Classe sociale è la strutturazione gerarchica di uno strato della popolazione in un raggruppamento abbastanza omogeneo, sia da un punto di vista economico (lavoro, casa, vestiario), sia sul versante culturale (livello di istruzione, titolo di studi, cultura generale).
di Francesco Salistrari
Ricomposizione transnazionale di classe.
Il capitalismo fu sin dall’inizio
un “movimento sociale” a grandissimo carattere internazionalista. La formazione
di tutta una serie di “borghesie nazionali”, intorno al sorgere politico dello
“Stato Nazione”, inteso come “nume tutelare” degli interessi di classe
nazionali (imperialismo), fu fin dal principio accompagnata dalla “nascita” di
una sorta di “classe borghese transnazionale” che si espresse attraverso varie
forme ed organizzazioni, una delle quali può essere rintracciata sicuramente
nella cosiddetta “haute finance” di ottocentesca memoria.
Questa classe sociale nascente,
benchè suddivisa comunque al suo interno su linee di classe a “base nazionale”,
ha sin da subito assunto una chiara fisionomia cosmopolitica, cioè di
“politica” (polités) applicata al “mondo” (cosmos). Nella sua visione aperta
delle relazioni economiche umane, questa classe sociale, ha infatti espresso i
suoi interessi travalicando spontaneamente le diversità culturali e formandosi
spontaneamente all’interno di qualsiasi contesto, divenendo interlocutore
globale di interessi seppur di matrice “locale”.
Nelle dinamiche storiche
intercorse, dalla nascita di questa “classe globale”, le contraddizioni
sistemiche e sociali scaturenti dallo sviluppo del capitalismo, fecero di
questa classe ciò che Smith fece della “mano invisibile” per il mercato. Cioè
vale a dire, all’interno delle contraddizioni nazionali e dello scontro per il
controllo delle risorse planetarie, questa classe “sovranazionale”, sovente ha
“spostato” i suoi interessi apparentemente in modo funzionale a particolari
interessi “nazionali”, ma in realtà ai propri. Gli accordi commerciali, gli
investimenti, i finanziamenti, tutta la massa monetaria che questa classe è
riuscita a spostare nel mondo nel corso degli ultimi 200 anni, ha in qualche
modo sempre contribuito a determinare in maniera fondamentale, gli eventi
storici e gli scontri internazionali.
Un metodo capace di gettar luce
su questa dinamica, può facilmente essere rintracciato individuando, nei vari
tornanti storici, gli spostamenti di capitale mondiale. Cioè, allo stesso modo
di come un magistrato che indaghi su un reato, per scoprire i mandanti, gli
esecutori e gli eventuali fiancheggiatori, segue la “scia del denaro”, così
individuando i flussi finanziari, si individuano un modus operandi e dei
“colpevoli”.
Questo per il semplice fatto che
l’allocazione delle risorse che questa “classe globale” storicamente ha
determinato, è stata capace di spostare gli equilibri politici e sociali di
intere aree del pianeta contemporaneamente.
Oggi, con l’avvento del
capitalismo globale (finanziarizzato), il peso sociale, economico, politico e
militare di questa classe, di fatto, si è enormemente accresciuto, tanto da
configurare una nuova sovranità che soppianta, nelle dinamiche del potere, la
sovranità dello “Stato nazionale”, un nuovo spazio politico decisionale, capace
di indirizzare le scelte di qualsiasi contesto nazionale o regionale.
La capacità di “spostare”,
attraverso i mezzi tecnologici moderni, i propri interessi aldilà di qualsiasi
confine linguistico, culturale, politico, permette una composizione di classe
mai sperimentata in passato. Questo significa che esiste, a partire da un certo
momento storico (che cercheremo di individuare in seguito), una nuova
dimensione politica.
Ogni classe sociale, storicamente
esistita fin qui, ha infatti fondato la propria dimensione politica. Tale
dimensione politica, rifletteva la struttura produttiva del tempo e i rapporti
sociali ad essa sottesi.
