di Andrea Cavalleri.
I
giornali stanno riempiendo la testa e la bocca della gente con un
termine inglese, che fino a poco tempo fa non era mai stato usato in
politica, lo “spread”.
Brutta
cosa i termini inglesi, soprattutto quando sono usati per evitare di
spiegare alla gente come stanno davvero le cose.
Allora
ricapitoliamo brevemente il significato della parola, affinché sia
chiaro a tutti di cosa si tratta.
“Spread”,
nel linguaggio finanziario inglese, significa “oscillazione” o
“scarto” ed è comunemente usato per indicare la differenza tra
il tasso di interesse che la banca paga per ottenere del denaro e
l’interesse che essa applica quando lo presta. Ad esempio, se io
vado a contrarre un mutuo, la banca mi dirà che applica uno spread
del 1,5% per mostrarmi che non percepisce un interesse troppo
elevato. Se il tasso di sconto (cioè l’interesse ufficiale
applicato dalla Banca Centrale, che rappresenta il costo base del
denaro) fosse del 2%, la mia banca mi erogherebbe un prestito al
3,5%.
Lo
scarto tra il 3,5% che io pago e il 2% che paga la banca, è
quel’1,5% di differenza, di utile per la banca, che viene chiamato
“spread”.
Da
quando esiste l’euro, non sono più gli stati a battere moneta (o
le loro banche centrali!) ma è la BCE (banca centrale europea), che
è stata costituita dal trattato di Maastricht come ente
completamente indipendente dalla politica e dai governi, tanto da
essere una società per azioni.
La
BCE eroga il denaro prestandolo alle banche private. Se uno stato ha
bisogno di soldi deve andare da una banca ed elemosinare un prestito.
In cambio dei soldi, lascerà Buoni del Tesoro, che fruttano un certo
interesse. Ora, il principio fondamentale che regola il rendimento di
tutti i titoli finanziari è il seguente: tanto più un titolo è
sicuro, tanto meno frutterà di interesse, viceversa, tanto più è
rischioso, tanto più dovrà alzare gli interessi, per convincere gli
acquirenti a comprarlo.
Dunque,
tutti gli stati dell’area euro si devono presentano dalle banche
con il cappello in mano e chiedere in prestito i soldi necessari al
finanziamento di tutti gli apparati e le opere di pubblica utilità.
E questo avviene attraverso un’asta, per cui i compratori del
debito pubblico ragionano nel seguente modo: voglio un titolo sicuro?
Bene, acquisto i Buoni tedeschi, perché la Germania di certo non
fallirà, in cambio mi dovrò accontentare del 3% all’anno. Voglio
guadagnare di più? Prendo un Buono italiano; poiché l’Italia ha
un certo rischio di non riuscire a ripagare i suoi debiti, se vuole
che io compri il suo titolo deve offrirmi un interesse allettante,
quale l’8%. Buoni portoghesi? Uh che schifo! Però, dato che mi
offrono il 15% ne prendo un po’. E infine Buoni greci? No grazie, e
i greci restino pure senza pensioni e servizi pubblici.
Quindi
lo spread di cui parlano i giornali è la differenza di rendimento
tra i Buoni del Tesoro italiani e quelli tedeschi, che sono
considerati i titoli sicuri europei di riferimento.
A
questo punto si impongono una serie di osservazioni.
La
prima, che è sempre bene ripetere, è che non esiste nessun motivo
plausibile per cui gli stati debbano indebitarsi, prendendo denaro in
prestito a interesse, quando il denaro potrebbero farselo da sé.
La
seconda osservazione è che l’euro non è una moneta sovrana, di
proprietà della Comunità Europea, ma è una moneta di proprietà
privata che circola sotto forma di debito a interesse. Ma non solo
non è una moneta sovrana, nei fatti dimostra di non essere neppure
una moneta unica, dato che ha comportamenti differenti nei vari
stati. L’unificazione monetaria, che pretendeva di cancellare le
differenze nazionali, ha cacciato gli stati dalla porta, costituita
dal cambio delle valute, per vederseli rientrare dalla finestra dello
spread. Così i Tedeschi possono finanziare le loro attività ad un
tasso più basso degli altri, il che rende la loro economia più
solida, di conseguenza i loro Buoni sono considerati più sicuri,
cioè vendibili ad interessi sempre più bassi. Al contrario, i paesi
considerati meno solidi dovranno vendere i loro Buoni con un
interesse sempre più alto, questo maggior costo ne accrescerà il
deficit e ne debiliterà l’economia, rendendo tali paesi sempre più
a rischio fallimento, e costringendoli quindi ad aumentare sempre più
il rendimento dei propri Buoni del Tesoro.
