sabato 15 febbraio 2014

La repubblica delle spallate.

Se Silvio Berlusconi avesse osato fare quello che ha fatto Matteo Renzi, il paese sarebbe in subbuglio. Si griderebbe allo scandalo accusandolo di un golpe o di un colpo di mano illecito. Con quello che è successo il 13 febbraio in modo fulmineo in via del del Nazareno l’Italia si dimostra per l’ennesima volta campione europeo delle anomalie.
Pochi giorni dopo aver rassicurato Enrico Letta di non volerlo sostituire a palazzo Chigi (“Stai sereno, Enrico..”) Renzi lo fa fuori con una specie di omicidio pubblico che ricorda un po’ l’accoltellamento di Romano Prodi in parlamento da parte del Pd. Renzi, dopo Mario Monti ed Enrico Letta, diventa il terzo premier consecutivo senza legittimazione degli elettori. Sarà l’unico premier europeo non eletto dal popolo e senza seggio in parlamento. E l’Italia è l’unico paese in cui i tre leader dei partiti più importanti – Renzi, Grillo e Berlusconi – non hanno un mandato parlamentare. Hanno anche un’altra cosa in comune: pur essendo diversi tra loro sono spinti da un ego smisurato e amano occupare il palco da soli.
L’Italia si conferma come repubblica delle spallate. La freddezza con cui è stato dato il benservito a Enrico Letta (e il sarcastico ringraziamento dei farisei) certo non fa onore al Partito democratico. Infine l’esito del voto della direzione conferma fatalmente la vocazione all’uomo forte. Renzi è stato votato anche da quelli come Gianni Cuperlo e Stefano Fassina che fino a poche settimane fa erano i suoi avversari interni (“Fassina chi ?”) e l’avevano coperto di aspre critiche. Con un repentino cambio di strategia Letta viene liquidato in modo ignobile senza esplicite critiche o colpe concrete.
Infine i fatti di giovedì sono la prova che quelli che straparlano del rispetto delle regole sono i primi a calpestarle. Renzi va al governo con una manovra di palazzo che ricorda tristemente la prima repubblica. E ci va con i voti conquistati dal suo avversario Pier Luigi Bersani per rimanerci fino al 2018. Una follia politica.


mercoledì 12 febbraio 2014

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ammette: l'inquinamento è cancerogeno.

di Giuliano Polichetti
Ci siamo spesso occupati di inquinamento atmosferico, in particolare di PM (polveri sottili), e abbiamo visto le correlazioni esistenti tra di esse e numerosissime patologie (malattie cardiovascolari, respiratorie, difficoltà riproduttive e altre). Sono ormai anni che il mondo scientifico produce evidenze clamorose in tal senso, ma quasi mai riesce a sortire effetti che conducano politici e società civile a un cambio di rotta, a incoraggiare i cittadini ad assumere stili di vita meno impattanti e a tutelare l’ambiente in cui viviamo e il cibo di cui ci nutriamo. Eppure proprio la scorsa settimana l’IARC (International Agency for Research on Cancer), un ramo dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che si occupa esclusivamente di sostanze in grado di indurre neoplasie, ha ufficialmente riconosciuto l’inquinamento atmosferico e in particolare il PM come agente cancerogeno, in grado cioè di fare sviluppare a qualunque essere vivente molteplici tipologie di tumore. La conclusione? Più viviamo in ambienti inquinati più abbiamo la possibilità di sviluppare il cancro.

La situazione è davvero preoccupante dal momento che l’Organizzazione ha inserito le polveri sottili tra le sostanze del cosiddetto “Primo Gruppo” ovvero quelle dichiaratamente pericolose e delle quali è stata dimostrata la cancerogenità. Dal resoconto dell’IARC risulta che solo nel 2010 le morti per cancro al polmone imputabili al PM sono all’incirca 223.000, un dato che fa rabbrividire, soprattutto se consideriamo che si riferisce al solo mondo occidentale e a pochi paesi emergenti (Cina per esempio).

Questa presa di posizione dell’OMS segna un evento epocale: finora infatti, benché questi effetti fossero confermati da buona parte della comunità scientifica sopravviveva ancora un limbo di “detto non detto” su cui si reggeva, e tuttora si regge, il “non fare” delle istituzioni di tutto il mondo. La dichiarazione dell’OMS è vincolante e lascia poco, o meglio nessun margine al dubbio e all’incertezza. Nessuno può più far finta di niente o accampare alibi e tutti siamo obbligati a porre rimedio e trovare una strada per sanare questa boccia tossica in cui viviamo. Inoltre questo è l’esempio di come la ricerca, quando è indipendente e senza scopo di lucro, riesce a fornire la verità, pura e semplice. Ora la mia domanda è: alla luce di quanto detto, noi cittadini attenderemo magniloquenti provvedimenti internazionali o sceglieremo nel nostro piccolo di far qualcosa per salvarci la pelle? Ora è tempo di cambiare, il boomerang sta tornando dietro.



Giuliano Polichetti
Chimico Farmaceutico
Specialista in Farmacologia e Tossicologia Clinica


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Oms: “Smog è cancerogeno come l’amianto”. 220mila le morti causate solo nel 2010.
L’inquinamento dell’aria è stato inserito nel gruppo delle sostanze più dannose. E’ la prima volta che l’organizzazione mondiale della Sanità conferma ufficialmente un collegamento con il cancro ai polmoni

Lo smog è uno dei più importanti agenti cancerogeni. Lo ha dichiarato ufficialmente l’Iarc, l’agenzia di ricerca sul cancro dell’Oms, che ha annunciato oggi la decisione di inserire gli inquinanti dell’aria nel gruppo numero 1, quello dei sicuri cancerogeni, insieme a sostanze come amianto e benzene. E’ la prima volta che l’organizzazione mondiale della Sanità dichiara ufficialmente che l’inquinamento dell’atmosfera può causare il cancro. In precedenza l’agenzia aveva dichiarato nocivi solo alcuni componenti dello smog, come ad esempio i gas combusti del gasolio.
“L’aria che respiriamo è inquinata da diverse sostanze cancerogene – ha spiegato Kurt Straif, curatore della monografia dell’Iarc sull’argomento – Ora sappiamo che l’inquinamento dell’aria, oltre a provocare una serie di danni per la salute, è anche un potente cancerogeno, più del fumo passivo”. Lo studio dell’Oms raccoglie più di mille ricerche effettuate sui danni derivanti dall’inquinamento dell’aria in tutto il mondo. Un’analisi che ha registrato più di 220mila casi di morti nel 2010. Anche se la composizione dell’atmosfera varia da zona a zona, hanno spiegato gli esperti, le conclusioni sono valide in tutto il mondo.
“Ci sono prove sufficienti per affermare che l’esposizione all’inquinamento dell’aria provoca il cancro ai polmoni e aumenta il rischio di contrarlo alla vescica” ha precisato il team di ricercatori. Il rischio per i singoli individui è basso, anche se Straif ha precisato che le fonti di questo tipo di inquinamento sono così diffuse da essere difficili da evitare. I dati della ricerca non hanno permesso di stabilire se un particolare gruppo (donne o uomini, giovani o anziani) sia più vulnerabile ma è emerso che più aumenta l’esposizione più aumentano le probabilità di ammalarsi.
Sull’argomento l’Oms ha ricordato che si sta impegnando, insieme alla Commissione Europea, ad abbassare i limiti imposti per legge all’inquinamento atmosferico.



fonte: Repubblica


martedì 11 febbraio 2014

Ultime notizie sulla fine del mondo.