Oggi, la struttura produttiva
mondiale (multinazionale) e i nuovi rapporti sociali nati dal crollo della
divisione in blocchi del mondo, hanno generato la creazione di una nuova
dimensione politica occupata appunto dalla classe globale.
Questa nuova dimensione politica
si esprime, naturalmente, attraverso una nuova dimensione ideologica che permea
il contesto culturale globale, colonizzando l’immaginario collettivo di sempre
più grandi masse di individui. L’unificazione dell’immaginario collettivo non
più su basi nazionali e/o regionali, bensì globali, è probabilmente un fenomeno
originale, nella storia del mondo, ma se è possibile oggi, lo è essenzialmente
perché è solo da qualche decennio che la classe sociale globale ha instaurato
una propria dimensione politica autonoma.
Se infatti in passato, molto più
di oggi, la mediazione degli interessi della “classe borghese transnazionale”
doveva avvenire per ragioni di forza (rapporti) su canali più strettamente
nazionali (quindi gruppi nazionali, espressione di interessi di classe nazionali),
quindi delimitando fortemente la propria capacità decisionale e politica, oggi,
con la modificazione della funzione dello Stato (storicamente esistita), essa
si è spostata da ambiti “nazional pubblici”, ad ambiti “internazionali
privati”. All’interno della mediazione internazionale privata, con tutte le sue
sfaccettature e le sue contraddizioni, la dimensione decisionale politica,
assume sempre più carattere “privatistico”, cioè non determinata da dinamiche
pubbliche (democratiche, collettive e/o nazionali) e che impone la propria
trasversalità ideologica a tutto l’orizzonte sociale mondiale.
Una delle caratteristiche
attraverso cui si può individuare questa classe sociale globale, si esprime
attraverso le nuove forme di proprietà che lo sviluppo capitalistico degli
ultimi decenni ha determinato. Analizzando infatti la struttura delle imprese
multinazionali, delle banche e della finanza mondiale, i nuovi istituti di
proprietà sorti dalla caduta del muro di Berlino ad oggi, prefigurano
l’esistenza di una classe possidente globale.
Possidente nel senso letterale
del termine.
Tutto ciò che rientra nella
categoria socialmente ampia di “merce”, le appartiene. In un’epoca storica in
cui la “mercificazione dell’esistente” è un processo il cui grado di sviluppo
conosce oggi vette storicamente mai sperimentate, le “proprietà” di cui dispone
la classe possidente globale sono talmente estese da occupare la quasi totalità
dell’orizzonte esistenziale moderno.
Osservando le ramificazioni dei
titoli di proprietà delle imprese, delle aziende, dei titoli azionari, dei
consigli di amministrazione (compresi quelle delle grandi banche di
investimento, delle banche centrali e degli istituti finanziari), appare
evidente come questa classe possidente globale, controlli (più o meno
totalmente):
• Il
denaro;
• La
forza lavoro;
• Le
risorse (energia, acqua, minerali, terra ecc.);
Se questo, per le classi
possidenti storicamente esistite, avveniva semplicemente su basi nazionali e/o
regionali, oggi avviene su scala globale.
La struttura sociale di questa
classe possidente globale, si costruisce su base piramidale, attraversata da
settori intermedi.
Questo ampio settore sociale
globale, rappresenta la cuspide della piramide sociale mondiale. Immediatamente
sotto a questo livello, esiste il livello cosiddetto “statale nazionale”, vale
a dire, un livello intermedio di classe, che si esprime attraverso linee di
classe nazionali, ma in posizione subordinata. La base della piramide è
rappresentata da quella che si potrebbe definire “Società bassa”: l’insieme
delle masse “produttrici e consumatrici”.
All’interno della Società Bassa,
sussistono, com’è naturale, settori intermedi che fungono da collante sociale
verso l’alto.
Il Potere politico e la funzione dello Stato.
