mercoledì 30 maggio 2012

La rabbia che sale dallo stomaco.


 Provo rabbia.
Una rabbia profonda. Viscerale. Incontrollabile.
Scrivo, ma le mani tremano.
Tremano come l'Italia.
Come la Calabria. Come la Basilicata.
Ma soprattutto come l'Emilia.
Trema e porta via con sé vite umane. Sogni, speranze, aspettative, progetti.
Trema e porta via il piacere di vivere. Porta via le certezze. Annichilisce il coraggio.
Provo rabbia.
Perchè non si deve morire per un terremoto in questo modo.
Non si può morire schiacciato mentre stai facendo il tuo lavoro in un capannone costruito da 2 anni.
Non è accettabile.
Come non è accettabile che l'80% delle abitazioni italiane siano a rischio crollo in caso di sisma.
Non è possibile accettare che si costruiscano ancora le case con le tecniche e i materiali degli anni '50. Solo per consentire ai cementifici di fare miliardi, alle ditte del movimento terra della ndrangheta di scavare fondazioni in zone non adatte alla costruzione, per garantire ai politici che danno le licenze e truccano i controlli di intascare qualche mazzetta.
Una mazzetta, un appalto, può valere la vita di una persona?
Ma ci rendiamo conto in che mondo viviamo?
Ma ci rendiamo conto che la nostra vita vale zero?
Che la nostra salute, il nostro diritto alla sicurezza, il nostro diritto a costruirci una vita senza rubare nulla a nessuno, valgono meno di una scavatrice di una ditta mafiosa?
Provo rabbia, ma piango.
Piango per loro. Ancora sepolti, forse vivi, forse in fin di vita. Forse ormai morti.
Piango per le loro famiglie, per la loro disperazione nel guardarsi intorno a osservare il proprio mondo distrutto.
Dall'avidità, dall'ingordigia e non dalla natura. Almeno non solo.
E voglio anche dire una cosa a coloro che si sono macchiati le mani negli affari loschi di questo paese!
Arriverà, arriverà anche per voi il giorno in cui sconterete caro e amaro il male che ci avete fatto!
Statene certi.
Non è una minaccia.
E' semplicemente una certezza.


©Francesco Salistrari


domenica 20 maggio 2012

Quell'esplosione che puzza di Potere.