DI DAHR JAMAIL
Tom Dispatch

Sono cresciuto pianificando il mio futuro, chiedendomi a che università mi sarebbe piaciuto iscrivermi, cosa avrei studiato e poi dove avrei lavorato, quali articoli avrei scritto, quale sarebbe stato il mio prossimo libro, come avrei pagato il mutuo e quale sarebbe stata la prossima escursione in montagna che mi sarebbe piaciuto fare.  

Ora mi pongo domande sul futuro del nostro pianeta. Durante una recente visita ai miei nipoti di otto, dieci e dodici anni, mi sono trattenuto dal domandar loro che cosa avrebbero voluto fare da grandi, o qualunque altra delle domande orientate al futuro che normalmente facevo a me stesso. Mi sono trattenuto perché forse nel loro futuro quelle domande potranno essere rimpiazzate da altre, ad esempio come potranno ottenere acqua dolce, di che alimenti disporranno e quali parti del loro paese o del resto del mondo saranno ancora abitabili.




La ragione, ovviamente, consiste nel cambiamento climatico, e quello che sarebbe pottuto accadere mi fu chiaro nell’estate del 2010. Stavo scalando il Monte Rainier, nello stato di Washington, per la stessa via che avevo utilizzato in una salita nel 1994. Mi resi conto che, ad una certa altitudine, le punte metalliche dei ramponi dei miei scarponi, invece di scricchiolare nel ghiaccio, toccavano la roccia. Verso il tramonto, i miei passi provocavano scintille.

Il paesaggio era cambiato così drasticamente da confondermi. Mi fermai un momento per guardare giù nella falesia verso un ghiacciaio bagnato dalla soave luce della luna, circa cento metri più sotto.

Mi mancò il respiro quando mi resi conto che stavo guardando quello che rimaneva dell’enorme ghiacciaio che avevo scalato nel 1994, giusto in quel settore in cui avevo fatto scricchiolare il ghiaccio con i miei ramponi. Rimasi impietrito, respirando l’aria rarefatta di quelle altitudini, la mia mente lottava per comprendere il dramma indotto dal cambiamento climatico che si era sviluppato dall’ultima volta che ero stato in quel luogo.

Non sono tornato a Mount Rainier per constatare il ritiro del ghiacciaio avvenuto negli ultimi anni, ma recentemente mi sono imbarcato in una ricerca per capire quanto poteva essere pericoloso questo fenomeno.

Ho trovato alcuni scienziati seri - niente a che vedere con la maggior parte degli scienziati del clima, però atipicamente riflessivi - che suggerivano che il tema non è solo molto, molto negativo: è catastrofico. Alcuni di essi credono che se l’attuale ritmo di emissione di biossido di carbonio nell’atmosfera, a causa dell’utilizzo di combustibili fossili, si combina alla liberazione massiccia di metano, gas a effetto serra ancora più potente, la vita come l’abbiamo conosciuta nel pianeta avrà termine. Temono che stiamo cadendo in un precipizio a un ritmo raccapricciante.

I più conservatori nelle scienze del clima, rappresentati dal prestigioso Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) (Intergovernmental Panel on Climate Change n.d.t.) allo scopo di studiare il riscaldamento globale, prospettano scenari appena meno raccapriccianti, ma proviamo a prestare attenzione esattamente a quello che dicono questi scienziati che potremmo definire sull’orlo del precipizio.

* * *

“Come specie, non abbiamo mai sperimentato nell’atmosfera, 400 parti per milione di biossido di carbonio”, ha detto Guy McPherson, professore emerito di biologia evolutiva, risorse naturali ed ecologia dell’Università dell’Arizona, esperto in cambi climatici da venticinque anni. “Non siamo mai stati in un pianeta senza ghiaccio nell’Artico e sfondiamo il tetto delle 400 ppm… in un paio di anni. In questo momento, osserviamo che in estate il ghiaccio dell’Artico diminuisce. Questo pianeta non ha mai sperimentato l’Artico libero dal ghiaccio, almeno durante gli ultimi tre milioni di anni”.

Per i non esperti, in termini più semplici, questo è quello che significa un Artico libero dal ghiaccio quando si parla di un aumento globale della temperatura del pianeta: con un minore strato di ghiaccio sulle acque dell’Artico la radiazione solare invece di essere riflessa è assorbita direttamente dal mare. Questo scalderebbe ancora di più le acque e pertanto il pianeta. Ciò potrebbe cambiare i modelli climatici globali, variare il flusso dei venti e perfino un giorno, verosimilmente, alterare le correnti di aria di alta quota, o jet streams.

I jet streams polari sono come fiumi di correnti rapide che fluiscono nello strato più alto dell’atmosfera della Terra e spingendo le masse di aria, sia fredda che calda, svolgono un ruolo fondamentale nella determinazione del clima della terra.

McPherson che cura il blog Nature Bats Last (La natura è l’ultima a colpire) aggiunge: “Non siamo arrivati mai fino a questo punto come specie e le implicazioni sono davvero gravi e profonde per l’umanità e per il resto del pianeta vivente.”

Benché la sua prospettiva sia più estrema di quella della maggior parte della comunità scientifica che considera che un vero disastro potrebbe succedere tra molte decenni, McPherson non è l’unico scienziato ad esprimere tali preoccupazioni. Il professor Peter Wadhams, esperto dell’Artico dell’Università di Cambridge, sta misurando il ghiaccio dell’Artico da quaranta anni, e le sue ricerche confermano le paure di McPherson. “La diminuzione del volume di ghiaccio è tanto rapida che arriveremo allo zero molto velocemente”, ha dichiarato Wadhams alla stampa. Secondo i dati attuali, si stima “con una probabilità del 95%” che l’Artico avrà estati completamente libere dal ghiaccio già nel 2018 (scienziati delle Forze Armate degli Stati Uniti avevano stimato un Artico senza ghiaccio, ancor prima, già nel 2016.)

Lo scienziato britannico John Nissen, presidente del Grupo de Emergencia de Metano del Artico, del quale Wadhams è membro, suggerisce che se la perdita di ghiaccio marino durante il periodo estivo oltrepassa “il punto di non ritorno” e “si liberano catastrofiche quantità di metano Artico”, ci ritroveremo in una “emergenza planetaria istantanea.”

Gli scienziati McPherson, Wadham e Nissen rappresentano solo la punta di un iceberg in disgelo tra quelli che ci stanno avvisando su un imminente disastro che riguarda sopratutto la liberazione di metano dall’Artico. Nell’atmosfera, il metano è un gas ad effetto serra che, in una scala di tempo relativamente breve, è molto più distruttivo del biossido di carbonio (CO2). È ventitre volte più potente della CO2 su una scala temporale di cento anni, centocinque volte più efficace se si tratta di innalzare la temperatura del pianeta in una scala temporale di venti anni. E il permafrost artico, sulla terra e oltre la costa, è ricco di metano. “Il letto marino - dice Wadham - è un permafrost in alto mare, ma ora si sta riscaldando e fondendo. Già adesso stiamo osservando grandi pennacchi di metano gorgogliare nel Mare di Siberia… milioni di chilometri quadrati, nei quali la coperta di metano si sta già liberando.”

Secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature Geoscience, dalla Piattaforma Artica della Siberia Orientale si sta liberando una quantità di metano doppia di quella precedentemente ipotizzata, un’area di due milioni di chilometri quadrati di fronte alle coste settentrionali della Siberia. Gli investigatori hanno scoperto che almeno diciassette teragrammi (un milione di tonnellate, dice l’autore, 17 milioni di tonnellate, secondo CdC) di metano all’anno si stanno liberando nell’atmosfera, quando un studio del 2010 ne aveva trovato solo sette teragrammi.

