venerdì 29 giugno 2012

La rivoluzione che è in noi.


Siamo ad un bivio storico cruciale.
E non solo per la crisi.
Perchè la crisi oltre a ragioni strettamente economiche è determinata anche da fattori antropologici.
Il sistema capitalista ha fallito.
Non è fallito. Come in tanti sostengono appoggiandosi a obsolete analisi delle sue cicliche crisi sistemiche. Perchè da ogni crisi ciclica, il capitalismo ne è uscito sempre e in vari modi. Cambiando struttura economica e istituzionale, sociale, forme di produzione ecc. Ne è uscito anche e spesso attraverso la guerra distruttrice di ricchezza e di vite umane, per poi risorgere dalle proprie ceneri più in forma ed in salute di prima.
Ma è indubbio che HA fallito.
Ha fallito nella pretesa millenaristica di creare un mondo giusto, di realizzare il benessere universale, di garantire libertà e felicità ad un numero via via crescente di persone.
Ha fallito nella sua pretesa di dimostrare che il mercato sia il sistema migliore, infallibile, di allocazione delle risorse e di forza propulsiva dell'economia.
Ma ha soprattutto fallito nella sua pretesa di creare un essere umano migliore.
Il sinonimo sociale più evidente della crisi, economica e di sistema, è l'individualismo sfrenato.
I cardini del pensiero liberale dell'interesse individuale come forza trainante del benessere collettivo e della competitività come criterio selettivo delle migliori espressioni della creatività umana, hanno dimostrato ampiamente di aver ridotto il mondo ad un luogo inospitale, inquinato, malato, in una parola disumano.
Cosa c'è di umano in 26 mila bambini al giorno che muoiono per fame e malattie? Cosa c'è di positivo in un mondo in cui 72 specie di esseri viventi al giorno si estinguono?
Cosa c'è del benessere tanto invocato in 2 kg di rifiuti a persona prodotti ogni giorno?
E potrei andare avanti così per ore.
E' inutile negarlo.
E' inutile fare i lacchè del potere e fingere che non sia così.
E' inutile continuare a fare gli esegeti di un sistema che permette all'1% della popolazione mondiale di detenere il 60% della ricchezza totale.
Bisogna essere estremamente insensibili, ottusi, chiusi o perfettamente complici, per affermare il contrario.
O per riproporre il capitalismo come il miglior mondo possibile.
Non voglio credere nella maniera più assoluta che il genere umano è al massimo a questo che può aspirare.
Non dobbiamo accettarlo. Che è poi questo il punto.
Dobbiamo capire un fatto cruciale, fondamentale, essenziale.
Il sistema siamo noi.
Ed anche se esso permette a pochissimi di arricchirsi e vivere quasi in una realtà parallela, mentre la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, al massimo, può solo sperare di lavorare tutta una vita per vivere dignitosamente o almeno provarci, chi regge in realtà in piedi tutto questo bell'ambaradan, siamo proprio noi.
Tutti noi.
Che facciamo i nostri lavori senza chiederci mai se siano davvero necessari, che compriamo migliaia di prodotti inutili e il più delle volte inquinanti solo perchè crediamo agli status symbol che il sistema ci propina attraverso le pubblicità, siamo noi che permettiamo al sistema di funzionare attraverso i nostri servizi, siamo noi che guidiamo i treni, gli autobus, che facciamo benzina alle pompe di compagnie petrolifere che per estrarre il petrolio affamano intere nazioni nel mondo, che muovono guerra ad intere popolazioni per rubare loro le proprie risorse, siamo sempre noi che firmiamo i contratti, che facciamo i conti, che ci lasciamo ricattare per un tozzo di pane, che ci lasciamo abbindolare dai venditori di fumo, siamo noi che votiamo i politici che poi ci fregano con le loro magagne e se non votiamo ce ne stiamo comunque a casa senza fare niente, pronti solo a lamentarci per quello che non va, siamo noi che compriamo l'I-Phone a rate o il televisore al plasma per guardare programmi idioti e che ci riempiono la testa di stronzate, siamo sempre noi che facciamo la fila ad un centro commerciale per spuntare l'ultima sensazionale offerta del giorno, e siamo sempre noi che così facendo contribuiamo a lasciare un mondo da schifo alle generazioni che verranno.
Occorre una rivoluzione culturale, nella testa, nelle coscienze, nell'anima e ritornare ad essere ciò che madre natura ci ha permesso di essere.
Abbiamo le risorse, le potenzialità, la creatività, l'intelligenza e la forza di garantire a tutti una vita felice. Abbiamo le competenze tecniche e le forze tecnologiche per permettere a tutti di lavorare pochissime ore al giorno e dedicarsi nel resto del proprio tempo libero a tutto ciò che  vuole, liberando finalmente l'immane potenzialità dell'essere umano, una immensa riserva di energia positiva che aspetta solo di essere sprigionata.
Abbiamo bisogno che ognuno di noi, nel suo piccolo si interroghi su chi è, sui chi è diventato, su chi vuole essere davvero.
Siamo davvero sicuri che fama e fortuna siano un valore?
Siamo davvero convinti che fare il proprio interesse a scapito di altri, sia la strada migliore per vivere una vita dignitosa e felice?
Questo sistema marcescente, sta facendo marcire la cosa più importante che abbiamo e che non siamo più in grado di vedere: la nostra umanità.
E' venuto il tempo di cambiare davvero, radicalmente, quello che siamo e ciò che vogliamo.
Perchè arriverà sicuramente il giorno in cui, se non lo facciamo, a pentirsene (e amaramente) saremo tutti quanti.