Quando scrivo, scrivo solo d'istinto.
Non penso mai a misurare i miei sentimenti, né tantomeno a frenare le emozioni che si traducono in parole.
Non so se questo sia un bene per uno che fa dello scrivere la sua vita, ma di sicuro mi fa stare in pace con me stesso.
Ed oggi, in un giorno così triste, terribile, spaventoso, non posso non scrivere quello che sento.
E nel puzzo nauseabondo della strage di Brindisi sento il tanfo di un lontano passato che ritorna. Sento l'odore marcio del potere. Sento l'acredine della carne bruciata di un popolo.
Sono vicino, commossamente vicino, alle famiglie delle vittime, alla giovane Melissa portata via in un lampo di follia disumana. Sono vicino al dolore di un'intera nazione che ancora una volta assiste attonita all'ennesimo stupro della democrazia nel nostro paese.
Una parola, democrazia, che in Italia perde di senso e probabilmente non l'ha mai avuto.
Perchè il volto oscuro di un potere che macina i corpi dei suoi figli con un cinismo disumano, atterrisce e getta nello sconforto.
Lo sconforto di una città, delle famiglie, schiacciate dal dolore di un gesto incomprensibile e inaccettabile.
E' l'ennesimo episodio della rapacità di quelle fiere nascoste nell'ombra del potere, nei corridoi dei palazzi dove si decide il destino di una nazione, nelle riunioni segrete di quelle strane e schifose fratellanze, in quel macigno che pesa sul nostro popolo da tanto, troppo tempo.
E il dolore diventa ancora più forte e lancinante quando vedo la gente spontaneamente che si riversa per strada, forse solo per guardarsi negli occhi, per domandarsi l'un l'altro “ma è tutto vero?”, per stringersi in un simbolico abbraccio che sa di paura, ma anche di voglia di riscossa, di rabbia, di indignazione. Ma rimango ancora più male quando scruto gli occhi di chi è con me, oggi, nella mia Cosenza, e di tutti coloro che completamente indifferenti mi sfilano accanto senza nemmeno accorgersi della manifestazione, senza nemmeno chiedersi cosa stia succedendo, senza nemmeno sentire la necessità di fermarsi un attimo a pensare. E ti passano accanto mille volti sorridenti, mille ragazzine truccate alla follia, famiglie con bambini nelle carrozzine, completamente inconsapevoli, disinteressati. E mi guardo in giro e vedo che a manifestare, mentre la vita tranquilla di un sabato pomeriggio di città va avanti come se niente fosse, siamo molti di meno di coloro che passeggiano, di tutti i ragazzi e le ragazze della stessa età di Melissa che preferiscono passare il solito sabato senza soffermarsi a pensare, almeno per un attimo, in quale paese viviamo.
E poi comprendo che la manifestazione è organizzata contro la mafia. Come se fosse certo che l'attentato sia di stampo mafioso. E c'è anche chi cerca di spiegarmi le ragioni per le quali deve essere stata la mafia. E cerca di convincermi che se le associazioni attive contro la mafia sul territorio di Brindisi danno molto fastidio alla criminalità organizzata, è facile dedurne che l'attentato sia di stampo mafioso, che sia la reazione violenta ad un affronto.
Senza però riflettere che la mafia di Brindisi, o Sacra Corona Unita che dir si voglia, non ha nessun interesse a scatenare un attacco di simile violenza ed impatto emotivo. Che la mafia pugliese (ma qualsiasi mafia) non ha niente da guadagnare da una militarizzazione (che ci sarà almeno per qualche tempo) del territorio che controlla. Che non ha nessun interesse ad attirare su di se così tante attenzioni e indignazione. Ed anche che la mafia fino ad oggi non ha mai colpito dei bambini deliberatamente. Non ha mai individuato nei bambini un bersaglio politico e strategico. Perchè i bambini, anche per la mafia, NON possono essere un obiettivo strategico.
E l'attentato di oggi NON è un obiettivo strategico della mafia.
Logicamente non regge.
E per mille motivi.
Per mille ragioni che sarebbe anche stucchevole andare a sondare.
In Italia le uniche stragi che hanno colpito dei civili inermi sono sempre e solo state Stragi di Stato (da Portella della Ginestra a quelle dei terribili '92 e '93). Stragi di quel potere Nero che si nasconde nei palazzi della politica (oggi in grave crisi come allora), delle logge massoniche coperte, nei consessi del potere finanziario (in questo senso si criminale), che nei periodi di grave crisi come quella che stiamo oggi vivendo ha, sì!, tutto l'interesse a destabilizzare una società intera per perseguire i suoi obiettivi di ristrutturazione di cui ha bisogno per perpetuarsi, per impedire escalation di democratizzazione del sistema, per impedire che sempre più cittadini comprendano la necessità di un cambiamento che in Italia si invoca dall'inizio dei tempi.
E nell'acre odore dell'esplosione di oggi che ha portato via Melissa (e speriamo con tutto il cuore nessun'altro) ad essere colpita al cuore, oggi, è la dignità di un popolo intero. E la sua pretesa di voler dire no a questa crisi che ci schiaccia, che ci umilia, che ci spinge a gesti estremi (come il suicidio), che distrugge il nostro futuro e quello dei nostri figli.
Oggi, in Italia, probabilmente è cominciata l'agonia finale della nostra libertà.
E non ci sarà nulla da fare se continueremo a lasciarci strumentalizzare, irretire, impaurire, delegittimare, dalle bugie di questo potere oscuro così spudorato e cinico, spietato ed estremamente deciso a non lasciare niente, assolutamente niente, al caso o alla fortuna.

(Francesco Salistrari)

sabato 12 maggio 2012

Gli faremo la linguaccia.


