DI
MAURO BOTTARELLI
ilsussidiario.net
Lo
scorso venerdì ho dedicato il mio articolo (*) a quanto sta
accadendo a Gaza e alle ripercussioni finanziarie che questa nuova
fiammata di tensione in Medio Oriente può sottendere o innescare.
Come sapete, non credo alla vulgata dell’attacco israeliano per
ritorsione ai missili lanciati da Hamas: troppo in grande stile
l’offensiva, troppe le coincidenze temporali, prima delle quali il
nuovo mandato presidenziale a Barack Obama e l’approssimarsi delle
elezioni proprio in Israele. Inoltre, anche i media più chiaramente
e nettamente schierati al fianco di Israele, nelle loro
corrispondenze fanno notare come i missili di Hamas siano, purtroppo,
un qualcosa di oramai cristallizzato nel quotidiano.
Detto
questo, il sito AsiaNews faceva notare un’altra coincidenza che
potrebbe dare una spiegazione al timing dell’attacco. A metà
novembre, all’Onu si terrà infatti la discussione sul
riconoscimento della Palestina, che passerà da osservatore a Stato
non-membro osservatore. Scriveva il Washington Post l’8 novembre
scorso: «L’ascesa
della Palestina a Stato osservatore non-membro dell’Onu è
praticamente un risultato scontato, data la schiacciante maggioranza
di membri che nell’Assemblea generale voteranno a favore, mentre
solo una manciata - capitanata da Usa e Israele - è contraria. La
questione è quindi: quale sarà la reazione di Israele? Il Governo
israeliano si sta riunendo per discutere di potenziali misure
punitive come ritorsione al miglioramento dello status, un
riconoscimento internazionale di fondamentale importanza per i
palestinesi. Rimane un’incognita quale potrebbe essere esattamente
la mossa degli israeliani, ma con un Israele che non negozia con i
palestinesi e che aumenta gli insediamenti dei coloni, rimane molto
limitato il numero di opzioni che di fatto si possono concepire non
come una punizione e che non facciano già parte di un’abitudine
consolidata».
Appare
infatti ovvio che il potenziamento dello status della Palestina
darebbe più forza alle richieste di riconoscimento dello Stato
stesso, composto dalla Sponda Ovest, dalla Striscia di Gaza e da
Gerusalemme Est, cioè quei territori conquistati da Israele con la
guerra dei 6 giorni nel 1967. Decisamente interessante come
lettura.
Ne
aggiungo un’altra di ipotesi, sempre legata all’integrità
territoriale ma anche alla politica energetica. In perfetta
contemporanea con l’offensiva su Gaza, infatti, l’Iran ha reso
noto di aver dato inizio alla costruzione di una pipeline per il gas
verso la Siria, altro focolaio di tensione nell’area. E proprio il
gas potrebbe essere la ragione geostrategica e geofinanziaria di
quanto sta accadendo.
Già,
perché nel 2000 sono state scoperte enormi riserve di gas proprio
sulla costa di Gaza, dopo che l’anno precedente la British Gas
(60%) e l’ateniese ma di proprietà libanese Consolidated
Contractors International Company (30%) siglarono con l’Autorità
palestinese (10% attraverso il suo fondo di investimento) un accordo
che garantiva loro i diritti di esplorazione per gas e petrolio
nell’area per 25 anni. Inoltre, l’accordo prevedeva anche lo
sviluppo di infrastrutture, tra cui la costruzione di un pipeline per
il gas. Peccato che la licenza di esplorazione di cui godeva la
British Gas coprisse l’intera area marina offshore di Gaza,
contigua a molte infrastrutture offshore israeliane sempre per il
gas, tanto che il 60% di tutte le riserve di gas lungo la costa
Gaza-Israele sono di proprietà palestinese. Dopo la trivellazione di
due pozzi nel 2000, denominati Gaza Marine-1 e Gaza Marine-2, la
British Gas rese noto che le riserve stimate sarebbero di 1,4
triliardi di piedi cubici, un controvalore pari a circa 4 miliardi di
dollari, ma l’estensione delle riserve palestinesi potrebbe essere
maggiore.