(Francesco Salistrari)

sabato 23 giugno 2012

Come dire addio alla democrazia.


Uscire dall'euro e dall'Europa vengono visti e veicolati dal mondo mediatico e politico italiano come l'incipit della catastrofe sociale, economica e politica di questo paese.
Il tabù del ritorno alla piena sovranità nazionale è talmente radicato che, scardinare questo piccolo (ma così grande) “pensiero dominante”, sembra impossibile.
Eppure esistono studi economici e precedenti storici (vedi Argentina) che sottolineano come non è impossibile uscire dall'euro, né che sia catastrofico come viene dipinto dal terrorismo mediatico in atto.
Il problema è che le elites di questo paese, parte integrante di quei circoli elitari che della costruzione europea e dell'euro hanno fatto la propria ragione politica, sono pienamente consapevoli che un vasto movimento contro l'euro e l'Europa del Trattato di Lisbona sia pericolosissimo per i propri interessi e prerogative.
La costruzione europea, attraverso unione monetaria e trattati, configura infatti una situazione politica ed economica particolarmente vantaggiosa per queste elites a cui difficilmente rinunceranno.
Si, c'è la crisi. Si, i paesi della zona euro sono tutti in grandissima sofferenza e il peso dei debiti sovrani sembrerebbe schiacciare tale costruzione.
Quando si considera questo, ci sfugge, tuttavia, un dato particolarmente importante. E questo dato è che la crisi, partita nel 2008 dagli USA con l'esplosione della “bolla” dei mutui sub-prime, è si strutturale e connaturata ai movimenti ciclici del capitalismo mondiale, è si determinata dalla particolare congiuntura storica, affonda si le proprie radici nella più generale situazione energetica mondiale, ma proprio per questo e proprio grazie alla struttura e alle caratteristiche della costruzione europea, viene magistralmente sfruttata dai grandi gruppi di potere continentali e statunitensi, per sperimentare un nuovo modello sociale occidentale che presuppone una generalizzata e consistente soppressione dei diritti individuali.
Grazie alla messa al bando della democrazia rappresentativa, sfumata nelle istituzioni europee che non hanno legittimazione democratica, grazie al controllo economico e politico garantito alle istituzioni europee sui contesti nazionali attraverso i vari trattati (Fiscal compact, MES ecc.) e soprattutto la moneta unica, il ruolo, le prerogative e la sovranità dei vari stati nazionali sono stati ridotti ad un orpello ornamentale, giuridico e politico, che ha inficiato qualsiasi garanzia di controllo democratico delle dinamiche decisionali.
E' chiaro dunque che in gioco, nel massacro della crisi, c'è ben altro.
E le elites dominanti non rinunceranno così facilmente al giocattolo dell'euro e dell'Unione Europea così magistralmente costruito pezzo per pezzo.
L'obiettivo è quello di smantellare gli ultimi residuati nazionali a controllo pubblico (aziende, partecipazioni, patrimonio pubblico), abbassare i livelli salariali e le tutele del lavoro, abbassare i consumi e garantire ai paesi più forti (Germani, Francia) una serie di paesi economicamente più deboli (nell'alveo della moneta unica e dell'Unione) che garantiscano livelli di competitività vicini (se non superiori) ai paesi dell'Est Europeo (Polonia, Romania ecc).
In pratica paesi produttori di semilavorati a basso costo che garantiscano una maggiore efficacia nella competizione sui mercati mondiali ai paesi traino come la Germania e la Francia, il cui tessuto produttivo è ancora saldamente in salute a differenza di quello italiano, portoghese, greco e spagnolo, ormai quasi totalmente smantellato dalla crisi e dalle politiche delocalizzative attuate in questi decenni.
L'abbandono dell'euro e dell'Unione Europea, dunque, appare imprescindibile se si vuole garantire a questi paesi, ed in particolare all'Italia, una via d'uscita dalla spirale della crisi. Ristabilire la sovranità monetaria, nazionalizzare la Banca d'Italia e riaffidarla al controllo del Ministero del Tesoro, programmare il default e azzerare il debito, sono solo alcuni dei passi che questo paese deve compiere per uscire dalla schiavitù imposta dai tecnocrati europei che produrrà nei prossimi anni, senza alcun dubbio, lo scivolamento dei paesi mediterranei nella povertà e nella precarietà.
La riconquista della sovranità nazionale si traduce in riconquista della democrazia. In riconquista del controllo della propria economia e del proprio patrimonio collettivo.
Urge per questo motivo, vista la completa inconsistenza e compromissione delle forze politiche di questo paese (in particolare della sinistra), la necessità della creazione di un fronte ampio, popolare, in cui tutti, dai movimenti alle associazioni territoriali, dalle vertenze sindacali ai movimenti di lotta (No Tav, Forconi, i pastori Sardi ecc.), dai singoli cittadini al mondo delle università e della scuola, dal mondo dei precari ai disoccupati, dai pensionati agli impiegati, facciano quadrato per impedire il declino economico e sociale di questo paese e attraverso l'elaborazione collettiva, democratica, di un programma d'emergenza nazionale, programmino l'uscita dall'euro, la riconquista della sovranità monetaria e politica, la riappropriazione del patrimonio pubblico e una nuova declinazione delle forme democratiche istituzionali e sociali.
Sono questi i primi passi, imprescindibili e irrinunciabili, al fine di evitare quello che, posti gli interessi in gioco e chi determina le scelte collettive in questo paese e nel continente, appare purtroppo inevitabile.

(Francesco Salistrari)


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