Ricordo.
Ricordo una giornata di settembre.
Ricordo un cambio dalla panchina.
Il vecchio e astuto Trapattoni che chiama Ravanelli e inserisce questo ragazzino smilzo. E mi domando, ma chi è?
E bastano 38 secondi a capire chi fosse!
Perchè Alessandro Del Piero, Conegliano 9 novembre 1974, alla prima palla che tocca su un invito di Di Livio la mette in rete.
Fu quel giorno che mi innamorai di Del Piero.
Una leggenda. Un campione assoluto del calcio. Quello con la “C” maiuscola.
Da quel settembre 1993, ancora bambino, crescemmo insieme tifando Juve. Io da casa, allo Stadio, con gli amici, lui in campo, negli stadi, in giro per il mondo, con i suoi compagni di squadra, record dopo record.
Ricordo.
Ricordo i momenti più belli. I suoi goal da fantascienza. Le sue esultanze. La sua determinazione.
Ricordo ogni partita, ogni momento vissuto “con” lui.
Ricordo il suo terribile infortunio a Udine, i nove mesi di lunga attesa per vederlo nuovamente in campo. E ricordo le parole dei gufi, dei detrattori, di chi criticava il giocatore per partito preso, di chi odiava la Juventus e quindi il suo simbolo, il suo campioncino che a soli 23 anni aveva già vinto tutto. Ricordo le parole “è finito”, “non si riprenderà” dopo gli avvii stentati del dopo infortunio. Un infortunio dal quale (rottura dei legamenti del ginocchio) tutti, addetti ai lavori e non, sanno benissimo quanto sia difficile e faticoso riprendersi. Quanto importante sia il fattore psicologico, quanto determinante la “paura” di rifarsi male, quanto difficile ricominciare a fare movimenti che prima erano perfettamente naturali e che dopo sembrano troppo complicati.
Eppure io ero lì. Sulla mia solita poltrona. Ad attenderlo. Insieme a tutti i suoi tifosi. Alla faccia di tutti quelli che lo criticavano. Ad ogni prestazione scadente. Ad ogni goal sbagliato. Ad ogni errore. Anche ad ogni sfortuna.
E nessuno mai che abbia sottolineato come proprio l'infortunio di Del Piero abbia coinciso con il calo delle prestazioni di tutta la Juventus, che senza il suo campione stentava a vincere e a convincere. Nessuno che ammettesse l'immensità di un calciatore, ancora giovanissimo, così determinante, un patrimonio del calcio italiano.
Nessuno che abbia mai notato come nelle stagioni in cui Del Piero si infortunò (ad esempio nuovamente nel 2003 quando stette lontano dai campi per mesi) la Juventus fallì i suoi obiettivi. E come anche in quel caso l'allenatore simbolo di quella Juve, Marcello Lippi, proprio colui che scelse Del Piero e cedette Baggio (un altro gigante assoluto del nostro calcio), decise proprio in quelle stagioni di lasciare la squadra. Quasi come se si rifiutasse di allenare la Juve senza Del Piero.
Senza il suo campione.
Senza colui il quale accendeva una partita con un colpo di genio in un momento. Che decideva le sorti di interi campionati. Che risultava determinante come pochi giocatori al mondo.
Eppure qualcuno sempre a storcere il naso.
Eppure sempre qualcuno a mettere subito dopo il nome di Del Piero un “ma”.
Del Piero è una caso davvero strano del calcio italiano. Un caso anomalo.
Si perchè in Italia giocatori meno forti e meno determinanti di Del Piero, sono stati esaltati e osannati non solo dai propri tifosi (giustamente!) ma dai giornali, dagli addetti ai lavori, in maniera esagerata rispetto a Del Piero.
