mercoledì 26 settembre 2012

Pedace: lo scandalo dell'assenteismo.

UNDICI DIPENDENTI COMUNALI COLTI IN FLAGRANTE E FINITI AI DOMICILIARI.


La notizia di ieri degli undici arresti di Pedace (CS) nelle fila dei dipendenti comunali, è stata una bella mazzata. E non solo di immagine.
Nel piccolo Comune della Presila cosentina, dopo mesi di indagini, sono infatti scattate le manette per undici dipendenti comunali, accusati di truffa aggravata e continuata, principalmente per assenteismo sul luogo di lavoro, ma anche per aver usufruito illecitamente di compensi da straordinari mai effettuati o comunque gonfiati.
A quanto pare e dalle stesse dichiarazioni degli inquirenti, le indagini non si fermano qui, ma ci saranno altri provvedimenti in altri Comuni e nei confronti probabilmente di altri dipendenti. L'indagine infatti, coordinata dal nucleo investigativo di Rogliano (CS) in collaborazione con il Comando Provinciale dei Carabinieri, non riguarda solo Pedace. E presto si aspettano ulteriori colpi di scena.
Ma ritorniamo ai fatti di ieri.
Voglio subito dire che non sono tra coloro che gridano “alla forca!” per queste persone che, pedinate e filmate fin da gennaio, sono state si, beccate con le mani nel sacco, ma hanno pur sempre famiglia e adesso rischiano seriamente di perdere il posto di lavoro. E per loro sarà veramente dura.
Certamente, se fosse così, verrebbero sostituiti da altrettanti disoccupati (almeno si spera) che lavorerebbero di più, con più valore e con  positive ricadute sull'efficienza della macchina amministrativa comunale di Pedace. Questo è indubbio.
Ma è giusto dare la croce addosso solo a loro?
Non credo proprio.
Proviamo a fare alcune considerazioni.
La prima che mi viene spontanea è che gli undici arrestati, non  sono certo i soli e gli unici, nel panorama amministrativo italiano, che approfittano della situazione lucrando su straordinari, assentandosi ingiustificatamente, imbrogliando sulle ferie, sui rimborsi, sugli orari. 
La macchina amministrativa NAZIONALE, non certo solo locale, pullula di questi episodi. Ed anche di molto più gravi e dannosi.
Questa prima considerazione non è certo una giustificazione per queste persone ed il loro comportamento esasperante (tanto da indurre i cittadini a denunciarli). Non è il consueto “così fan tutti” e quindi un comportamento da considerare quasi lecito. Assolutamente. Ma è il sintomo di un “modello culturale” e comportamentale generalizzato, figlio esclusivo della selezione malata, politica, del personale amministrativo, che assomma (nella maggioranza dei casi) deficit di competenze e motivazioni etiche a mancanza di controlli.
Il concetto di “cosa pubblica” nel senso comune è stato completamente distorto. I dipendenti pubblici non hanno mai visto nel proprio lavoro un servizio, una funzione a vantaggio dei cittadini (e quindi di se stessi), bensì solo il “posto fisso”, “le sei ore lavorative”, i vantaggi e le sicurezze contrattuali, quasi uno status sociale di privilegio a prescindere . Tutto insomma di personale, niente di PUBBLICO. E i meccanismi di selezione clientelare della classe burocratica italiana non hanno certo tenuto a freno questa deriva etica. Il posto pubblico pochi se lo sono sudato, pochi hanno lottato per averlo ed il più delle volte è frutto di un favore, di uno scambio, di una promessa elettorale mantenuta. E così la funzione pubblica, perde completamente di senso. Anche perchè, soprattutto in quei casi esplosi negli scandali, chi ha preso il posto pubblico, nelle amministrazioni locali (che siano regionali, provinciali o comunali non importa), il più delle volte non è nemmeno competente per le funzioni che svolge. E le inefficienze e gli sprechi, in questo circolo vizioso, si moltiplicano esponenzialmente.
E' o non è così? E' vero o non è vero che, soprattutto negli anni '80, con l'ampliarsi delle funzioni della macchina burocratica statale (le regioni furono istituite nei primi anni '70) l'esplosione delle assunzioni fu un fenomeno che favorì clientelismo, inefficienze, sprechi, creazione di enti inutili, strutture malfunzionanti?
E' indubbio.
Ma è una caratteristica storicamente ricorrente e individuabile anche prima di questo periodo. Tant'è che a lagnarsi di casi di malfunzionamento, malversazione, clientelismo e assenteismo furono gli stessi Giolitti e Mussolini. Salvo poi denunciare populisticamente le “mele marce”, ma favorire a man bassa la nomina politica della (e i privilegi accordati alla) “classe burocratica” italiana (da allora fino agli anni '90 in costante ascesa, sociale e di consistenza numerica).
Tutto questo per dire che non è che si scopre “lo scandalo degli scandali” a Pedace, oggi. Ma solo l'ennesimo episodio di malfunzionamento, gestione superficiale, perfettamente contraria allo spirito pubblico che dovrebbe informare i comportamenti e le condotte di tutti i dipendenti del settore pubblico del paese.