Il giorno dopo che Nature Geoscience aveva pubblicato il suo articolo, un gruppo di scienziati dell’Università di Harvard e altre istituzioni accademiche, hanno pubblicato una relazione su Proceedings of the National Academy of Sciences che evidenziava come la quantità di metano che si emetteva negli Stati Uniti, tanto proveniente dal petrolio come dalle attività agricole, poteva essere il 50% maggiore delle stime precedenti e 1,5 volte superiore alle stime dell’Agenzia di Protezione Ambientale, EPA, nordamericana.

Ma è così importante il potenziale globale di metano accumulato? Non tutti gli scienziati credono che sia una minaccia immediata o perfino la principale minaccia che abbiamo di fronte, ma Ira Leifer, esperto dell’atmosfera e degli oceani dell’Università della California, Santa Barbara, uno degli autori del recente studio sul metano dell’Artico, mi ebbe a dire che “l’estinzione massiccia del Permiano accaduta 250 milioni di anni fa è connessa con il metano che si crede sia stata la causa dell’estinzione della maggioranza delle specie nel pianeta.” In quel periodo, si stima che il 95% di tutte le specie furono distrutte. Conosciuta come la “Gran Mortandad” (“La Grande Mortalità”), fu provocata da massiccio flusso di lava in una zona della Siberia che diede luogo a un aumento della temperatura globale di 6°C. Questo, a sua volta, provocò lo scioglimento dei depositi di metano congelati sotto i mari. Liberati nell’atmosfera, causarono un ulteriore incremento delle temperature. Tutto accadde in un periodo di circa ottanta mila anni.

Attualmente, stiamo in mezzo a quella che gli scienziati considerano la sesta estinzione massiccia della storia planetaria, con un ritmo di estinzione giornaliero tra 150 e 200 specie, ad un ritmo mille volte maggiore del tasso di estinzione “naturale” o di “background”. Questo evento può essere paragonabile, o perfino superiore, per velocità e intensità all’estinzione massiccia del Permiano. La differenza è che la nostra è causata dall’uomo, non prende un arco temporale di 80.000 anni, ma solo di pochi secoli e sta crescendo in forma non lineare.

È possibile che, le grandi quantità di biossido di carbonio provenienti dai combustibili fossili che entrano in atmosfera annualmente, unitamente a un aumento della liberazione di metano, segnino il principio del processo che portò alla Gran Mortandad. Alcuni scienziati temono che la situazione sia già talmente grave e con tanti circuiti di retroazione che corriamo verso la nostra estinzione. E sfortuntamente questo potrebbe accadere molto più rapidamente di quanto si creda: addirittura nel decorso dei prossimi decenni.

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Come recita un’informativa della NASA, “quello che si sgranchisce nell’Artico è un gigante climatico addormentato?”: “nel corso di alcune centinaia di migliaia di anni, i suoli congelati o permafrost dell’Artico, hanno accumulato grandi riserve di carbonio organico - una stima che varia da 1.400 a 1.850 petagrammi (un petagrammo è 2,2 miliardi di libbre, o mille milioni di tonnellate). Questo è circa la metà di tutto il carbonio organico immagazzinato nei suoli della Terra. In paragone è vicino ai 350 petagrammi di carbonio che sono stati emessi da tutta la combustione di combustibili fossili e dalle attività umane sin dal 1850. La maggior parte di questo carbonio si trova in suoli vulnerabili allo scongelamento, a tre metri di profondità.”

Scienziati della NASA, ed altri, si stanno rendendo conto che il permafrost dell’Artico - ed il suo carbonio immagazzinato - non possono restare permanentemente congelati come il loro nome indica. Lo scienziato Charles Miller, del Laboratorio de Propulsión a Chorro de la NASA, è il responsabile dell’equipe di scienziati che si occupa dell’Experimento de Vulnerabilidad de los Reservorios Articos (CARVE), una campagna di cinque anni diretta dalla NASA, sul campo, per studiare come il cambiamento climatico stia interessando il ciclo del carbonio nell’Artico. Miller riferì alla NASA: “I suoli di permafrost si stanno riscaldando perfino più rapidamente della temperatura atmosferica dell’Artico - da 2.7 a 4.5 gradi Fahrenheit (da 1,5 a 2,5°C) solamente negli ultimi 30 anni.” “L’incremento di temperatura minaccia di rimuovere le riserve di carbonio organico del permafrost, liberandole nell’atmosfera in forma di biossido di carbonio e metano, alterando il bilancio di carbonio dell’Artico, aggravando, in larga misura, il riscaldamento globale”.

Lo scienziato teme che le conseguenze siano lo scioglimento a gran scala del permafrost. E pertanto ha dichiarato, “i cambiamenti nel clima possono scatenare trasformazioni che semplicemente non sono reversibili nelle nostre vite, che possono causare cambiamenti rapidi nel sistema Terra, che richiederanno adattamenti per le persone e gli ecosistemi.”

Un recente studio della NASA mostra il rinvenimento di fonti di metano attive e crescenti fino a 150 chilometri di diametro. Uno scienziato a bordo di una nave di ricerca lo ha descritto come un gorgoglio visibile a occhio nudo, nel quale l’acqua del mare somiglia ad una piscina di soda. Tra le estati del 2010 e 2011 gli scienziati hanno riscontrato che nel corso di alcuni anni alcune finestre di metano di 30 centimetri di diametro erano cresciute fino a un chilometro di larghezza, un aumento del 3.333 %, un esempio della rapidità con la quale alcune parti del pianeta stanno reagendo all’alterazione del clima.

Miller ha rivelato un’altra scoperta allarmante: “Alcune delle concentrazioni di metano e biossido di carbonio che abbiamo misurato erano grandi, e stiamo riscontrando realtà molto differenti da quelle suggerite dai modelli”, ha chiarito riguardo ad alcune delle conclusioni del CARVE. “Abbiamo visto emissioni a larga scala regionale di biossido di carbonio e metano oltre il normale, all’interno dell’Alaska e in tutto il versante nord durante il disgelo di primavera, che è durato fino a dopo il ricongelamento del successivo autunno. Per citare un altro esempio, a luglio 2012 abbiamo riscontrato del metano nei pantani di Innoko Wilderness il cui livello era di 650 parti per mille milioni più alto del normale. Valori simili a quelli riscontrabili in una grande città.”

Muovendosi sotto l’Oceano Artico, dove si trova l’idrato di metano - descritto comunemente come gas metano circondato di ghiaccio - un rapporto di marzo 2010, pubblicato da Science, ha segnalato che si trovano cumulativamente l’equivalente tra 1.000 e 10.000 gigatonnellate di carbonio. Paragoniamo questo totale con le 240 gigatonnellate di carbonio che l’umanità ha immesso nell’atmosfera dall’inizio della rivoluzione industriale.

Uno studio pubblicato dalla prestigiosa rivista Nature nel Luglio del 2013 ha rammentato che uno “sbuffo” di 50 gigatonnellate di metano proveniente dallo scongelamento del permafrost del basso Artico nel mare di Siberia Orientale è “possibile in qualunque momento”. Questo sarebbe l’equivalente di almeno 1.000 gigatonnellate di biossido di carbonio.

Perfino l’austero IPCC ha ricordato tale scenario: “Non può essere esclusa la possibilità di un cambiamento climatico improvviso e/o cambiamenti bruschi nel sistema della Terra provocati dal cambiamento climatico, con conseguenze potenzialmente catastrofiche.” “La retroazione positiva del riscaldamento potrebbe causare la liberazione di carbonio o metano della biosfera terrestre e negli oceani.”