Se un PincoPallino qualunque segnava di tacco, tutti a tirarsi giù il cappello e a esaltare il gesto tecnico. Se segnava Del Piero di tacco (goal meravigliosi) ecco sempre qualcuno pronto a dire “eh ma non l'ha toccata” (goal nel derby) o “ma è un goal inutile” (finale di champions contro il Borussia Dortmund). Come se Del Piero fino a quel momento non avesse mai segnato goal decisivi nelle partite che contano davvero!
Mai nessuno che apprezzasse il gesto in sé, senza porre il solito, noioso “ma”.
Come quando a testa china e con umiltà incredibile, insieme ad altri campioni del mondo e palloni d'oro, disputò il campionato di Serie B dopo lo sfacelo di “calciopoli” e si laureò capocannoniere della serie (portando la sua Juve in Serie A). Nessuno che abbia detto, è stato meraviglioso. E' stato esemplare. Un campione della sua grandezza che gioca con impegno assoluto un campionato intero (35 presenze su 42 e 20 goal), con la cattiveria, la rabbia e la determinazione delle partite che contano. Nessuno. Ma i soliti accanimenti.
Diventa capocannoniere e tutti a dire “eh vabbè, ma era Serie B!”.
E Del Piero (ed io insieme a lui) in silenzio, senza mai scomporsi, senza mai ribattere niente. Perchè aveva solo un modo per ribattere alle critiche ingiuste, agli attacchi volgari.
Il campo.
E nell'anno successivo alla Serie B ecco la risposta. Dirompente. Straordinaria. Come solo un campione straordinario come lui può dare: capocannoniere della Serie A con 22 reti.
Tutti zitti?
Macchè.
Alex Del Piero. Indiscutibilmente uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi. Eppur pochi lo riconoscono.
Ed è una cosa che non mi so spiegare. Che non capisco. Che non posso accettare.
Un giocatore che a 38 anni, segna ancora goal decisivi (quello alla Lazio di quest'anno per esempio) e, di fatto, regala lo scudetto, l'ennesimo, alla Juventus. Un giocatore che è secondo nella classifica di tutti i tempi per reti segnate nelle competizioni europee. Un giocatore che è terzo in classifica dei cannonieri italiani di tutti i tempi (328 goal).
Un campione che ha vinto praticamente tutto (tranne l'Europeo con la nazionale).
Un esempio di correttezza, di lealtà sportiva, di gentilezza ed eleganza.
Mai fuori dalle righe. Mai un gesto violento in campo. Mai un cartellino rosso diretto.
Eppure è stato (ed è) anche il giocatore più criticato, denigrato, attaccato, insultato, deriso.
Un mistero.
Un qualcosa di assolutamente inspiegabile (e inaccettabile).
Una ferocia incredibile nei confronti di un campione assoluto. Ed ogni parola è superflua per deprecare un simile trattamento.
Perchè è impensabile che a un giocatore come Del Piero non venga riconosciuto il posto che merita nell'olimpo dei campioni. Lì, a fianco di gente come Maradona, Pelè, Cruyff, Zidane, Baggio, Di Stefano, Giggs, Pirlo, Seedorf, Nesta, Baresi, Scirea e tanti, tanti altri.
Un riconoscimento negato solo in Italia.
Perchè all'estero Del Piero è visto per quello che è.
E se segna una doppietta al “Bernabeu”, dopo una partita superba, ed esce sostituito a pochi minuti dalla fine, tutto lo Stadio si alza in piedi ed applaude.
In Italia non è mai successo.
Chissà come mai.
Chissà perchè l'Italia è un paese così poco obiettivo.
Ma Del Piero aspetterà in silenzio il giorno in cui si riprenderà la sua rivincita.
Come sempre ha fatto.
E con il suo sorriso dolce e un po' canzonatorio, dalla sua poltrona (ed io insieme a lui, come sempre) ascolterà i vari giornalisti e commentatori, rimpiangere (amaramente) di non vederlo più in campo.
Perchè il calcio, senza Del Piero, non sarà più lo stesso.
Ve lo posso garantire.


