lunedì 19 novembre 2012

E' ora di cambiare!

Questo scritto non si propone di essere completo, sistematico, organico ed esaustivo, ma si limita a porre solo alcune considerazioni di carattere generale capaci di stimolare una riflessione collettiva. Pertanto mi perdonerete la confusione dell'esposizione, la sovrapposizione dei temi e degli ambiti, la non trattazione di alcuni argomenti a favore di altri.
Buona lettura.


Vorrei ragionare brevemente sulle manifestazioni che in questi giorni hanno agitato tutta Italia (e tutta Europa). Manifestazioni che hanno dato riprova di come l'opposizione sociale alle politiche neoliberiste europee applicate diligentemente da tutti i governi nazionali, stia crescendo e non è sicuramente destinata a calare, soprattutto in vista dei prossimi mesi, vale a dire quando gli effetti nefasti delle manovre attuate dai vari governi in nome di questa maledetta “austerity” (locuzione anglosassone atta ad ingannare il popolo, ma solo semanticamente, che non significa altro che massacro sociale), effetti, dicevo, che si faranno tragicamente evidenti.
In merito a quello che è successo vorrei porre alcuni spunti di riflessione che reputo necessari in questa fase convulsa della situazione economica e sociale.
En passant vorrei sottolineare lo sdegno e il disgusto per i beceri episodi di violenza, malamente celati dalle forze dell'ordine italiane, in cui il “caso” dei candelotti di lacrimogeni esplosi da dentro addirittura il Palazzo del Ministero di Grazia e Giustizia è emblematico di un clima repressivo che monta e non potrebbe essere altrimenti. Ma l'Italia non è il solo paese in cui si è assistito a violenza generalizzata. Scandalose le immagini, ad esempio, provenienti dalla Spagna dove studenti delle scuole medie sono stati bastonati senza pietà dalle forze dell'ordine iberiche. Ma anche in Grecia (sull'orlo della dissoluzione sociale completa) la repressione delle proteste è stata veemente e in alcuni casi drammatica.
Aldilà di questo vanno poste però alcune questioni politiche.
Il movimento di protesta visto agire nelle piazze italiane in questi giorni, a cominciare dagli studenti delle varie città, ancora in stato di agitazione (scuole occupate, nuovi cortei previsti nelle prossime settimane ecc.), passando per le manifestazioni di protesta di varie categorie sociali dei mesi e delle settimane scorse, per finire ai lavoratori della Sulcis (Sardegna) o agli scontri (ormai quotidiani) in Val Susa, un dato emerge prepotente (e preoccupante): tutti questi movimenti di protesta sono assolutamente sprovvisti di una qualsivoglia sponda politica. Sia in Parlamento (e come potrebbe sperarsi il contrario?), sia anche tra quelle formazioni “extraparlamentari” troppo occupate a calcoli elettorali, primarie, ristrutturazioni e riorganizzazioni interne. Le uniche forze politiche presenti in piazza, ma in maniera minoritaria e ancora incapaci di rappresentare politicamente la protesta, sono stati i militanti del Partito di Alternativa Comunista (soprattutto attraverso i Giovani di Alternativa Comunista) e Rifondazione Comunista. Per il resto il deserto completo a parte qualche sindacato (come l'immancabile e isolata Fiom).
Del resto, l'incapacità di queste forze a farsi egemoni o, in qualche modo, riuscire a rappresentare la protesta e organizzarla in maniera lucida e coerente, è talmente palese da risultare schiacciante. Vi è però da dire che questo non avviene semplicemente per incomprensione delle dinamiche in gioco, ma soprattutto per una credibilità che, nel caso di Rifondazione, in seno ai movimenti autonomi, spontanei (e disorganizzati), è difficile da riconquistare o acquisire ex novo. Anche solo la terminologia usata da queste formazioni appare inadatta a canalizzare la protesta all'interno di un alveo politico e di prassi quotidiana invece necessaria e auspicabile.
Aldilà di ciò però i movimenti di protesta di questo nuovo “autunno caldo” italiano, presentano alcune caratteristiche di per sé preoccupanti: lo spontaneismo della protesta, la disorganizzazione, l'incapacità a sistematizzare anche idealmente i propri obiettivi politici, la frammentarietà e la divisione interna, l'impossibilità operativa a legare i vari fronti dello scontro, l'isolamento (anche sociale).