Si
tratta di un terribile circolo vizioso, che una volta innescato non
si ferma più, un autentico “bug” (errore) di sistema che si può
correggere solo cambiando le regole del sistema stesso.
La
terza critica che si deve muovere a questo stato di cose, consiste
nel fatto che sono dei privati a giudicare gli stati. Ora che ai
cittadini italiani possa spettare di giudicare l’Italia, può anche
andar bene, in quanto, tramite la democrazia rappresentativa, sono
proprio gli Italiani a determinare la guida della propria nazione. Ma
nel caso delle aste dei Buoni del tesoro, sono degli “investitori
internazionali”, cioè, per lo più, delle banche, in larga parte
straniere, che giudicano con arroganza gli stati nazionali, quando
dovrebbe essere il contrario.
La
quarta, pesantissima, osservazione è che esistono delle società
private di valutazione, le cosiddette “Agenzie di rating”, che
possono stravolgere le valutazioni di interi stati, determinando
l’aggravio di costi dei loro finanziamenti e, con ciò, il rincaro
dei prezzi, delle tasse e l’avvento di crisi economiche.
Queste
società, temute, rispettate, e continuamente propagandate dalla
stampa, sono tutt’altro che infallibili e soprattutto tutt’altro
che in buona fede. Basti ricordare che il 15 settembre 2008, giorno
del suo fallimento, la banca Lehman Brothers godeva ancora della
valutazione “A” (abbastanza positiva) e diverse obbligazioni che
essa aveva emesso, basandosi su mutui sub-prime, venivano
classificate “AAA”, il massimo dell’affidabilità. E il motivo
di questa poca buona fede è semplicissimo: Moody’s, Standard &
Poor’s e Fitch (le tre grandi Agenzie di rating) sono società per
azioni che vedono tra i proprietari un gran numero di investitori e
speculatori. Il ruolo che esse svolgono è l’aggiotaggio, un reato
penale consistente nell’alterare i prezzi delle borse grazie alla
diffusione di informazioni contraffatte e l’utilizzo di
informazioni riservate.
Il
conflitto di interessi che queste Agenzie praticano, se si vuole fare
un confronto con il tanto famoso conflitto di interessi di
Berlusconi, è come quello di un adulto che ruba le caramelle ai
bambini (Berlusconi), di fronte a una banda di rapinatori
professionisti (i banksters).
Occorre
pertanto che tutti i cittadini di buona volontà si adoperino per
sostenere i partiti o quelle iniziative che vogliono sottrarre alle
banche il poter di creare moneta per restituirlo, legittimamente,
allo Stato. Una volta ripristinata la sovranità monetaria, queste
follie svaniranno e resteranno un semplice ricordo, di un’era
oscurantista. Chi scrive si è impegnato con il movimento “Io Amo
l’Italia, di Magdi Cristiano Allam, che prevede al primo punto del
suo programma il riscatto della sovranità monetaria.
Ma
ora sono costretto a parlare di un altro spread, un’altra
differenza in costante incremento, che mi preoccupa molto più del
rendimento dei buoni del tesoro.
E’
la differenza tra chi i soldi li ha (magari per pura rendita di
posizione, ad esempio perché li fabbrica in qualità di banca) e chi
li deve guadagnare.
Tra
l’8,7% della popolazione mondiale che detiene l’82,1% della
ricchezza mondiale e il restante 91,3% che usufruisce solo del 17,9%
della ricchezza (statistica del Credit Suisse, 2011).
Tra
una casta di banchieri e di alti funzionari che premia i propri
fallimenti e la propria incompetenza (quando non la propria
disonestà) con ricompense da capogiro e, dall’altra parte, una
classe lavoratrice, media o bassa, schiacciata sotto la soglia della
povertà.
Ad
esempio Lloyd Blankfein, numero uno di Goldman Sachs, che ha chiuso
il 2010 con uno stipendio di 19 milioni di dollari, lo stesso anno in
cui Goldman Sachs ha dovuto usufruire degli aiuti dei contribuenti
per evitare il fallimento. E una statistica divulgata dal Financial
Times nel giugno 2012, rivela che i banchieri più importanti al
mondo hanno visto crescere i loro stipendi di quasi il 12% su base
annua. Chi si è arricchito di più è stato Jamie Dimon, numero uno
di JP Morgan, nonostante la banca abbia rivelato, proprio di recente,
una perdita legata a operazioni errate di trading di $2 miliardi. Il
suo stipendio è salito +11% a $23,1 milioni. Il secondo è stato Bob
Diamond, amministratore delegato di Barclays, con $20,1 milioni, in
concomitanza con l’incriminazione della sua banca per lo scandalo
LIBOR (manipolazione dei tassi di interesse) un vaso di Pandora che,
se scoperchiato, minaccia di rivelare una truffa planetaria di
dimensioni colossali, con risvolti di usura, furto ed evasione
fiscale, oltre che del solito aggiotaggio.