(Francesco Salistrari)

giovedì 10 maggio 2012

Spiegate all'Antitrust cosa sono la Trilaterale e il Bilderberg



L'antitrust, ovvero l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha stabilito che non c'è incompatibilità tra la funzione di Mario Monti nel suo esecutivo e le sue presidenze nella Commissione Trilaterale e nel Gruppo Bilderberg. Ovvero possiamo stare tranquilli perchè, come si legge a pagina 18 della relazione semestrale sul conflitto di interessi, "sono state considerate compatibili per assenza di rilievo imprenditoriale, tra le altre, alcune cariche ricoperte all’interno del Gruppo Bildeberg, della Commissione Trilaterale e del think tank Bruegel", così come "le cariche di membro del Comitato esecutivo e di Consiglio Generale di Aspen Institute" e di "membro del Comitato di indirizzo della Fondazione Italianieuropei".


 Chetatevi dunque, che non c'è motivo di allarmarsi. Parola di quell'antitrust che già fu di Giuliano Amato e che conta almeno uno dei suoi ministri nel ristretto collegio di tre membri, oltre al presidente Pitruzzella. Le autorità sono emanazioni della politica, e come tali fa sorridere che possano in qualche modo esprimersi contro. Basti pensare che il predecessore di Pitruzzella, Antonio Catricalà, si è dimesso proprio perchè nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del Governo Monti. Con una tale osmosi di cariche, dopo "Autorità Garante" potremmo tranquillamente aggiungere "per i soliti noti", senza che questo ne pregiudichi il senso.


 La motivazione addotta a scagionare Mario Monti, del resto, taglia la testa al toro: "assenza di rilievo imprenditoriale". Ora attenzione: la Commissione Trilaterale è essenzialmente la più potente lobby delle imprese americane. Le quali,come ammetteva lo stesso Monti, "sono state sempre tra i fattori di spinta dell’integrazione europea, per il loro vantaggio materiale”. Lui, il professore, ne è stato fino al 24 gennaio forse la più alta carica, un po' quello che era la Marcegaglia per Confindustria. Potrebbe il presidente di Confindustria non avere rilievo imprenditoriale? Ovviamente no. Eppure abbiamo messo un rappresentante delle imprese americane a determinare le fortune di quelle italiane. Come dire che tra Pacciani e due che fanno l'amore in macchina non cè conflitto di interessi.


 Ma per l'antitrust non c'è incompatibilità. Forse ci vorrebbe un'Autorità Garante per le Democrazie e i Mercati, oppure un'Autorità Garante per le Autorità di Garanzia. O forse, meglio ancora, bisognerebbe solo mandarli a casa tutti.

fonte: http://www.tzetze.it

domenica 6 maggio 2012

L'Energia ai cittadini.