Questo è estremamente evidente nel caso delle proteste studentesche dove si assiste ad una tremenda voglia dei giovani di protestare, di gridare la loro angoscia e la loro incertezza per il futuro, che vedono la scuola sgretolarglisi intorno, dopo i tagli dei governi, dopo le politiche scriteriate degli ultimi 20 anni, che si rendono conto del precipitare degli eventi forse più e meglio di molti italiani ancora intontiti da anni di disimpegno sociale. Ma il potenziale studentesco, sempre storicamente in prima linea in momenti come quello che stiamo vivendo, rischia di evaporare nella paura della repressione, nell'isolamento, nell'impossibilità a dare sbocco politico alle proprie rivendicazioni che, solo raramente, in questi ultimi anni, sono riuscite a legarsi a quelle di altre categorie sociali. Anche in questo, la frammentazione sociale fa sentire potente il suo effetto nefasto.
Ma così come per gli studenti, per gli stessi operai in lotta, per i movimenti di protesta attivi da anni (No Tav, Pastori Sardi, Sulcis, Ilva, lavoratori Fiat ecc.) gli obiettivi polemici appaiono sfocati, le rivendicazioni in stile “sindacale”, le prospettive di corto respiro, la capacità di allargare il fronte e indirizzare la protesta quasi assente. Ed il tutto favorisce senza ombra di dubbio la penetrazione e l'infiltrazione di elementi destabilizzanti che operano a favore di quella giustificazione alla violenza repressiva delle forze dell'ordine (sempre peraltro presente nella parole degli epigoni del potere, giornalisti, politici e cariche istituzionali) che finisce in ultima istanza per negare una seria riflessione sulle ragioni della protesta e sviare l'attenzione, annichilire il dibattito, uccidere ogni pretesa di rivendicazione e di difesa.
Appare chiarissima l'assenza di un soggetto politico collettivo, capace di farsi sponda politica trasversalmente nella società e nelle istituzioni di questi movimenti, capace di indirizzare la protesta verso gli obiettivi corretti (che non sono semplicemente la “casta” o la corruzione dei politici, sic!), di elaborare una proposta unitaria in grado di dare risposte, stimoli, guida e sostegno concreto alla protesta, agli operai e agli studenti, ma in generale a tutta la società prostrata dalla crisi e dalle politiche criminali di questo governo.
Un soggetto politico innovativo, dotato di quella costituzione etica e valoriale di cui si sente immensamente bisogno non solo in politica ma in ogni ambito della vita sociale del nostro paese. Un soggetto politico capace di elaborare nuove forme di protesta e di difesa sociale territoriale, partendo ad esempio dalle esperienze locali del consumo critico e solidale, che si faccia amplificatore a livello nazionale delle esperienze concrete di milioni di cittadini che nel proprio vivere quotidiano lottano contro l'imbarbarimento civile in cui precipita, a spirale, il paese.
E sulle forme innovative di protesta vorrei dire qualcosa di più preciso.
E' ormai evidente come le manifestazioni tradizionali (nella forma del corteo di protesta) in cui si “marcia” su percorsi stabiliti e autorizzati, chiusi come buoi nei corridoi dei macelli, non servono a nulla, assolutamente a nulla, ma comportano solo l'esasperazione sociale, l'esacerbarsi della risposta violenta del potere che sfrutta ogni minima occasione per delegittimare, infiltrare, snaturare e screditare la “sfilata”.
Ecco, il tempo delle sfilate è finito!
Non servono a niente e, come l'esperienza storica ha ampiamente dimostrato, sono del tutto controproducenti e funzionali alle istanze del potere. E questo è ancora più tristemente evidente in una situazione di frammentazione e di divisione sociale, direi quasi di sbaraglio, come quella attuale. Le forze che organizzano le manifestazioni oggi in Italia non possiedono quelle poderose strutture, sole in grado di garantire un minimo di controllo delle infiltrazioni, di organizzazione razionale della protesta, di disciplina minima indispensabili per rendere la manifestazione realmente efficace e sicura. Ma aldilà di questo, ciò che secondo me deve essere chiaro, è che la metodologia della marcia di protesta deve essere abbandonata.