Negli ultimi due secoli, la quantità di metano nell’atmosfera è aumentata da 0,7 parti per milione a 1,7 parti per milione. L’introduzione di metano in grandi quantità nell’atmosfera, temono alcuni scienziati del clima, può cagionare un aumento della temperatura globale tra 4°C e 6°C.

La capacità della mente umana di elaborare questa informazione è messa a dura prova.
E nel frattempo, arrivano altri dati - e le notizie non sono buone.

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Consideriamo questa cronologia:

* Fine del 2007: l’IPCC annuncia che nel pianeta si avrà un aumento di temperatura di un grado Celsius fino al 2100, dovuto al cambiamento climatico.

* Fine del 2008: lo Hadley Centre for Meteorological Research (Centro Hadley per la ricerca Meteorologicapronostica un aumento di 2°C per il 2100.

* Metà del 2009: il Programma Ambientale dell’ONU predice un aumento di 3,5 °C per il 2100. Questo incremento di temperatura potrebbe causare la scomparsa del nostro habitat, poiché quasi tutto il plancton degli oceani andrebbe distrutto, e i cambiamenti di temperatura associati sarebbero incompatibili con la vita di molte piante sulla terra. Gli esseri umani non hanno mai vissuto in un pianeta con una temperatura al di sopra di 3,5 °C dell’attuale linea base.

* Ottobre 2009: il Centro Hadley per le previsioni e la ricerca meteo diffonde una predizione aggiornata che indica un aumento della temperatura di 4°C per 2060.

* Novembre del 2009: il Global Carbon Project, che monitora il ciclo globale del carbonio, e il Copenhagen Diagnosis, in una loro relazione, predicono un aumento della temperatura media di 6°C e 7°C, rispettivamente, per il 2100.

* Dicembre del 2010: il Programma Ambientale dell’ONU predice un aumento fino a 5°C per il 2050.

* 2012: la relazione del World Energy Outlook della moderata Agenzia internazionale dell'energia (IEA) fissa un aumento di 2°C nel 2017.

* Novembre del 2013: la stessa AIE predice un aumento di 3,5°C per 2035.

Una riunione informativa della fallita Conferenza delle Parti (COPA) di Copenhagen 2009, dell’ONU, sul cambiamento climatico, fornì questa sintesi: “La stima sul livello del mare nel lungo periodo corrispondente alla concentrazione attuale di CO2 è di circa 23 metri al di sopra degli attuali livelli, e le temperature saranno più alte di 6° C o più.” “Queste proiezioni a lungo termine si basano su rilevamenti climatici reali, non su modelli”.

Il 3 dicembre, uno studio di 18 eminenti scienziati, tra cui l’ex direttore dell’Istituto Goddard della NASA per gli Studi Spaziali, James Hansen, dimostrò che l’obiettivo internazionale di limitare gli aumenti della temperatura media mondiale a 2° C è errato e superiore alla soglia di 1°C che si dovrebbe mantenere per evitare gli effetti di un cambiamento climatico catastrofico.

E consideriamo che raramente le principali valutazioni sulle future temperature globali considerano la possibile retroazione climatica dovuta dalla liberazione di metano.

* * *

Le morti relazionate col cambiamento climatico si stimano già in cinque milioni ogni anno, ed il processo sembra crescere più rapidamente di quanto previsto dai modelli climatici.

Anche senza considerare la liberazione del metano congelato nell’Artico, alcuni scienziati stanno dipingendo già un quadro davvero desolante del futuro umano. Per esempio, il biologo Neil Dawe, del Canadian Wildlife Service, ebbe a dire, in agosto a un giornalista, che non sarebbe stato sorpreso se la futura generazione fosse testimone dell’estinzione dell’umanità. Attorno all’estuario nell’isola di Vancouver, vicino al suo ufficio, egli è stato testimone della disgregazione della “catena della vita” e “questo sta accadendo molto rapidamente.”

“La crescita economica è la maggiore responsabile della distruzione dell’ecologia”, dice Dawe. “Coloro che pensano che si possa avere un’economia in crescita e un ecosistema sano, sbagliano.” “Se non rallentiamo, la natura lo farà per noi.”. E non crede che l’Umanità possa essere capace di salvarsi da sola. “Tutto peggiora, ma noi continuiamo a fare le stesse cose.” “E questo perché gli ecosistemi sono così forti che non puniscono immediatamente la stupidità”, Guy McPherson, dell’Università dell’Arizona, condivide queste paure. “Avremo un decremento della popolazione nel pianeta dovuto alla mancanza di habitat”. Riguardo agli studi recenti che indicano le implicazioni dell’aumento della temperatura per l’habitat umano, chiarisce che si sta contemplando “solo la CO2 nell’atmosfera.”

Allora sorge la domanda: potrebbe alcuna forma di estinzione o quasi estinzione dovuta al cambiamento climatico portare alla fine dell’’umanità, e prevedibilmente in un lasso temporale incredibilmente breve? Cose simili sono successe nel passato. È opinione comune che, 55 milioni di anni fa, un incremento di 5°C della temperatura media del pianeta sia successo in soli 13 anni, questo secondo i risultati di uno studio pubblicato nell’edizione dell’ottobre del 2013 su Proceedings of the National Academy of Sciences. Un’altra notizia, pubblicata nell’edizione dell’agosto del 2013 di Science, ha rivelato che a breve termine il clima della Terra cambierà dieci volte più rapidamente che in qualunque altro momento degli ultimi 65 milioni di anni.

“L’Artico si sta riscaldando più rapidamente di qualunque altro luogo del pianeta”, ha detto il climatologo Hansen. “Ci sono possibili effetti irreversibili della fusione del ghiaccio marino dell’Artico. Se aumenta la temperatura dell’Oceano Artico, e conseguentemente si riscalda il fondo dell’oceano, allora inizierà a liberarsi l’idrato di metano. E non possiamo volere che ciò accada. Se bruciamo tutti i combustibili fossili, allora senza dubbio l’idrato di metano, col tempo, sarà liberato e causerà un maggiore riscaldamento del pianeta, e non è chiaro se la civiltà potrà sopravvivere a un cambiamento climatico così estremo.”

Tuttavia, molto prima che l’umanità abbia bruciato tutte le riserve di combustibili fossili del pianeta, saranno liberate grandi quantità di metano. Il corpo umano è potenzialmente capace di sopportare un aumento da 6°C a 9°C della temperatura globale, ma le coltivazioni e l’habitat che utilizziamo per la produzione di alimenti no. Come disse McPherson, “con un incremento della linea base delle temperature, da 3,5°C a 4°C, non vedo nessuna maniera di avere un habitat per l’uomo. Già siamo al di sopra di 0,85 °C rispetto alla linea base delle temperature globali, e già si sono scatenati tutti questi cicli di retroazione climatica.”

Ed aggiunge: “Con tutta evidenza si va verso un incremento medio certo, tra 3,5°C e 5°C, della temperatura globale al di sopra della “normale” riferita all’anno 1850, e questo probabilmente molto prima della fine di questo secolo. Questo garantisce una retroazione positiva, già in atto, che porta a 4,5°C - 6°C o più gradi al di sopra di quella base, ovvero ad un livello letale per la vita. Questo è in parte dovuto al fatto che gli esseri umani devono nutrirsi e le piante non possono adattarsi con la sufficiente rapidità per soddisfare i sette - nove miliardi di abitanti che saremo. Cosicché moriremo.”