Come tutte le classi possidenti
della storia, anche la Classe Possidente Globale, detiene il potere politico ed
esprime tale potere attraverso proprie Istituzioni. Una di queste istituzioni
rimane lo Stato Nazionale, che ha completamente mutato la propria funzione
rispetto a ciò che ha storicamente rappresentato sino a questo momento.
Il vasto processo denominato
“erosione dello stato nazionale”, è un processo storico, sociale e politico che
affonda le sue radici nei mutamenti strutturali avvenuti durante il corso degli
anni ’70 del novecento a livello globale.
L’emergere del “neoliberismo”
come teoria economica fondante dell’azione Statale, in occidente, ha
determinato una lenta ma progressiva erosione delle prerogative dello Stato in
quanto istituzione di potere, in quanto cioè a dimensione politica
(decisionale). Questa erosione, è avvenuta attraverso tutta una serie di
mutamenti sociali, giuridici, finanziari che il processo che si è avviato dagli
anni ’70 in avanti, ha portato sempre più i luoghi decisionali politici da una
dimensione “nazionale” (imperialistica), ad una sempre più internazionale. La
nascita di istituzioni transnazionali come la Banca Mondiale, il Fondo
Monetario Internazionale, le Banche Centrali sganciate dal controllo pubblico
(e dalla proprietà pubblica), la nascita di unificazione commerciale di intere
regioni (NAFTA, COMUNITA’ EUROPEA ecc), l’abbandono del sistema monetario nato
a Bretton Woods, tutto questo, ha progressivamente ridotto l’ambito di
intervento (e la proiezione di potenza) dello Stato Nazione in quanto tale,
relegandolo al ruolo comprimario di potere tra i poteri.
In qualche modo, è avvenuta
progressivamente una “divisione internazionale dei poteri”, in cui quello
statale, non è che un livello politico-amministrativo non più “fondante”, bensì
intermedio.
Questo processo, con la caduta del
muro di Berlino e della società “collettivistico-burocratica” dell’Unione
Sovietica e del Patto di Varsavia, ha subito un’accelerazione prepotente e
sebbene qualcuno intravedesse al contrario l’emergere degli Stati Uniti come
unica superpotenza statale globale, capace cioè di determinare su linee di
interesse di classe a base nazionale, nel medio periodo, ha contribuito ad una
pesante limitazione della proiezione di potenza dello Stato Americano (USA).
Sebbene, grazie al suo apparato militare, alle relazioni internazionali,
evolutesi a partire dal secondo dopoguerra, gli Stati Uniti mantengano una
potente egemonia politica, culturale, economica, pur tuttavia, gli interessi
transnazionali della frazione americana (statunitense) della Classe Possidente
Globale, spesso sono in contrasto con i particolari interessi nazionali
espressi attraverso la dimensione politica statale.
Dunque, se da una parte, gli USA,
in quanto entità Statale (Nazione), mantengono un ruolo di primo piano,
all’interno delle dinamiche internazionali e di scontro intercapitalistico, pur
tuttavia, tale ruolo diventa ancillare e funzionale non già ad interessi
prettamente statunitensi, bensì trasversali e transnazionali.
In realtà, le varie componenti
del potere politico statale, espresso regionalmente e/o nazionalmente,
rappresentano più che altro frazioni intermedie di una piramide che si estende
anche al di sopra di esse.
Non sono più le forze nazionali,
bensì quelle transazionali che determinano l’andamento della geopolitica
moderna.
Le guerre, i conflitti, le
situazioni di crisi sociale, militare ed economica, sono tutte espressione di
fratture interne su linee di classe nazionale che vengono utilizzate, ai fini
degli interessi della Classe Possidente Globale, a seconda delle circostanze,
delle convenienze, delle alleanze sociali e politiche.
E’ chiaro che all’interno dei
vari contesti nazionali, esistano spazi culturali ed ideologici autonomi, che
non necessariamente esprimono interessi globali, ma che al contrario fanno da
contraltare alle spinte disgregative insite nel meccanismo di distruzione delle
entità statali tradizionali.