Si deve pensare necessariamente ad altro.
Andare per strada a prendere manganellate anche perchè sprovvisti di una qualsiasi forma di difesa dalle infiltrazioni e dalle provocazioni, è, nell'attuale situazione, una scelta antistorica e scellerata che alimenta a lungo andare il distacco sociale dalla protesta (paura e rassegnazione), non si ottengono risultati apprezzabili né si mette in crisi il sistema politico dominante, si fa il gioco della propaganda di regime che sa solo additare la violenza dei manifestanti e tacere o mistificare impunemente e in maniera vergognosa quella delle forze dell'ordine. Allora qual'è il lavoro concreto che debbono svolgere i movimenti studenteschi, quelli operai, quelli delle categorie sociali in agitazione, dei cittadini consapevoli che vogliono partecipare?
Bisogna comprendere che per rendere la propria lotta realmente efficace non è necessario assembrarsi in gran numero in un punto specifico di una città, “contarsi” e dimostrare una forza che al limite si avrebbe solo da un punto di vista visivo. Sarebbe senz'altro più utile restare nei propri quartieri, nelle proprie scuole, nei propri luoghi di lavoro, nei propri paesi, nei propri stessi condomini a fare volantinaggio, spicheraggio, informazione, a spiegare alla gente le ragioni della crisi, spiegare e far capire a tutti quanto importante sia il contributo di ognuno e l'aiuto reciproco di tutte le fasce sociali. Sarebbe senz'altro più opportuno, ad esempio nelle scuole, adoperarsi per occupare gli istituti in “autogestioni consapevoli” coinvolgendo quando possibile anche i docenti, in cui accrescere il proprio grado di coscienza attraverso discussioni, dibattiti, invitando economisti, filosofi, studenti universitari (se di scuola inferiore), per farsi spiegare cosa sta succedendo, per poi essere in grado di portare le informazioni all'interno delle stesse famiglie. Sarebbe più utile per gli operai in lotta nei luoghi di lavoro, organizzarsi, ricercando e costruendo anche la solidarietà sociale di quartiere, di circoscrizione, di fabbrica, al fine di creare organizzazioni difensive, casse comuni di resistenza, scioperi a oltranza di resistenza passiva, boicottaggio sistematizzato dei prodotti della propria azienda che non vuol scendere a patti, occupazione delle fabbriche in fallimento e in via di smobilitazione per assumerne il controllo e continuare la produzione, quindi mobilitazione permanente in cui si cerchino contatti, si solidarizzi con altri settori sociali e produttivi, si organizzino incontri e alleanze, con obiettivi minimi come potrebbero essere la creazione di cooperative sociali sul modello delle “banche del tempo”, organizzare gruppi di acquisto solidale e di consumo critico, sperimentare modelli di “moneta locale” e così via. Questo naturalmente ricercando complessivamente un'azione unitaria attraverso la creazione di coordinamenti democratici di rappresentanza paritaria con tutte le categorie sociali, che si facciano promotori e partecipi delle azioni e questo senza pretese di porre sui movimenti o sulle organizzazioni nascenti, “cappelli politici”, simboli o nomi e soprattutto ideologie preconfezionate. La parola d'ordine deve essere la collaborazione a tutti i livelli.
In questo contesto organizzarsi in cooperative solidali, anche in città dove questo fosse possibile, al fine di creare un sistema di “orti collettivi” (ma anche piccoli allevamenti) in cui vengano impiegati disoccupati, occupati part-time, pensionati e tutti coloro che hanno a disposizione tempo libero da dedicare ad attività agricole volte ad alimentare i mercati solidali, il sostentamento delle famiglie più in difficoltà, accumulare cooperazione e momenti di condivisione. Questo può valere per qualsiasi altro tipo di “occupazione” necessaria a sostenere la vita dei quartieri, delle cittadine, dei piccoli paesi, come riparazioni, lavori strutturali (come ad esempio la riqualificazione del territorio per arginare il dissesto idrogeologico). Inoltre tutti questi gruppi si prefigurerebbero come veri e propri gruppi sociali di pressione per spingere le amministrazioni locali a incentivare, sostenere e aiutare iniziative di questo genere, anche e soprattutto finanziariamente e logisticamente.