Quindi niente di nuovo sotto il sole.
Quello che emerge però in questo episodio deplorevole, non è certo solo la responsabilità di chi è stato colto con le mani nel sacco. Perchè se esiste una responsabilità personale (e pagheranno pesantemente per questo), ne esiste anche un'altra, che è pienamente ed eminentemente politica.
L'amministrazione comunale di Pedace, vale a dire la classe politica eletta democraticamente per amministrare la funzione pubblica, mentre queste persone si esibivano in una tale curiosa quanto drammaticamente comica forma di “amministrazione creativa”, lor signori, e penso ad assessori, sindaco, vice-sindaco e consiglieri, dov'erano? Di cosa si occupavano? Come valutavano il lavoro dei propri uffici? Come valutavano i resoconti dei vari responsabili di servizio o dei dirigenti comunali? Li ricevevano? Li pretendevano? Non hanno mai sentito o raccolto alcuna lamentela?
Possibile?
Domande retoriche. Fatte di quella amara retorica di chi, da cittadino che paga le tasse, pretenderebbe comportamenti di un certo tipo.
Pertanto credo che la responsabilità della “parte politica” in questo come in altri scandali simili, sia eticamente e amministrativamente maggiore.
Il problema dunque è politico.
Ed è un problema che investe nella sua totalità la classe politica italiana, con il contagio dell'illiceità che ammorba tutti i gangli della gestione della cosa pubblica, dai vertici fino alla base.
Quale esempio dovrebbero rappresentare, per qualsiasi dipendente pubblico, le “scorrerie piratesche” di questa classe politica a tutti i livelli? Quale motivazione di etica pubblica dovrebbe trasmettere una classe politica che adotta pratiche clientelari, di malversazione, tangentizie, di manipolazione nell'assegnazione di appalti, di favoritismo politico, di collusione mafiosa? Quale esempio di zelo lavorativo dovrebbero fornire le nostre classi politiche ai dipendenti pubblici se già ai massimi livelli, in Parlamento, assistiamo a forme spudorate di assenteismo e improduttività?
Non dico che nel caso specifico dell'amministrazione di Pedace ci troviamo dinnanzi a furfanti di bassa lega. Probabilmente, come nel caso degli stessi dipendenti, ci si trova dinnanzi a brave persone.
Brave persone però che NON SANNO cosa sia l'etica pubblica, il rispetto dei cittadini, delle regole, dell'assunzione di responsabilità iscritta nel proprio ruolo pubblico.
E a fronte di una amministrazione che, nonostante l'evidenza dell'inefficienza e dell'assenteismo, non abbia preso alcun provvedimento o addirittura non si sia accorta di niente, delle due l'una, o ci troviamo dinnanzi a dei perfetti incapaci a svolgere un ruolo e una funzione amministrativa, o ci troviamo dinnanzi ad una manica di assenteisti a cui certamente i dipendenti si sono ampiamente ispirati. In entrambi i casi, questi signori, dovrebbero gentilmente togliere il disturbo.
E a pretenderlo dovrebbero essere proprio quegli stessi cittadini che, votandoli, avevano loro accordato fiducia e risposto speranza nelle loro capacità.
La funzione primaria di una amministrazione eletta democraticamente è quella di assicurare l'efficienza della macchina burocratica, degli uffici e dei servizi ad essa connessi. Senza questa precondizione, qualsiasi progettualità di sviluppo del territorio, qualsiasi proposta, azione o condotta politica NON hanno assolutamente possibilità di venir realizzate, o quantomeno non nella maniera in cui siano in grado di assicurare il massimo beneficio ai cittadini, che, in quanto destinatari delle politiche ed usufruitori (paganti) dei servizi, hanno tutto il diritto affinché i propri eletti, garantiscano primariamente questo aspetto.
Lo scandalo di Pedace dunque è innanzitutto uno scandalo politico, l'ennesimo delle nostre classi dirigenti, figlie di una cultura nazionale e di un senso comune che hanno visto, nel tempo, relegare la funzione pubblica a semplice strumento di guadagno personale, di acquisizione di status, di speculazione, di rendita di posizione.
Una cultura generale deleteria che spolia del proprio significato fondamentale il concetto di PUBBLICO, di funzione pubblica, di cosa pubblica, di bene comune, agevolando in modo diretto e indiretto tutti i pescecani, piccoli e grossi, che dal settore pubblico vogliono trarre solo vantaggio personale.
Ma è questa “cultura”, in modo ancora più pericoloso e deleterio, che favorisce quel concetto ormai entrato a far parte del senso comune in cui pubblico significa marcio. Ed è proprio attraverso questo meccanismo che i grandi poteri finanziari (privati), ottengono, ormai dagli anni '90, il beneplacito dei cittadini alle loro politiche di conquista e di appropriazione dei settori strategici del sistema pubblico del nostro paese.


(Francesco Salistrari)

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