Si parla tanto di energie alternative, di rinnovabili. Ed in Italia, la patria del sole, in questi anni si è fatto veramente poco e quel poco che si è fatto, lo si è fatto anche male. A cominciare dai CIP6, passando per gli incentivi al fotovoltaico, fino ai bandi di gara regionali per installazioni pubbliche. Un mare di euro spesi male e che non hanno ancora minimamente inciso sui consumi globali di energia.
E così, mentre altri paesi, come la Germania, entro il 2022 saranno sostanzialmente autosufficienti, l'Italia resta negli ultimi posti per costi energetici e percentuali di energia prodotta da rinnovabili.
La solita arretratezza strutturale italiana. Come in altri ambiti, anche in quello delle energie alternative, siamo l'esempio negativo da non imitare.
Un dibattito serio ed approfondito sulle rinnovabili in Italia non è mai stato affrontato ed anche in questo la classe politica italiana ha dimostrato un grado di inadeguatezza assoluto ed esasperante. Le politiche varate a livello nazionale sono state non solo inefficaci, ma soprattutto hanno permesso sprechi e inefficienze che oggi a scontare sono le famiglie italiane. L'aumento del 4,3% della bolletta energetica per il 2012, sarà l'ennesimo salasso sulle già precarie condizioni di milioni di italiani che, aggiunto alle vecchie e nuove tasse, all'aumento dell'IVA, dei prezzi dei carburanti e della spirale del debito, non fanno che aggravare una situazione di per se già estremamente difficile.
C'è bisogno al più presto di un Piano Nazionale per l'Energia. Uno strumento indispensabile per programmare gli investimenti necessari a rendere l'Italia un paese sempre meno dipendente dalle importazioni di gas e petrolio dall'estero.
La rivoluzione energetica passa attraverso però un elemento essenziale: la ripubblicizzazione dell'ENEL.
La privatizzazione del settore (nonostante una compartecipazione statale al 31%) si è dimostrata assolutamente incapace di garantire ai cittadini un servizio migliore e soprattutto tariffe più basse (che era quello che si prometteva nel 1999 quando l'ENEL divenne una s.p.a.). Ma soprattutto si è dimostrata la resistenza più strenua verso una programmazione reale nella direzione delle rinnovabili. Quando nel 1991 fu implementata la normativa europea per l'energia e furono istituiti i cosiddetti CIP6 (un sovrapprezzo del 6-7% in bolletta sui consumi finali) da destinare allo sviluppo delle energie alternative, molto furbescamente fu inserita in fase di approvazione una semplice parola che ha stravolto il senso del provvedimento. Infatti a fianco alla parola “energie rinnovabili” fu aggiunta “e assimilate” dando così modo di ricevere incentivi anche a coloro che non producono energia da fonti rinnovabili, ma da installazioni a biomassa, inceneritori e termovalorizzatori (che sono la stessa cosa).
Con questa modifica all'apparenza insignificante la maggior parte dei fondi “raccolti” (circa 60 miliardi di euro, dati 2007 ndr) sono andati nella direzione non delle rinnovabili ma di altri sistemi di generazione comunque inquinanti e poco redditizi (bassa efficienza energetica). Quello che bisogna rilevare a questo proposito è che la furbata legislativa è stata accompagnata da una gestione privatistica dei fondi che ha favorito alcuni imprenditori al posto di altri e un tipo di energia al posto di altra, segnando così un ritardo consistente di tutto il paese che va recuperato.
Come?
La ripubblicizzazione dell'Ente è il primo passo.
Il secondo ed immediato è modificare la normativa sui CIP6 ed eliminare la possibilità di destinare i fondi ad energie diverse da quelle strettamente rinnovabili (fotovoltaico, eloico, pompe di calore, coogenerazione ecc.). E cambiare anche in maniera sostanziale il sistema degli investimenti prodotti fino a questo punto. Gli investimenti nel settore non devono ridursi a dei semplici incentivi ai fornitori di energia (che avevano la possibilità di rivendere al doppio del costo di mercato l'energia prodotta con i sistemi individuati nella normativa), ma devono tradursi fin da subito in investimenti strutturali per garantire alla cittadinanza di usufruire dei vantaggi dei fondi raccolti dalle proprie bollette. Si tratta di una questione di razionalità economica elementare. Inoltre, e questo è il punto fondamentale, i cittadini devono tornare ad essere i proprietari della rete di distribuzione. Senza questo passaggio irrinunciabile cercare di risolvere il problema dell'indipendenza energetica è assolutamente impraticabile a meno di investimenti privati nel settore assolutamente impensabili (per volume e profitti previsti). La proprietà pubblica della rete di distribuzione permetterebbe investimenti mirati (nuovi CIP6) alla creazione, per esempio, della cogenerazione diffusa in modo tale da rendere nel giro di un decennio i quartieri delle nostre città assolutamente autosufficienti dal punto di vista energetico con serie e positive ricadute sui consumi e sui risparmi per le famiglie. Fintanto che la rete di distribuzione resta in mano privata una politica efficace (e investimenti programmati) in questa direzione sono impensabili.
Tutto questo naturalmente non può prescindere da una programmazione Nazionale di largo respiro, né tantomeno da una ristrutturazione razionale dell'Ente per l'Energia. Ristrutturazione che preveda innanzitutto un management pubblico di alta qualità ed un controllo democratico diretto sulle scelte strategiche che l'Ente si troverà ad operare. Controllo che non può essere affidato più semplicemente al Ministero (così com'era in passato prima della privatizzazione), ma che investa un organo di controllo permanente in cui siano rappresentate anche le esigenze degli enti locali (e quindi dei cittadini).
I presupposti per un cambio radicale in questa direzione oggi, purtroppo, non sussistono. Per svariate ragioni. Di natura politica ed economica.
Resta il fatto che se si vuole sterzare seriamente verso l'affrancamento della schiavitù energetica italiana, questa è l'unica via. Presentare nuovamente, come è stato fatto, il nucleare come soluzione, o il sistema degli incentivi (pozzo nel quale come sempre ad avvantaggiarsene sono pochi a danno della collettività), significa mantenere in vita proprio quegli elementi che contribuiscono a mantenere il paese in una perenne situazione di inferiorità ed arretratezza e alimentano, come molte altre questioni, la spirale del debito pubblico che ci sta schiacciando.


(Francesco Salistrari)

giovedì 3 maggio 2012

Una nuova Riforma Protestante.



