o poi finisce. Allora chi guida il
carrozzone fa finta che sì, il posto c’è, anche se non è così,
per prendere tempo, perché gli straccioni sperino, vivano sperando
senza che niente per loro cambi mai.
Tu
dici che non sai. Non lo so, non lo so che cos’è e cosa succederà,
dici.
E
invece lo si sa benissimo. Andrà a finire che riempiranno il
carrozzone fino a sfondarlo, ma anche fino a un minuto prima della
catastrofe riusciremo a far finta che non sta succedendo niente. Non
a noi, perlomeno.
E
allora ci sarà veramente la fine della Storia, forse. Il lungo sonno
della merce, dal quale non vogliamo e non possiamo destarci ci
condurrà all’oblio.
La
Storia è sempre staliniana, sanguinaria, crudele, ambivalente,
perfetta. E il maggior pericolo di quest’epoca è non vedere che lo
stalinismo è il compagno oscuro della democrazia.
La
democrazia è stalinismo senza Stalin e (quasi) senza gulag. Come lo
stalinismo inghiottiva gli avversari del regime, così la democrazia
inghiotte gli avversari della merce.
Anche
la democrazia può essere sanguinaria, crudele e perfetta. La
democrazia è la dittatura del XXI secolo, il modello imbellettato di
una finta rappresentanza popolare da esprimere a suon di morti
ammazzati. La democrazia ha però in sé quel residuo di giustizia
per cui, in maniera quasi casuale, a volte qualcuno può farcela, a
cambiare qualcosa. Ma mai l’essenziale.Chi
tocca l’essenziale muore.
Le
monde n’est que abusion,
diceva François Villon. Il mondo non è che inganno.
(Massimo
Villivà)
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