Se si crede che il commento di McPherson sulla mancanza di adattabilità sia esagerato, si veda lo studio presentato nell’edizione di agosto 2013 su Ecology Letters, secondo il quale il ritmo indotto dal cambiamento climatico conduce il tasso di evoluzione a un fattore pari a 10.000. D’altra parte, David Wasdel, direttore del Progetto Apollo - Gaia ed esperto in dinamiche multiple di retroazione, dice: “Stiamo sperimentando un cambiamento da 200 a 300 volte più rapido che qualunque dei precedenti eventi che portano all’estinzione.”

Wasdel cita, con particolare allarme, determinate relazioni scientifiche che indicano come gli oceani hanno già perso il 40 % del loro fitoplancton, che è alla base della catena alimentare oceanica, dovuto all’acidificazione indotta dal cambiamento climatico e alle variazioni della temperatura atmosferica (secondo il Center for Ocean Solutions: “Gli oceani hanno assorbito quasi la metà delle emissioni umane di CO2 indotte sin dalla Rivoluzione Industriale. Benché ciò abbia moderato l’effetto delle emissioni di gas a effetto serra, questo sta rapidamente alterando dal punto di vista chimico gli ecosistemi marini almeno cento volte più velocemente di quanto sia accaduto negli ultimi 650.000 anni”).

“Questo di già è un caso di estinzione di massa. La domanda è fino a dove arriverà, quanto grave sarà. Se non siamo capaci di fermare il tasso di incremento della temperatura e tornare a metterla sotto controllo, allora un rialzo di temperatura, di 5°C - 6°C cancellerebbe almeno il 60 - 80 % delle specie viventi sulla Terra.”

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A novembre 2012, Jim Yong Kim, presidente della Banca Mondiale (istituzione finanziaria internazionale che finanzia i paesi in via di sviluppo) avvertì che “un aumento della temperatura globale di 4°C, può e deve essere evitato.” “La mancanza di un intervento sul cambiamento climatico è una minaccia per i nostri figli che erediteranno un mondo completamente differente da quello attuale.”

Uno studio commissionato dalla Banca Mondiale ha segnalato che andiamo verso un “mondo più caldo di 4°C”, contraddistinto da onde di calore estremo e dall’aumento del livello del mare, una minaccia la vita.

I tre diplomatici superstiti che guidarono le trattative sul cambiamento climatico dell’ONU affermano che ci sono poche possibilità che il prossimo trattato sul clima, semmai venisse approvato, possa evitare che il mondo si surriscaldi. “Non c’è niente che possa essere concordato per il 2015 che possa stare in linea con l’obiettivo dei 2°C”, ha affermato Yvo de Boer, segretario esecutivo della Convenzione Marco dell’ONU sul Cambiamento Climatico nel 2009, durante il fallito vertice di Copenhagen. “L’unico accordo possibile per l’anno 2015 (a Parigi, N.del T.) che possa fare raggiungere l’obiettivo di 2 gradi è quello di fermare improvvisamente tutta l’economia mondiale.”

L’esperto in atmosfera e oceani Ira Leifer è particolarmente preoccupato per i futuri cambiamenti nei modelli pluviometrici, secondo una informativa relativa a un progetto dell’IPCC, recentemente filtrato alla stampa: “Quando vedo che i modelli predicono un incremento della temperatura globale di 4°C, vedo molto poca pioggia in vaste frange del pianeta. Se il clima della Spagna si modifica in quello dell’Algeria, dove otterranno gli spagnoli l’acqua per sopravvivere? Abbiamo parti del mondo molto popolate che hanno alte precipitazioni e un’agricoltura di tipo intensivo, ma quando le piogge e le produzioni agricole diminuiranno ed il paese inizierà a somigliare più al nord dell’Africa, come sarà possibile sostenere la popolazione?”

La relazione dell’IPCC prevede un cambiamento generalizzato dei modelli di pioggia nel nord del pianeta, con riduzione del regime pluviometrico in aree che ora hanno abbondanza di pioggia. La storia ci mostra che quando la produzione di alimenti collassa, nascono le guerre, e nel contempo si diffondono fame e malattie. Tutte queste cose, preoccupano gli scienziati, e potrebbe succedere in una secuenza senza precedenti, anche per la natura interconnessa dell’economia globale.

“Alcuni scienziati suggeriscono di pianificare l’adattamento verso un surriscaldamento di 4°C”, commenta Leifer. “Sebbene sia prudente, ci si domanda chi potrebbe adattarsi a un mondo così, e la mia opinione è che solo poche migliaia di persone che cerchino rifugio nell’Artico o nell’Antartide.”

Non sorprende che gli scienziati che manifestano questi punti di vista siano poco popolari. McPherson, per esempio, è spesso chiamato “Guy McStinction”, il quale così risponde: “riferisco solo i risultati di altri scienziati. Quasi tutti questi risultati sono diffusi in pubblicazioni affermate e riconosciute. Non credo che nessuno ponga in discussione la NASA, o Nature o Science, o Proceedings of the National Academy of Sciences. Queste informazioni e altre che riporto sono ragionevolmente ben conosciute e provengono da fonti legittime, come la NOAA (l’Amministrazione Nazionale Oceanico ed Atmosferico statunitense), per esempio. Non sto inventando nulla, sto collegando solo un paio di punti, il che è sufficiente per mettere in difficoltà molte persone”.

McPherson non ha molte speranze per il futuro, né nella volontà governativa di porre in essere quei cambiamenti radicali che sono necessari per diminuire rapidamente l’emissione di gas a effetto serra nell’atmosfera, né nella diffusione delle notizie da parte dei principali mezzi di comunicazione, e questo perché, come egli dice, “non c’è molto denaro nella fine della civiltà, e meno ancora nell’estinzione umana”. La distruzione del pianeta, d’altra parte, è una buona scommessa “perché c’è del denaro in questo, sempre e quando, possa continuare.”

Leifer, tuttavia, è convinto che esiste un obbligo morale di non darsi per vinti e che si potrebbe invertire il cammino che conduce verso la distruzione globale. “Nel breve termine, se si riuscisse a fare la cosa giusta per l’interesse delle persone, questa inversione di tendenza avverrebbe molto rapidamente”. E mostra un’analogia per indicare come l’umanità sarebbe disposta ad agire per mitigare gli effetti del cambiamento climatico: “La gente fa ogni tipo di cose per ridurre il rischio di un cancro e non perché così si garantisce che non lo contrarrà, ma per prevenzione.”

I segni di una crisi climatica che peggiora ci circondano, che vogliamo vederli o no. Certamente, la comunità scientifica li percepisce. Così come le innumerevoli comunità che già adesso sperimentano gli effetti del cambiamento climatico e che soffrono disastri ogni volta peggiori, come inondazioni, siccità, incendi forestali, ondate di calore e temporali. Le evacuazioni di isole basse del Pacifico Meridionale sono già iniziate. La gente in quelle aree si vede obbligata a insegnare ai loro figli ad adattarsi al nuovo mondo.

I miei nipoti stanno facendo qualcosa di simile. Stanno seminando verdure nel giardino dietro casa e allevano otto galline che danno uova sufficienti per la famiglia. I loro genitori hanno l’intenzione di insegnar loro a essere sempre più autosufficienti. Ma nessuna di queste azioni sinceramente può mitigare quello che è già in atto riguardo il cambiamento climatico.

Ho 45 anni, e molte volte mi domando come la mia generazione sopravvivrà a questa crisi climatica imminente. Che cosa succederà al nostro mondo se nel giro di pochi anni le acque artiche rimanessero realmente prive dal ghiaccio in estate? Come sarà la mia vita se devo sperimentare un aumento della temperatura globale di 3,5° C?

E sopratutto, mi chiedo come potranno sopravvivere le generazioni future.