Ormai si è capito.
Anche i politici l'hanno capito.
La rete è uno strumento eccezionale di democrazia dal basso. Garantisce contatti e scambi di informazione impensabili solo vent'anni fa. Garantisce alla gente di potersi confrontare, senza intermediari, senza censura. Rappresenta un potenziale immenso di aggregazione intorno ad un nucleo di valori e proposte capaci di indirizzare il corso della politica, quella alta, democratica, nella direzione giusta. La rete è il luogo della non elezione. Dove ognuno conta davvero uno e può esprimere liberamente le proprie opinioni. E da la possibilità a chiunque di accedere alla conoscenza senza il filtro dei media.
I media (dal latino “medium”), sono un inframezzo, un “punto di mezzo” tra i cittadini e la conoscenza. E se i media ufficiali sono di proprietà di grandi gruppi bancari, finanziari e politici, come possono garantire l'obiettività delle notizie “mediate”? Come possono garantire al cittadino di usufruire di una informazione completa, imparziale, onesta se chi fa informazione è al libro paga di chi ha tutto l'interesse a informare male e capziosamente la pubblica opinione?
Ed ecco la funzione fondamentale della rete. Degli stessi social network. Del mondo dei blog.
Certamente anche sulla rete esistono malainformazione, fake, notizie false. Ma la coscienza democratica di massa che si esprime in rete è in grado di dividere il grano dall'oglio con una facilità impossibile con i media tradizionali. Perchè in rete tutto rimane. Tutto è rintracciabile. Tutto è comparabile. Verificabile. E gli strumenti che offre, garantiscono a chiunque di formarsi un'opinione in piena libertà e in piena autonomia.
La rete è la Riforma Protestante della modernità.
Non c'è più la mediazione ecclesiastica nel contatto con Dio.
E la Chiesa del mondo moderno, l'informazione, sta crollando.
E qui arrivano i problemi.
Perchè statene certi, la rete sarà messa sotto accusa. Sarà demonizzata (come già lo è) dalla cultura ufficiale, dalla politica, dal mondo degli affari, dal mondo che ne subisce la prepotente democraticità.
Esiste un mondo nel mondo che è profondamente antidemocratico e nel nostro paese è una realtà con la quale ci scontriamo da centinaia di anni. La voracità predatoria e criminale delle nostre classi dirigenti è un dato storico dal quale non si può prescindere per comprendere i rischi che corre non solo la democrazia formale nel nostro paese, ma la libertà reale degli italiani. E come accadde già in passato, potremmo diventare il laboratorio mondiale di nuove soluzioni del potere per far fronte alla marea montante del malcontento e dell'autorganizzazione dal basso dei cittadini.
La rete verrà messa all'indice, prima o poi. Anche da questo stesso governo se nell'avvicinarsi dell'appuntamento elettorale le cose dovessero precipitare. E i rischi per la democrazia, anzi per questa nuova fetta ritrovata di democrazia, per la conquista di uno spazio di libertà che si chiama internet, sono altissimi.
Dobbiamo prepararci ad un attacco frontale (e dall'interno) ai meccanismi della rete. Dobbiamo attenderci una limitazione prepotente alle potenzialità democratiche dello strumento rappresentato dalla rete.
Già in un passato non troppo lontano le proposte legislative per la limitazione della libertà in rete si sono fatte avanti con prepotenza. Fino a questo momento non sono andate a buon segno. Ma gli attacchi continueranno e via via che la situazione diventerà più critica e complicata da gestire per le classi dirigenti, saranno sempre più drastiche.
Dobbiamo essere pronti.
Dobbiamo esser capaci di trasferire la rete virtuale anche nel reale. Coinvolgere a pieno titolo chi la rete ancora non la usa. Legare i movimenti. Diventare un fronte compatto. Un muro umano contro il quale la protervia e l'arroganza di questo potere non potrà fare altro che scontrarsi e rischiare l'annichilimento.
Per una ragione molto semplice.
Noi, siamo la maggioranza assoluta del popolo italiano... e mondiale.
Non sono i popoli a dover aver paura dei propri governi, ma i governi che devono aver paura dei propri popoli” (T.Jefferson)

©Francesco Salistrari


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