Ora,
a chi appartengono quelle riserve? Da un punto di vista legale ai
palestinesi, ma la morte di Arafat, la vittoria di Hamas e la fine
ingloriosa dell’Autorità palestinese hanno di fatto permesso a
Israele di prenderne il controllo, tanto che la British Gas ha
intavolato negoziati con il governo israeliano, bypassando
completamente il governo di Hamas sulla questione. Addirittura, nel
2006 l’allora premier britannico Tony Blair in persona intervenne
per bloccare il progetto di British Gas di pompare gas palestinese
verso l’Egitto, su diretta richiesta di Israele (guarda caso, il
governo del Cairo è stato il più duro verso Israele in questi
giorni, tramutandosi poi in mediatore per raggiungere la tregua
iniziata ieri).
Da
allora il governo israeliano ha più volte cercato un accordo con
British Gas, sfruttando il caos ingenerato dalla vittoria elettorale
di Hamas, arrivando a un vero e proprio pressing a partire dal giugno
2008, quando cominciò la programmazione dell’invasione di Gaza
sostanziatasi con l’attacco nel mese di dicembre. Nulla da fare,
fino a quando nel marzo di quest’anno la British Gas ha annunciato
un piano per vendere una parte delle concessioni per l’esplorazione
al largo di Gaza, tra cui il già citato pozzo Gaza Marine-1 per una
cifra tra i 70 e gli 80 milioni di dollari. Dopo tredici anni di tira
e molla, insomma, British Gas chiudeva l’avventura.
Lo
scorso 24 settembre, poi, fonti israeliane rendevano pubblico il
fatto che Israele e l’Autorità palestinese avevano tenuto dei
colloqui proprio riguardo lo sviluppo di un nuovo pozzo al largo di
Gaza, i cui proventi sarebbero serviti a contribuire alla
sostenibilità fiscale palestinese, al livello peggiore dal 1994. Un
alto dirigente del ministero della Difesa dichiarò alla stampa:
«Abbiamo trovato un accordo sui principi e ora, come Israele, siamo
pronti a muoverci spediti verso il processo operativo». Silenzio
totale sui dettagli, se non un particolare: dell’accordo farebbe
parte la decisione di Israele di rilasciare 5mila nuovi permessi di
lavoro sul suo territorio all’Autorità palestinese per cittadini
di Gaza disoccupati, portando il numero totale a 46.450.
Non
sarà che Hamas non vuole questo tipo di collaborazione tra Israele e
Autorità palestinese e abbia quindi aumentato la portata degli
attacchi, facendo di fatto il gioco di Tel Aviv, pronta a entrare in
gioco e con l’opzione dell’attacco di terra che potrebbe
garantire il controllo, anche fisico, di quelle aree così
strategiche? Israele, d’altronde, si fa forte del diritto esclusivo
di fornitura energetica nella Striscia di Gaza, in perenne stato di
emergenza e blackout, nonostante il gas scoperto al largo di Gaza
garantirebbe indipendenza ai palestinesi per 15 anni.
Cui
prodest questo continuo braccio di ferro? A Israele? O forse ad
Hamas, oramai legata mani e piedi al regime iraniano che la foraggia?
Una cosa è certa: non ai cittadini della Striscia o di
Israele.
P.S.:
Non guardate troppo alla Grecia, fate attenzione all’Argentina.
Già, perché il Paese sudamericano il prossimo dicembre potrebbe
fare default un’altra volta. La Corte distrettuale di New York ha
infatti dato ragione a due hedge funds che si rifiutarono di aderire
alla ristrutturazione dei debiti del Paese nel 2001 e quindi Buenos
Aires dovrà pagare loro 1,3 miliardi di dollari entro il 15
dicembre. Il problema è che proprio il mese prossimo l’Argentina
dovrà pagare 3,4 miliardi in totale a vari detentori dei bonds
ristrutturati su regolari scadenze: il primo appuntamento - di
piccola entità - è previsto già per il 2 dicembre. Se però entro
il 15 non verranno pagati i due hedge funds, si bloccheranno
automaticamente tutti gli altri pagamenti regolari ai detentori e
sarà molto probabilmente un nuovo default sovrano. Non a caso, sul
mercato nelle ultime settimane i grandi players hanno fatto
scorpacciate di credit default swaps argentini.
La
storia si ripete, attenzione che quei piccoli “fondi locusta” che
hanno comprato bonds greci denominati in diritto britannico e che non
hanno aderito allo swap di marzo non possano presto fare altrettanto.
Scatenando l’inferno nell’intera eurozona, visto che sarà
default disordinato. Che a qualcuno questa arma di distruzione di
massa possa far comodo? La troppa tranquillità sui mercati e la
volatilità ai minimi di questi giorni a me fanno una paura
terrificante, ve lo assicuro.
Mauro
Bottarelli
Fonte:
www.ilsussidiario.net
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