Laddove esistono governi che si
oppongono al dominio incontrastato dei “mercati” (cioè della Classe Possidente
Globale), esistono forze sociali capaci ancora di opporre resistenza
organizzata e mediazione politica. Laddove questi governi hanno rappresentato
un ostacolo troppo ingombrante agli interessi dei “mercati”, sono stati
spazzati via dalle guerre che abbiamo vissuto negli ultimi 70 anni.
Le guerre del futuro, la
geopolitica del futuro cioè, si giocheranno pertanto sull’eliminazione (o sul
tentativo di eliminare) progressivamente tutti quegli ostacoli che restano
all’instaurazione definitiva della “dittatura dei mercati”, vale a dire al
pieno e totale dispiegamento del potere della Classe Possidente Globale.
La svolta del '68.
Il vasto processo sociale e
politico, passato alla storia come il “movimento del ‘68”, ha rappresentato una
svolta epocale di portata straordinaria le cui conseguenze e le cui
implicazioni non sono state del tutto comprese o indagate. Ferma restando
l’immensa produzione intellettuale (analitica, politica, sociologica,
psicologica, filosofica) intorno alle cause, agli sviluppi e agli sbocchi del
“movimento del ‘68”, l’analisi della quale è indispensabile per comprendere una
così particolare congiuntura storica, pur tuttavia il grande portato del
“movimento del ‘68” assume, nei confronti dell’individuazione della moderna
sovranità politica globale, importanza determinante.
Infatti, l’anno 1968, sebbene anno-simbolo,
rappresenta una particolare convergenza di fattori che hanno fatto esplodere le
contraddizioni insite nel sistema sociale (e internazionale) scaturito dalla
seconda guerra mondiale e ne hanno dato uno sbocco sociale, economico e
politico del tutto nuovo.
Un immenso intellettuale come
Pierpaolo Pasolini, in modo profetico, nei suoi scritti e in generale nella sua
produzione artistica, fu uno dei pochi capaci di cogliere i tratti salienti del
“movimento del ‘68”, individuandone significati, processi, sbocchi, conseguenze
di lungo periodo.
In effetti, il movimento del ’68,
aldilà delle sue manifestazioni politiche e delle sue contraddizioni, sprigionò
energie sociali nuove, capaci di modificare lo stato esistente delle cose. Tali
energie, lungi dall’essere rappresentate, come Pasolini ben comprese, da un
generale riorientamento culturale della società del tempo, in realtà furono
capaci di provocare lo sconquasso della “società borghese” minando le
fondamenta stesse del “dominio borghese della società”.
Il movimento del ’68, in larga
parte, benchè caratterizzato da una polarizzazione ideologica di classe
(operaia) e intellettuale (studentesca), fu preminentemente un fenomeno
“antiborghese” e solo in maniera marginale “anticapitalista”. Pur in presenza
di una forte componente antisistemica, espressa nelle forme organizzative dei
movimenti extraparlamentari di matrice marxista, marxiana, veteromarxiana,
leninista, maoista o troschista, pacifica o armata, tale componente non fu mai
veramente egemonica, né da un punto di vista politico, né ideologico. Il
contraltare, rappresentato dal “riformismo istituzionale” incarnato dai
partiti, dai movimenti e dai sindacati della “sinistra ufficiale”, rifletteva
essenzialmente la struttura sociale esistente e i rapporti sociali
internazionali, molto più di quanto gli stessi rappresentanti di queste
tendenze credessero o volessero far credere. Da questo punto di vista, il
“conservatorismo” di sinistra, espresso da queste formazioni sociali, fu ciò
che rese impossibile uno sbocco realmente anticapitalista del vasto movimento
cominciato nel 1968.
La messa in discussione della
“famiglia”, della “morale”, del “potere” e delle istituzioni in generale, non
fu una messa in discussione generale del sistema nel suo complesso, bensì una
messa in discussione del “modello borghese” di queste istituzioni, senza per
ciò stesso comportare il radicale rifiuto del sistema economico nel suo
complesso.