Naturalmente l'obiettivo principale è quello di boicottare le aziende multinazionali e della grande distribuzione che, sia per le condizioni e le politiche del lavoro, per i licenziamenti, per il trattamento e lo sfruttamento del territorio, nonché per la stessa qualità dei prodotti venduti sui mercati, devono diventare l'obiettivo di azioni di resistenza attiva di questo genere. Inoltre diffondere la “cultura” del consumo consapevole attraverso il boicottaggio di tutti quei prodotti che favoriscono gli enormi profitti delle multinazionali e di tutte quelle aziende che non rispettano l'ambiente, la salubrità dei luoghi di lavoro, le tutele del lavoro, che utilizzino imballaggi inquinanti e inutili, che provengano da produzioni lontane dal proprio paese di appartenenza, preferendo al contrario tutti i prodotti locali o di produzioni comunque il più vicine possibili, senza imballaggio o che riduca al minimo gli scarti da imballaggio, che utilizzino materie riciclabili o riutilizzabili. In questo senso sarebbe molto utile organizzare vere e proprie reti nazionali, regionali e locali di consumo consapevole e di “squadre di assalto volontarie” composte da persone capaci di veicolare questi comportamenti virtuosi e cooperativi attraverso campagne di sensibilizzazione quotidiane, di “lavoro solidale”, di propedeutica sociale ecc ecc.
Costruendo movimenti di cittadini coscienti, di studenti e operai, impegnati quotidianamente, è possibile poi alzare il tiro delle pretese e trasformare caso per caso questi stessi movimenti in veri e propri “comitati sociali di resistenza” contro ad esempio le tasse imposte da questa classe politica ladra, asservita ai dettami della tecnoligarchia europea e agli interessi della finanza e delle banche e ai gruppi di potere, per pagare un debito illegittimo e criminale che strangola a bella posta il paese attraverso interessi usurai. I “comitati sociali di resistenza” potrebbero rifiutarsi di pagare le tasse, di cedere ai ricatti di Equitalia, di abbandonare le case, i terreni e le aziende pignorate, di sostenere al contrario i servizi sociali attraverso lo stesso volontariato e le casse comuni. Inoltre potrebbero organizzarsi in “comitati resistenti” e fare quadrato le stesse piccole e medie imprese, abbandonando per una volta la concorrenza e sperimentando forme di cooperazione innovativa, unendosi in cartelli, in filiere, in cooperative rispondendo in maniera decisa alle istanze dal basso che richiedono prodotti di un certo tipo, standard lavorativi e salutari di un certo tipo, imballaggi e materie prime di un certo tipo, forme di coinvolgimento dirette degli stessi operai nella gestione aziendale, giungendo in alcuni casi a costituire delle vere e proprie “casse di risparmio cooperativo” per gli investimenti di brevissimo periodo, dilazionando il pagamento delle tasse (come fa lo Stato con i pagamenti loro dovuti), o richiedendo e ottenendo forzatamente, ma non per decreto o legge ad hoc, l'annullamento dei versamenti dovuti al fisco in cambio dell'annullamento dei crediti che si vantano nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
Le pressioni su enti locali, istituzioni e governo, sarebbero immani e si otterrebbero risultati immediati e concreti se non nel breve, quantomento nel medio periodo. Ma non bisognerebbe accontentarsi!
Con il passare del tempo tutte le esperienze locali di questi movimenti che si autorganizzano e si atostrutturano attraverso la partecipazione collettiva e il contributo di un sempre maggior numero di persone, dovranno essere in grado di legarsi in un movimento più propriamente politico capace di elaborare una serie di richieste sociali, di respiro nazionale, che abbiano come principio cardine la piena esplicazione della “sovranità popolare ed economica” per il nostro paese, che si articoli su questi punti essenziali:

  • rifiuto e/o rinegoziazione del debito pubblico;
  • abbandono dell'euro e dei trattati europei;
  • ritorno alla sovranità monetaria attraverso la pubblicizzazione della Banca d'Italia;
  • nuova moneta (ad emissione creditizia) e di proprietà popolare;
  • nazionalizzazione delle banche e dei servizi essenziali (energia, telefonia, trasporti);
  • recupero sovranità territoriale e militare;
  • ritorno alla legislazione del lavoro pre 1997 (in vista di una seria e democratica riforma complessiva);
  • preminenze degli investimenti nella ricerca, nell'istruzione (pubblica e gratuita), nella sanità (nazionale), nei servizi sociali, nel sostegno alle imprese nazionali, nel recupero del territorio;

Questi punti essenziali di rivendicazione collettiva sarebbero esposti a livello sociale, prima che elettorale, attraverso una presa di coscienza collettiva capace di creare i presupposti reali per l'emergenza di un vero movimento unitario, consapevole, organizzato territorialmente attraverso consulte popolari perfettamente democratiche, figlie dirette dei vari comitati locali di resistenza, delle organizzazioni operaie e studentesche di base, dei cittadini, degli eserciti di volontari, dei lavoratori delle “banche del tempo”, dei gruppi di acquisto solidali.
Il più grande contributo che tutti i movimenti già esistenti, nascenti, in via di ristrutturazione e di riorganizzazione, tutti insieme possono dare, dovrebbe essere proprio quello di mobilitare permanentemente la popolazione per obiettivi concreti di respiro locale e nazionale, di difesa sociale, di resistenza attiva, di democratizzazione dal basso di tutti gli ambiti della vita sociale e del lavoro.
Il percorso è lungo, duro, difficile, impervio e assolutamente non scontato.
Ma continuare a scendere in piazza senza un vero obiettivo (e addirittura andare a votare per una qualsiasi delle forze politiche che si presenteranno a marzo), senza una piena coscienza delle dinamiche economiche e politiche in corso, senza una piena coscienza dell'attacco frontale alla democrazia in quanto tale, senza una piena consapevolezza della messa in discussione pesantissima dei diritti sociali e l'attacco sistematico in atto che attenta alla vita, alla salute collettive, che distrugge il diritto all'istruzione per tutti, senza una presa di coscienza generale di quali siano i propri reali alleati e i propri reali avversari, i reali problemi da affrontare e risolvere, ci porterà solo alla repressione violenta delle proteste, alla demoralizzazione, al riflusso sociale, all'abbandono e alla disperazione e in sostanza alla decadenza definitiva dei rapporti sociali, del paese, dell'economia, all'eliminazione di qualsiasi prospettiva di benessere per il nostro popolo.
E' uno sforzo collettivo che va tentato. Con tutte le forze. Con tutta la volontà e la solidarietà necessarie e di cui siamo capaci. Uno sforzo collettivo senza precedenti, ma possibile. Uno sforzo collettivo senza il quale in fondo al tunnel ci saranno dei vincitori, i soliti, e degli sconfitti prostrati e ridotti al silenzio: la democrazia e la libertà del popolo italiano.


(Francesco Salistrari)

2 commenti:

  1. Finalmente un barlume in mezzo a questo web sconsolante dove tutti son capaci a sbraitare ma pochi son capaci di fare proposte intelligenti. Giusto non aggredire in piazza i traditori della repubblica, lì sono forti e preparati, lì aspettano per dare l'ultimo colpo! Completamente impotenti sono contro la guerriglia dell'intelligenza e del pensiero organizzati! Niente possono contro la resistenza dei singoli e dei piccoli gruppi che sui "monti" si sono nascosti.
    Martin Pescatore

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    1. Grazie Martin, sei sempre troppo gentile con me.
      Un abbraccio

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