martedì 8 novembre 2011

Perché men paia il mal futuro.





La crisi del sistema economico nel quale viviamo, è ormai non solo evidente, ma cruciale.

Questa crisi, mostra, nella maniera più inequivocabile, tutti i limiti e le distorsioni mostruose che questo sistema è capace di generare. In questa crisi, che non nasce, come tutti sostengono, nel 2008, ma ha radici ben più profonde, il capitalismo moderno (“postindustriale”) palesa incontrovertibilmente il suo carattere distruttivo (ambiente, diritti, relazioni).

In questa crisi, a differenza di come molti potrebbero credere, non si concretizza il rischio di un crollo del sistema economico vigente, bensì quello di una sua mutazione, di un cambiamento radicale (epocale) che porterebbe questo sistema a diventare ancora più oppressivo e meno inclusivo.

Questo cambiamento radicale (strutturale), potrebbe anche produrre un cambiamento sostanziale a livello politico, attraverso l'abbandono delle forme fin'ora conosciute di organizzazione democratica delle società. Da questo punto di vista, probabilmente, la direzione è quella della caduta definitiva delle sovranità nazionali, dei modelli statali fin'ora conosciuti, con un accentramento ancora più marcato di “sovranità” in organismi sovranazionali a carattere tecnocratico.

La caduta definitiva del concetto di economia keynesiana e della democrazia parlamentare fin'ora conosciuta, aprirà lo scenario ad un nuovo sistema in cui la stratificazione sociale subirà un irrigidimento definitivo.

La compressione dei diritti democratici sarà una costante degli anni prossimi a venire in tutte quelle che oggi, ancora, conosciamo come “democrazie occidentali”. L'apparato sociale verrà via via irregimentato e controllato in maniera più stringente, attraverso tutta una serie di strumenti a tutt'oggi già esistenti (internet, schedature, intercettazioni telefoniche e satellitari, utilizzo degli apparati di sicurezza, polizia ecc.).

La fine dell'era del nazionalismo, porterà alla creazione di una serie di strutture sovranazionali (che si occuperanno di: economia, legislazione ecc.) parallelamente a quella di una serie di governi a carattere regionale (che si occuperanno di: polizia, amministrazione, servizi) e che si installeranno su quelle già esistenti come l'FMI, l' Onu, il WTO, la Commissione Europea ecc. e ne potenzieranno gli strumenti e gli ambiti di intervento (le prime), e che si baseranno sulle divisioni ancora oggi rappresentate dai confini nazionali e linguistici (le seconde).

Il tutto sarà indirizzato al controllo e alla concentrazione in poche entità del potere di emissione monetaria, di emissione del credito, delle relazioni finanziarie, del mercato delle risorse, del mercato dei prodotti, degli apparati produttivi, del potere legislativo, di quello giudiziario (per le controversie di carattere internazionale).

Il cambiamento sarà radicale e ridisegnerà e rimodellerà in maniera definitiva la fisionomia del mondo così come l'abbiamo conosciuto fino ad oggi.

Sarà anche di una tale portata che troverà di fronte ad esso delle formidabili (e in alcuni casi inaspettate) resistenze da parte di tutta una serie di gruppi sociali che renderanno il passaggio tutt'altro che indolore, determinando in alcuni casi anche sviluppi imprevedibili. In altre parole, il rischio di una conflagrazione mondiale in una guerra, sembrano essere abbastanza probabili, gli esiti imponderabili della quale potrebbero completamente stravolgere la realizzazione di queste previsioni. Più probabilmente però i conflitti si paleseranno su scala regionale, marginalizzando le aree coinvolte dai vari centri decisionali e di potere (e soprattutto di consumo), il tutto a vantaggio di quelle aree che da questi conflitti resteranno immuni, traendone forti benefici.

Sono sicuro che, se per una volta (e così sembra essere), i grandi potentati della terra riuscissero in qualche modo a mettersi d'accordo, le previsioni sin qui esposte non solo diventerebbero probabili, ma si approssimerebbero vieppiù alla certezza.

Con conseguenze devastanti per il benessere e libertà collettive.



(Francesco Salistrari, 2011)

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