Dahr Jamail ha scritto molto sul cambiamento climatico, così come sul disastro ecologico della piattaforma petrolifera della British Petroleum nel Golfo del Messico. Ha ricevuto numerosi premi, incluso il Martha Gellhorn di Giornalismo ed il James Aronson di Giornalismo per la Giustizia Sociale. È autore di due libri: “Al di là della Green Zone: Cronache di un giornalista indipendente nell'Iraq occupato” (Beyond the Green Zone: Dispatches from an Unembedded Journalist in Occupied Iraq) La volontà di resistere: soldati che si rifiutano di combattere in Iraq e in Afghanistan” (The Will to Resist: Soldiers Who Refuse to Fight in Iraq and Afghanistan). Attualmente lavora a Doha, in Qatar, come reporter di Al Jazeera.  


Fonte:  www.rebelion.org

Traduzione dallo spagnolo per www.comedonchisciotte.org a cura di FABIO BARRACO

domenica 9 febbraio 2014

Sorridi, il Kuwait si è comprato il tuo paese.

Kuwait City, 5 feb – Occhio tonto, sorriso guascone. Enrico Letta giubila orgogliosamente per l’arrivo di 500 milioni di euro di investimento del fondo sovrano del Kuwait in Italia.
Ennesima zappata sui piedi. Ma, per capire di cosa stiamo parlando, facciamo un passo indietro.
Cosa sono i fondi sovrani? Sono i nuovi padroni della finanza mondiale.

Al di là dei balocchi più o meno seri degli investitori privati, degli squali della finanza tra i quali campeggia incontrastato – ultimo dei mohicani – quel Soros speculatore durante le avventurose cavalcate liberiste negli anni novanta e armatore di rivoluzione colorate oggi, i fondi sovrani hanno acquisito un potere abnorme con una potenza di fuoco pari ad un totale di diverse migliaia di miliardi di dollari e controllando pacchetti azionari di società pari a 2mila miliardi. Oggi sono circa una ventina e capaci di canalizzare l’economia e la finanza mondiali: i fondi più numerosi e potenti sono quelli arabi (Emirati Arabi, Arabia Saudita, Kuwait, Libia, Qatar, Brunei e Oman) che costituiscono almeno un terzo del settore, ma brillano anche gli asiatici (Cina, Singapore) e occidentali (Norvegia, Canada, Russia).
I loro capitali derivano in alcuni casi, soprattutto per quanto riguarda paesi arabi ed occidentali, dalla produzione, lavorazione e vendita di risorse minerarie ed energetiche, in altri dalle esportazioni commerciali (Asia in primis), ma c’è anche chi gestisce fortune ottenute sui proventi da surplus della bilancia dei pagamenti, operazioni in valuta straniera, proventi di operazioni di privatizzazione, surplus fiscali. L’obbiettivo è quello di investire questi capitali in prodotti finanziari con una programmazione di lungo periodo, completando le strategie di breve periodo realizzate con le riserve nazionali, con diverse finalità: ad esempio finanziare lo sviluppo del paese o integrare il sistema pensionistico, fondi per il risparmio o accumulo di riserve.
I fondi sovrani stranieri operano in Italia da qualche tempo: quello del Qatar ha costituito una joint venture (IQ Made in Italy Venture) con il Fondo Strategico Italiano (FSI), braccio finanziario della Cassa depositi e prestiti (Cdp), per investire nelle eccellenze italiane dei settori moda, lusso e alimentare, veicolando infatti l’acquisto di Valentino Spa ed interessandosi anche del marchio Versace. Il fondo degli Emirati Arabi Uniti, l’Abu Dhabi Investment Authority, è nel capitale di Unicredit, ma fece soprattutto scalpore per l’acquisto di una quota minoritaria in Ferrari. Ma legame più importante è forse quello con il Lybian Investment Authority, anche per i noti trascorsi storici, con partecipazioni tra le maggiori in Eni, Fiat, Unicredit e Juventus. Della campagna acquisti cinese abbiamo già parlato in passato del settore energetico, per quanto riguarda i fondi d’investimento ci si riferisce alla China Investment Corporation, capace di sbattere sul tavolo circa 330 miliardi di dollari.
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Ma non pensiamo per questo di essere le pecore nere della classe. Gli investimenti in Italia, grazie alla perifericità della nostra borsa e della struttura statale e familiare del capitalismo nostrano, sono solo una goccia nel mare degli investimenti dei fondi sovrani: ad esempio il Qatar Holding possiede quote in Cina (che rappresenta il 30% del portafoglio) mentre in Europa il peso maggiore è in Germania (21%), Regno Unito (13%), Francia (5%), Svizzera (2%) e Spagna (2%). Citigroup, Bank of America, Barclay, Merril Lynch, Morgan Stanley, Ubs, Hsbc, Credit Suisse, Harrods sono solo una minima parte dei grandi marchi implicati. Mal comune, mezzo gaudio?

Quello esaltato stamani da Letta, il Kuwait Investment Authority (KIA), è il decano nel mondo: creato nel 1953 dallo sceicco Abdullah Al-Salem Al-Sabah, allora a capo di un territorio ancora sotto dominazione britannica e che otterrà l’indipendenza solo otto anni dopo, ebbe l’obbiettivo primario di sollevare l’economia del paese dalla dipendenza del petrolio. Oggi, ben lungi dal possedere un’economia interna diversificata, il Kuwait incanala il 10% dei profitti derivati ogni anno dalla vendita di idrocarburi nel Reserve for Future Generations, gestito direttamente dal KIA, ed ha a disposizione oltre 250 miliardi di dollari, detenendo all’interno del portafoglio quote in società come Blackrock, gruppo di gestione che ha partecipazioni nelle aziende di mezzo pianeta e che naturalmente ha condotto un discreto shopping anche in Italia.
Il nuovo accordo prevede la costituzione di una newco, di proprietà per l’80% del FSI e per il 20% di KIA, che avrà una dotazione di 2,5 miliardi di euro – apportati quindi per una quota pari a 500 milioni dal Kuwait – e capace di investire nel tessuto produttivo nazionale.

“Oggi – questo l’annuncio del premier – è stato finalizzato un importante accordo con il Kuwait. Il Fondo strategico del Kuwait (Kia), che è il più antico dei fondi sovrani, ha deciso di investire sull’Italia 500 milioni di euro messi subito tutti d’un colpo, denaro contante, per capitalizzare il Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti. Le risorse saranno gestite dal nostro Fondo strategico per rilanciare le imprese italiane”.
In realtà è stato creato un fondo internazionale, in cui c’è la seria possibilità possa essere riversata tutta una serie di partecipazioni statali nell’industria strategica italiana (Eni, Finmeccanica, Sace, Poste,…), che fanno gola a molti, e col tempo inserirsi in tutto lo scacchiere economico nazionale considerato che al momento l’indice italiano è svalutato del 56% rispetto ai livelli pre-crisi del 2007.
Prima il presidente-operaio, adesso il presidente-mercivendolo.
E pure gonzo.

Gabriele Taddei


fonte: http://www.ilprimatonazionale.it/2014/02/05/sorridi-il-kuwait-si-e-comprato-il-tuo-paese/

venerdì 7 febbraio 2014

Dalla perdita alla sovranità alimentare alla schiavitù.

Gianni Tirelli

Quattrocento anni fa, gli esseri umani, prima dell’avvento del capitalismo, si nutrivano con più di 500 specie diverse di piante. Cento anni fa, con l’egemonia della rivoluzione industriale, si sono ridotte a 100 le specie diverse di cibo, che dopo l’aratura passavano ai processi industriali. Da trent’anni, dopo l’egemonia del capitale finanziario, la base di tutta l’alimentazione dell’umanità è rappresentata per l’80% da soia, mais, riso, fagioli, orzo e manioca. Il mondo è diventato un grande supermercato, unico. Le persone, indipendentemente da dove vivono, si nutrono della stessa dieta di base, fornita dalle stesse imprese, come se fossimo i maiali di una grande porcilaia che aspettano, passivi e dominati, la distribuzione della stessa razione giornaliera.