Sull’altro
versante vediamo aziende fallire perché non riescono a sostenere la
pressione fiscale, piccoli artigiani o micro imprenditori, che
riuscivano a portare a casa i 1500 € al mese, lavorando ben più
delle canoniche otto ore, abbandonare l’attività in lacrime e
cercarsi un posto di lavoro (che non troveranno), vediamo
imprenditori suicidarsi, perché i mancati pagamenti dello stato o
delle multinazionali, hanno mandato in rovina la loro attività, un
tempo fiorente.
Ma
ormai non è più solo questione di soldi. Adesso i profittatori e i
parassiti vogliono vedersi garantire la propria posizione per legge,
vogliono tutti i diritti per sé, lasciando tutti i doveri agli
altri, in un’inestinguibile sete di potere e pretesa di avere
ragione, che confina con l’alienazione mentale e il delirio di
onnipotenza.
Hanno
iniziato con le banche “troppo grandi per poter fallire”, che si
sono incamerate gli aiuti statali, ottenuti torchiando i contribuenti
(quelli onesti e che non guadagnano tanto) con manovre lacrime e
sangue. Però milioni di cittadini americani, non sono stati
giudicati troppo importanti per evitare di essere sfrattati e finire
ad abitare in camper, in tenda, per strada, (nel 2012 i senza tetto
sono tuttora milioni, le persone che per mangiare ricorrono ai
buoni-pasto delle mense dei poveri sono 46,3 milioni, circa il 15%
della popolazione americana – dati del Dipartimento statunitense
dell’Agricoltura). Poi sono arrivate le crisi mediterranee, per cui
le rendite dei titoli greci sono state considerate sacre, mentre i
cittadini greci sono stati giudicati sacrificabili. Così i
cosiddetti “aiuti” alla Grecia sono andati direttamente alle
banche creditrici, mentre ai cittadini greci è toccato un inverno
senza riscaldamento, poliziotti senza stipendio che si offrivano come
mercenari a 30€ all’ora e prospettiva di restare senza corrente
elettrica nel giro di settimane.
In
Italia il “sacro” debito viene servito attraverso Equitalia, la
famigerata agenzia di riscossione che emana cartelle pazze e poi
pretende il pagamento prima dell’eventuale ricorso, cosicché prima
l’azienda tartassata fallisce e poi si scopre che aveva ragione (il
48% dei ricorsi contro Equitalia va a buon fine, indice di un tasso
di errore che sfiora la mala fede).
Ma
tutte queste erano ancora prassi, leggi locali.
Da
pochi giorni, con l’approvazione del MES (Meccanismo Europeo di
Stabilità, il cosiddetto fondo salva-stati, che funziona in realtà
per ammazzarli) si istituisce con diritto europeo un sistema
“incondizionato e irrevocabile” per cui la casta oligarchica
degli amministratori avrà ragione per legge, qualunque cosa faccia e
i cittadini avranno torto, sempre per legge. Infatti gli stati
tartasseranno i cittadini per offrire al MES un cospicuo capitale
(600 miliardi di euro, dei quali 125 forniti dall’Italia) e questi
soldi saranno usati per prestiti a interesse nei confronti delle
nazioni aderenti all’area euro. Questi prestiti (di cui magari non
ci sarebbe stato bisogno senza l’esborso nei confronti del MES)
però, potranno essere usati solo come vogliono gli amministratori
del fondo, (con i governi nazionali impegnati a compiere l’unico
atto loro permesso, cioè dire: “Signor sì”).
In
caso di mancato o ritardato pagamento della rata del prestito, il MES
potrà compiere autentici pignoramenti, espropriando lo stato moroso
dei beni nazionali.
E
per chiarire che non c’è nulla da discutere, gli amministratori
del fondo godranno di immunità totale e assoluta nell’esercizio di
tutte le loro funzioni, non saranno citabili dinnanzi a nessun
tribunale e i loro documenti saranno secretati e non consultabili né
confiscabili.
Grazie
a questi provvedimenti il 2012 rischia di diventare una data storica
come il 1215, quando fu approvata la “Magna Charta Libertatum”.
