di
Paul Krugman
Un
articolo illuminante, da leggere e diffondere, del premio Nobel Paul
Krugman, uscito in questi giorni sul New York Times. Come è ormai
chiaro a tutti, Krugman spiega perché le politiche di austerity non
hanno senso dal punto di vista economico, al contrario: l’austerity
è solo la scusa per smantellare i programmi sociali su scala
globale.
Ecco
l’articolo:
“Il
tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non
durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75
anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di
deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese
quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di
auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.
Allora
come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc.
NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al
contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo
britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi.
Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed
eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico,
invece di aspettare che l’economia recuperi?
Nei
giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo
del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV.
Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono
cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la
rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR).
La
cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte –
equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di
una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una
famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed
allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti –
cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito
privato e non pubblico – dovrebbe fare altrettanto!
COSA
C’È DI SBAGLIATO IN QUESTO PARAGONE?
La
risposta è che un’economia non è come una famiglia indebitata. Il
nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo
l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito
viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il
mio introito, e la mia spesa è il tuo introito.
E
allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le
proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che
il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo
perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro
problema di debito peggiora, non migliora.
Questo
meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista
americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e
descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da
debito” con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il
debito”. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da
austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del
pensiero di Fisher.
Questa
storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta
cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico
dovrebbe fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore
privato non vuole, o non può. Per carità, una volta che l’economia
avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di
bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom,
non la depressione.
Come
ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così
tanti politici insistono con misure di austerity durante la
depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza
diretta conferma le lezioni di teoria e della storia?
Beh,
qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli
“austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora,
quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale
ridurre la grandezza dello Stato”.
Queste
asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi
stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò
e manifestamente falso. Basta
guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la
crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori
pubblici, come la Svezia e l’Austria.
Invece,
se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della
crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere
britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche
inglesi, descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del
possibile”. Allo stesso modo l’istituto CATO (think tank
libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione
in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali “imparino dal
successo islandese”.
Dunque,
la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a
che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del
panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali.
Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.
In
tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono
gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali
del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle
tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota
più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno
determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i
poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e
fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami
all’austerity.
Ora,
la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di
austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse. La
mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di
rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il
recupero dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta
all’austerity è per usare la crisi, non per risolverla.
E lo è tutt’ora.
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