C’è stata una enorme concentrazione della proprietà della terra, dei beni della natura e del cibo. Qual è la soluzione?
In primo luogo abbiamo bisogno di rinegoziare in tutto il pianeta il principio che il cibo non può essere una merce. Il cibo è l’energia della natura (sole più terra, più acqua, più vento) che muove gli esseri umani, prodotti in armonia e collaborazione con gli altri esseri viventi che formano l’immensa biodiversità. Tutti dipendiamo da tutti, in questa sinergia collettiva di sopravvivenza e di riproduzione. Il cibo è un diritto di sopravvivenza. E quindi, ogni individuo della terra dovrebbe avere accesso a questa energia per riprodursi, in maniera egualitaria e senza alcun vincolo.
Noi sosteniamo il concetto di sovranità alimentare, che è il bisogno e il diritto che in ogni territorio, ci sia un villaggio, una tribù, un insediamento, una città, uno stato e anche un paese, ogni popolo abbia il diritto e il dovere di produrre il proprio cibo.
[João Pedro Stédile] ...


L’inquinamento prodotto dal capital/liberismo ha fatto tabula rasa di ogni forma di vita. Così non c’è più niente da pescare, da cacciare, un orto da coltivare, e più in breve, la possibilità procurarsi quel cibo, al fine di soddisfare i bisogni primari della gente. Ci è stato impedito di seminare, costringendoci ad acquistare al Mercato del Grande Malfattore, sementi geneticamente modificate, ortaggi e animali da cortile, clonati e pompati, e quella lunga lista di sostanze chimiche cancerogene che devastano i corpi dei nostri figli, dispensando dolore e paura fra la cittadinanza. L’obiettivo di tutto questo è di controllare la catena alimentare globale per renderci schiavi, e dipendenti dalla loro insanguinata mercanzia – non che sterco del diavolo.

Questo non ha niente a che vedere con l’idea di alimentare il mondo. Il vero scopo è di aumentare gli introiti delle grandi *corporation dell’industria chimica, e cancellare ogni nostra risorsa, capacità, e residua volontà – Renderci inoffensivi, insomma, per poi schiacciarci come un pugno di mosche, ronzanti e fastidiose. Noi, le inconsapevoli cavie di laboratorio, di un progetto di sperimentazione di stampo nazista, di dimensioni planetarie, che terminerà con “la soluzione finale”. Uno sterminio, questo, scientificamente programmato, che rientra in un progetto di sfruttamento integrale di ogni risorsa energetica e degli individui, asserviti e resi schiavi in ragione della loro (presunta) inferiorità, incapacità e inutilità. Esseri non uomini, né animali, che non appartengono ad alcuna razza, specie, e forma di vita, ma meri ingranaggi di un Sistema necrofilo, e clienti classificabili esclusivamente sulla base del loro potere d’acquisto.
Io, da questo preciso momento, impugno contro lo Stato, il mio diritto di nascita – naturale, inderogabile e inalienabile – in virtù del quale a ogni uomo spetta un pezzo di terra da coltivare, l’accesso all’acqua, e un riparo. Inoltre chiedo e pretendo il risarcimento di tutti danni procurati all’ambiente (non che la sua immediata bonifica), e causa i quali, si è determinato un livello di contaminazione tale, da avere resa impossibile qualsiasi condizione di autonomia e di autosufficienza, che dall’alba dei tempi era alla base di ogni società che si definisca “civile” e libera.
Così, ci è stata sottratta ogni sovranità, e calpestato il più naturale fra tutti i diritti dell’uomo: il diritto alla felicità.
Ma io non ci sto!!! Noi non ci stiamo!!! Da questo preciso momento, si è resa necessaria, e prioritaria a tutto il resto, una dichiarazione di guerra contro tutti quegli stati che non intendono rispettare i diritti naturali, intangibili e irrinunciabili dell’individuo, dal giorno del suo concepimento su questa terra.
E quando presto la disoccupazione raggiungerà livelli inimmaginabili, e la qualità della vita a caduta libera costringerà centinaia di milioni di individui del mondo occidentale all’accattonaggio e a ogni sorta di aberrazione, allora, e solo allora, comprenderemo il valore incommensurabile della Madre Terra e del suo infinito potere – La Terra, il solo padrone al quale avremmo dovuto sottometterci, sottostare e ubbidire, rispettandone le sue regole ancestrali, senza diventarne schiavi e servi, ma attraverso Lei, ritrovare l’autentico e primigenio significato di libertà. E quando tutto sarà palese e noi, volenti o nolenti, ignoranti e intelligenti, dovremo per forza e necessità prendere atto di quali erano le reali finalità del Sistema Bestia e del suo piano diabolico di omologazione, a quel punto, saremo già tutti schiavi.

A ogni essere umano, ripeto, spetta un pezzo di terra, l’accesso all’acqua, una dimora, e la possibilità inderogabile di potere soddisfare i suoi bisogni primari con la sola forza delle sue braccia, e attraverso quella passione vivifica e salvifica, che nasce da quel rapporto simbiotico di mutuo scambio che da sempre si era stabilito fra uomo e natura. Ma oggi questo diritto è stato calpestato e reso ridicolo.
Da qui, nasce la necessità di assegnare i beni della natura (terra, acqua, energia) ripartiti fra tutti gli individui della terra.
Fino al momento in cui non saranno ripristinati tali diritti e le condizioni necessarie atte all’epocale e radicale cambiamento di riconversione, i governi delle nazioni tutte si dovranno nel frattempo accollare l’onere e l’obbligo di provvedere alla sussistenza dei cittadini (reddito di cittadinanza), in virtù di una somma congrua mensile per ciascuno di loro. In seconda battuta, va messo in campo un piano di esproprio, a danno dei grandi proprietari terrieri, grandi detentori di patrimoni, latifondisti, multinazionali dell’agroalimentare, e dell’industria chimica, per dare inizio ad un’equa distribuzione del suolo, sull’onda di una nuova e luminosa rinascita.

Le società si potranno definire democratiche e civili, solo a patto di garantire ai cittadini il diritto alla sopravvivenza e all’autonomia, avendo accesso al cibo-energia necessario.

*Monsanto, Syngenta, DuPont, Dow, Bayer e Basf -






mercoledì 5 febbraio 2014

La vera indipendenza italiana.

di Francesco Salistrari.


E’ ufficiale, si. Un’altra Sinistra in Italia c’è.

In fondo c’è sempre stata. Sotterranea, invisibile, silenziosa, quasi sempre ammutolita dalla fanfara della “sinistra radicale e di governo” che ha annichilito per anni dibattito, analisi e prospettive.

Si, la sinistra c’è ancora. Ed ha anche molte cose da dire.

A Firenze il 2 febbraio i promotori del partecipatissimo convengo di Chianciano “Oltre l’Euro: La sinistra. La crisi. L’alternativa.”, hanno dato vita ad un coordinamento nazionale della sinistra italiana contro l’euro, capace di presentare una proposta politica alternativa nei fatti e nella sostanza alle ormai melliflue, inutili e sterili posizioni alla “sel” o alla “rifondazione”.