Ma con significato opposto.
Nel
medioevo si frenavano gli arbitrii del re, vietando aumenti delle
tasse non concordati, oggi si istituisce una casta al di sopra della
legge, che invoca la tassazione dei cittadini fino alla morte
dell’economia, pur di mantenere intatto il sistema che genera la
casta stessa. Allora si stabiliva una condivisione del controllo
finanziario per ripartire equamente gli impegni e gli eventuali
sacrifici, oggi si vuole impedire al cittadino persino di sapere
(secretando tutti gli atti), riducendolo così a una sorta di schiavo
che può solo eseguire gli ordini piovuti dall’alto. Mentre la
casta, godendo di immunità, avrà sempre ragione.
Ma,
forse, questa pretesa di immunità nasconde in realtà una speranza
di impunità.
Perché,
per quanto poco evidenziate dai media (di proprietà della stessa
casta finanziaria), si stanno alzando delle voci autorevoli che
invocano un ristabilimento dell’ordine e della giustizia.
Ad
esempio, Neil M. Barofsky, che fu ispettore generale del governo Usa
per il Ministero del Tesoro, addetto alla sorveglianza del TARP
(Troubled Asset Relief Program), il programma di salvataggio delle
banche del 2008, costato 700 miliardi dei contribuenti. Dopo aver
condotto 140 indagini e proposto l’incriminazione di dozzine di
personaggi ha dato le dimissioni nel marzo 2011, per l’evidente
volontà del sistema giudiziario di soprassedere (quando i furti di
mele nei campi o di birra al supermercato, per il valore di pochi
spiccioli, sono puniti inflessibilmente), rendendo vano il suo
operato. In un editoriale scritto per Bloomberg afferma: “Gli
americani devono perdere la fiducia nel loro governo. Devono
fortemente disapprovare i politici e regolatori corrotti che hanno
distribuito i dollari delle tasse alle banche senza esigere da loro
che ne rendano conto. Il popolo americano deve sentirsi rivoltato da
un sistema finanziario che premia il fallimento e protegge coloro che
l’hanno portato al collasso, e che sicuramente lo faranno ancora.
Solo da questa opportuna e giusta rabbia possiamo sperare le riforme
che un giorno libereranno il nostro sistema dalla presa immorale
delle mega-banche che l’hanno in pugno e lo corrompono”.
Altra
voce è quella del premio Nobel Joseph Stiglitz, che per ricreare la
fiducia, necessaria in ogni affare economico, sostiene la necessità
di perseguire i banchieri che hanno commesso le frodi:
“Penso
che si debba fare quel che si fece per la crisi delle S&L (le
casse di risparmio ai tempi di Reagan, ndr.) e sbattere concretamente
molti di questi individui in prigione. Assolutamente. Quelli (che
hanno commesso) non sono reati da colletti bianchi né piccoli
incidenti. Ci sono state vittime. Vittime in ogni parte del mondo”.
E
infine Andrew Rawnsley, il commentatore politico capo, del giornale
Observer ha scritto della “cloaca morale della City” affermando
la necessità “di una riforma radicale di come attuiamo il
capitalismo”, aggiungendo che i banchieri del paese sono “avidi,
sventati e incompetenti […] svergognati […] e che spogliano i
loro clienti […] e che in conseguenza la nostra intera società è
stata distorta.”
A
riguardo dello scandalo Barclays emerge che sino a 20 banche,
comprese alcune grandi, sono coinvolte a vario titolo nella frode e
allora: “Questo poteva accadere solo in una City in cui inganni e
raggiri sono diventati istituzionali” ha scritto Rawnsley.
Parodiando
il celebre detto delle banche “troppo grandi per fallire” ne ha
apostrofato la classe dirigente con la frase:
“A
questi ‘ragazzoni’ va insegnato che non sono troppo grandi per il
carcere”.
E’
il momento di ridurre lo spread tra chi lavora e non guadagna quasi
niente e chi è strapagato per fare danni; di ridurre lo spread tra
chi sconta sei mesi di prigione per un furto del valore di tre euro e
mezzo e chi è a piede libero per aver rubato miliardi; lo spread tra
coloro che sono eguali davanti alla legge e tra quelli che si
scrivono delle leggi su misura per essere più eguali degli altri.
Poiché
non si può sperare che la casta dominante si auto-riformi,
rinunciando così ai propri privilegi e alle proprie posizioni
predominanti, urge un rinnovamento che sfoci nell’intervento della
politica. E della polizia.
fonte: http://www.stampalibera.com
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