In altri termini, grazie a tutta
una serie di situazioni e alla composizione dei rapporti di forza in campo, il
movimento del ’68, distruggendo la “società borghese”, con essa, contrariamente
alla dottrina marxista allora imperante, non distrusse il sistema capitalista,
ma contribuì ad una sua evoluzione sociale, politica ed economica di ampia
portata del tutto nuova ed originale.
Molto curiosamente, ma non certo
casualmente, proprio mentre in occidente si avviava la “grande stagione della
contestazione”, nella parte ad oriente del mondo, vale a dire quella
caratterizzata da un sistema statalizzato della gestione economica e del
potere, cominciava un processo lento e graduale di sgretolamento del sistema
che avrebbe condotto decenni più tardi al ritorno al capitalismo. Sebbene nel
mondo sovietico di fine anni sessanta, il “benessere” avesse raggiunto vette
mai sperimentate in passato e sebbene sia la tecnica, lo sviluppo scientifico e
produttivo, avesse caratteristiche simili a quelle occidentali (da un punto di
vista del grado di sviluppo delle forze produttive complessivamente intese),
tuttavia, l’impalcatura politica rappresentata dalla ferrea presa burocratica
sulla società, divenne un ostacolo prepotente allo sviluppo del sistema.
Questo fatto, determinato da
fattori sociali e da fattori strettamente economici, provocò una lenta ma
inesorabile messa in discussione generale della struttura economica sovietica.
Messa in discussione che si espresse, per quanto riguarda le componenti
popolari, in un sempre crescente malcontento e nel rifiuto ideologico del
comunismo, mentre per quanto riguarda i vertici sociali, attraverso un sempre
più marcato anelito di trasformazione dei rapporti di proprietà e di quelli
sociali in direzione di una restaurazione capitalistica.
Le contraddizioni sociali e la
lotta tra settori sociali sovietici, ad un certo momento divennero così
evidenti attraverso la messa in discussione del fondamento del potere del
Partito Comunista (nelle sue varie declinazioni nazionali), per infine produrre
al proprio interno quelle forze capaci di generare il cambiamento che si
verificò poi alla fine degli anni ’80. Tali contraddizioni, fortemente
condizionate dalla situazione internazionale e dai rapporti di forza sociali
internazionali, nonché alimentate dalla base popolare del sistema sovietico che
anelava un cambiamento, permisero la dissoluzione del sistema sovietico in modo
talmente repentino che agli occhi degli osservatori occidentali, tutto il
fenomeno per lungo tempo restò un mistero.
La reintroduzione del
capitalismo, in una società come quella sovietica, fu un processo politico ed
economico di inaudita violenza, capace di lasciare cicatrici e problemi sociali
non ancora rimarginati. La dissoluzione sociale sfociata in predazione
sistematica delle risorse pubbliche da parte di una “classe borghese nascente”,
in realtà figlia diretta della “casta burocratica” al potere tramite i vari
Partiti Comunisti nazionali, determinò il più grande e colossale “furto” di
proprietà pubbliche che la storia abbia mai registrato, provocando un
riallineamento di classe violento e criminale i cui effetti non sono ancora del
tutto dispiegati.
Dunque, mentre più o meno nello
stesso periodo in occidente, assistiamo da una parte ad un colossale movimento
di messa in discussione delle basi tradizionali del dominio borghese della
società, ed in particolare dello “stato nazione”, un movimento che dall’alto si
esplica attraverso la radicalizzazione delle nuove teorie economiche
riconducibili al “neoliberismo” che mettono in discussione il ruolo dello Stato
nell’economia, dunque i rapporti sociali sorti dalla seconda guerra mondiale
fino a quel momento, dall’altro, in oriente, assistiamo ad un movimento che pur
da presupposti del tutto diversi e con forme e contenuti dissimili, pur
tuttavia mette in crisi e in discussione anch’esso lo Stato (non solo come proprietario
dei mezzi produttivi), con sbocchi del tutto simili (se non perfettamente
corrispondenti) a quelli del “neoliberismo” occidentale.