Credo sia una notizia molto, molto importante da salutare con grande entusiasmo. Per una serie di ragioni. Prima fra tutte il fatto che una parte importante della sinistra italiana si è finalmente svestita dei panni logori di quell’europeismo inconcludente, ma soprattutto funzionale agli interessi delle classi dominanti che, per troppi anni, ne hanno fatto solo un’appendice inutile e blaterante del PD.

Finalmente, si, la Sinistra italiana è uscita allo scoperto. E le intenzioni in cantiere sembrano promettenti, innanzitutto perché per la prima volta dopo la “svolta della bolognina” una parte importante della sinistra italiana si smarca da quella sudditanza ideologica che potremmo definire del “governismo fine a sé stesso” che, almeno se non nelle parole, ma nei fatti, purtroppo, ha caratterizzato le linee politiche dei partiti della sinistra italiana per un lungo periodo storico.

Periodo storico cruciale fatto di svolte epocali senza precedenti. In altre parole, fatto di appuntamenti a cui la sinistra italiana non solo è mancata, ma dalla quale è uscita con le ossa rotte.
Il fallimentare esperimento della “sinistra arcobaleno” e, soprattutto, le fallimentari (eufemismo) esperienze dei “governi Prodi” sono state per la prospettiva di cambiamento in questo paese una clava inesorabile che ha condannato ampie fasce della società all’abbandono e alla disperazione. Abbandono e disperazione che la crisi del 2008 non ha fatto altro che acuire, favorendo un grave, pericoloso e inarrestabile arretramento dei diritti e delle tutele sociali nel nostro paese.

La sinistra italiana ha sprecato anni e anni, non riuscendo ad elaborare niente di più se non il vuoto slogan “partito di lotta e di governo” che poi, nei fatti, non significa niente, se non il supino piegarsi alle oligarchie del nostro paese ed europee. Ha sprecato opportunità e consumato capitale umano e culturale in maniera imperdonabile, tradendo in definitiva quella che è la sua funzione storica, la sua stessa raison d’etre, irrinunciabile: prospettare un’alternativa sistemica.

L’abbandono dell’anticapitalismo (processo storico peraltro incominciato negli anni ’70 con la svolta del “compromesso” con la Dc) ha decretato tutta una serie di sconfitte e di arretramenti sul piano dei diritti e delle conquiste sociali, sul piano del radicamento e dell’autonomia politica necessarie all’elaborazione di una proposta politica realmente alternativa e convincente. Con il crollo del “comunismo” sovietico, nel 1989, la sinistra è rimasta intrappolata sotto le macerie del socialismo reale, scivolando inesorabilmente dal riformismo “bertinottiano” al “governismo fine a sé stesso”, per giungere, nei fatti (e mai a parole, sic!) all’anti-anticapitalismo filoeuropeista. Un processo degenerativo che oggi, con l’iniziativa di Firenze, sembra essersi arrestato e che fa sperare in un’inversione a 360 gradi.

Oggi, con la situazione disastrosa in cui versa l’Italia, con la crisi mondiale galoppante che affonda nazioni e popoli, diritti, benessere, ambiente e cultura, una sinistra realmente capace di analisi e proposta politica non solo è necessaria, ma vitale.

La posizione “no-euro” non è uno slogan e non è un “salto nel buio” (come molti vorrebbero far credere), perché gli uomini e le donne che in questi anni hanno intrapreso il percorso che li ha portati fino a Firenze, hanno prodotto un’analisi stringente della realtà economica e sociale del nostro paese, individuando nell’euro un nemico del benessere del nostro popolo, ma anche lo strumento attraverso cui il capitalismo finanziario assoluto che governa il mondo impone le sue politiche e le sue regole. (A questo proposito è anche necessario sottolineare il valore aggiunto rappresentato dalla recente opera di divulgazione compiuta da tutta una serie di illustri economisti italiani che hanno permesso alla discussione e al dibattito politico di questi anni di acquisire maggiore forza non solo scientifica, ma anche politica).

Ecco: dire no all’euro, significa innanzitutto dire no al capitalismo selvaggio che sta distruggendo 150 di diritti acquisiti, immolandoli sull’altare della competitività, del mercato e della finanza.

Per il nostro paese, un’uscita dall’euro da sinistra, rappresenterebbe il primo passo verso la vera indipendenza, verso la costruzione di un modello sociale alternativo che faccia da esempio, in Europa e nel mondo.

Per fare questo passo, l’Italia ha disperato bisogno delle gambe su cui camminare: un movimento politico capace di cementare il blocco sociale nazionale che si opponga allo strapotere delle oligarchie finanziarie e bancarie che, svendendo il patrimonio del nostro paese, deturpando la democrazia, cancellando de facto la Costituzione Repubblicana del ’48, sta trascinando l’Italia verso un nuovo medioevo sociale.

Lasciare in mano alla destra il tema della sovranità nazionale (e monetaria) è stato un errore madornale a cui bisogna porre rimedio in fretta, perché è solo a partire da questo tema che la sinistra può davvero proporre un’alternativa complessiva credibile. L’iniziativa di Firenze intende recuperare a grandi passi tutto il terreno perduto.

Si, la Sinistra è tornata. La stavamo aspettando tutti.




Qui il comunicato ufficiale dell’iniziativa di Firenze: http://www.bottegapartigiana.org/show_article.aspx?id=2056837225#.UvGS3vl5NyU

lunedì 3 febbraio 2014

L'Impero colpisce perché il sistema si sta disintegrando.

31 gennaio 2014 (MoviSol) - 


Le violente insurrezioni a Kiev, Bangkok e Il Cairo non vanno viste come sviluppi isolati. In ognuna di esse è visibile la mano di forze imperiali occidentali, riflettendo ciò che Lyndon LaRouche ha identificato come il pericolo crescente di una guerra globale che potrebbe diventare termonucleare.

La forza trainante dietro ognuno di questi atti di guerra asimmetrica non si trova nelle condizioni locali per se, ma piuttosto nelle forze disperate e morenti dell'oligarchia finanziaria transatlantica.

Il caso dell'Ucraina è esemplare. Dalla caduta del Muro di Berlino, il loro obiettivo strategico è quello di separare l'Ucraina dalla Russia e attirarla nell'Unione Europea come riserva agricola feudale. 

Questo sforzo ha ricevuto un duro colpo l'anno scorso, quando il Presidente Yanukovic ha respinto l'accordo di associazione con l'UE e si è invece mosso per intensificare la cooperazione economica e politica con la Russia. Da quel momento in poi, è partita l'operazione per rovesciare il governo di Yanukovic e instaurare forze filo-UE.

Quando la protesta di massa stava scemando, i britannici hanno fatto ricorso alle vecchie reti di hooligans, che comprendono anche bande esplicitamente fasciste e resti degli ambienti filonazisti del tempo di guerra che furono assorbiti nell'intelligence della NATO alla fine della Seconda Guerra Mondiale attraverso l'Organizzazione Gehlen. Ora, questi hooligans scatenati, alleati a fazioni dell'opposizione, chiedono niente meno che la cacciata di Yanukovic, respingendo l'offerta di partecipazione ad un governo di coalizione. Natalia Vitrenko, una ex candidata alla presidenza e membro del Parlamento, ha chiesto al governo di non dimettersi.

Metodi terroristici simili o ancora più cruenti sono stati utilizzati sul campo in Thailandia ed Egitto dove, in entrambi i casi, i partiti e le forze di governo hanno rifiutato di cedere.

La questione cruciale per il mondo è se l'oligarchia finanziaria transatlantica, in bancarotta irreversibile, riuscirà a provocare uno scontro con il blocco delle nazioni eurasiatiche, che comprendono Russia, Cina e India e che rappresentano la parte del mondo che sta ancora crescendo e ha una prospettiva di progresso.


fonte: Movisol




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