In effetti, analizzando
metodologie, tempi e strumenti utilizzati nella reintroduzione del capitalismo
nei paesi dell’est ex sovietico, ci accorgiamo immediatamente di come la
nascente classe possidente (al sorgere dei nuovi rapporti sociali), sia legata
a doppia mandata, non solo per filiazione ideologica, bensì strutturale, alla
classe possidente occidentale, che nel frattempo stava guidando la
trasformazione del capitalismo occidentale in senso “neoliberista”.
Tutto questo vasto fenomeno,
sarebbe più corretto dire processo, conosciuto come “internazionalizzazione dei
mercati”, in realtà è rappresentato più che da un semplice allargamento
sommatorio di mercati (rimasti separati fino all’esistenza del blocco
sovietico), da una vasta composizione di classe su scala globale che mette in
discussione le definizioni territoriali, nazionali e sociali fino ad allora
esistite.
Gli strumenti attraverso i quali,
questo processo si è realizzato, sono di natura ideologica, sociale, politica
ed economica.
L’avvio economico di questo
processo, che in occidente coincide con l’esplosione delle cosiddette crisi
energetiche (shock pretroliferi) degli anni ’70, in oriente si manifesta
attraverso quella che è passata alla storia come l’epoca della “stagnazione”
sovietica. In entrambi i casi, le crisi ad essi sottese, sono di natura
intrinsecamente sociali, prima che economiche.
La distruzione della “società
borghese” e della “società socialista”, sono due fenomeni strettamente connessi
e strettamente correlati, che investono un cambiamento generale del paradigma
economico globale e che genera un riassetto complessivo degli equilibri
politici ed economici mondiali, il risultato del quale è sotto gli occhi di
tutti noi, oggi.
La cosiddetta
“finanziarizzazione” del capitalismo, significa tutto e non significa niente.
Questo perché, aldilà delle categorie strettamente economiche, il vasto
processo di mutamento sociale intercorso negli ultimi 40 anni, è
significativamente connaturato all’emergere e all’affermarsi di una nuova
dimensione politica sovranazionale, classista, che fa dell’attuale panorama
sociale ed economico un vero e proprio “mondo nuovo”.
La globalizzazione dei mercati,
in realtà è l’affermazione di una nuova classe sociale possidente,
contraddistinta, come qualsiasi altra classe sociale storicamente esistita, da
proprie istituzioni, da una propria ideologia, da specifici rapporti di proprietà,
da specifici rapporti di lavoro.
La divisione mondiale del lavoro
oggi, si esprime attraverso non solo nuove forme contrattuali (e di
sfruttamento), ma anche attraverso una nuova stratificazione sociale globale,
una nuova capacità allocativa, e attraverso la capacità di spostare e
diversificare gli apparati produttivi per cui, le entità sociali che possiedono
i titoli di proprietà (strettamente intesi) dell’apparato produttivo mondiale,
essendo portatrici sempre più di interessi “privatistici” erosivi degli ambiti
di intervento pubblico (statale e collettivo) e che abbracciano l’intero agone
economico trasversalmente, vanno a strutturare un sistema economico-produttivo
capace di allocare le risorse in maniera indipendente dal potere politico classicamente
inteso.
Quello che viene oggi presentato
come il distacco dell’economia dalla politica, o dell’autonomizzazione delle
categorie economiche da quelle della politica, o ancora, della supremazia
dell’ordo aeconomicus sull’ ambito politico, in realtà è l’emersione di un
“nuovo ordine politico” espressione di un interesse di classe globale
trasversale, sovranazionale e transnazionale, che determina una profonda
mutazione genetica dei rapporti di forza sociali internazionali.
Il mondo della globalizzazione
economica è, dunque, il mondo della Classe Possidente Globale. Vale a dire di
quel soggetto storico, espressione di un blocco sociale mondiale determinato,
che detiene il Potere e lo esercita attraverso forme e metodologie, istituzioni
e prassi sociali, nuove e rivoluzionarie.
(continua)
Nessun commento:
Posta un commento