DI
VALERIO LO MONACO
ilribelle.com
Occorre
dirlo per prima cosa, per evitare qualsiasi ambiguità o
fraintendimento: Beppe Grillo non è bravo, è fenomenale. E non
parliamo del comico, che può piacere o meno, ma proprio del
politico. Di più, del lato strategico del politico. Essere riuscito
a fare quello che ha fatto e quello che con molta probabilità
riuscirà a fare, all'interno del blocco (finto) democratico e
mediatico attuale che è in regime sul nostro Paese significa avere
veramente qualcosa in più.
Grillo
è addirittura eccezionale nell'uso della comunicazione e
nell'utilizzo dei media, in primo luogo della televisione, che riesce
a piegare alle sue necessità senza frequentarla direttamente ed è
bravissimo dal punto di vista organizzativo. Lui o in ogni caso lo
staff che, a tale scopo, ha attorno.
E
chiariamoci subito anche dal punto di vista della querelle
Casaleggio: chiunque egli sia, se dobbiamo valutare la parte
strategica, organizzativa e di marketing, tutto l'eutourage di Grillo
può ragionevolmente dare la paga alla più costosa macchina da
guerra elettorale statunitense che si sia mai vista. E recentemente,
in quelle che sono state le elezioni democratiche Usa più costose
della storia di quel Paese, è cosa che deve renderci orgogliosi
proprio come italiani. Provasse chiunque altro, con i mezzi economici
e con il materiale umano italiano a realizzare quello che ha fatto
Grillo.
Altra
premessa indispensabile: il fenomeno Grillo è oggi quanto di più
entusiasmante vi possa essere nel raccontare i fatti di politica
interna del nostro Paese. Come ci ha detto Massimo Fini, «oggi
non parlare di Grillo, per un giornalista, non solo è un errore, ma
significa proprio non saper fare il proprio mestiere».
Detto
questo, così come abbiamo fatto sin da quando è nato questo
giornale - verificare in archivio, please - continuiamo a parlarne
proprio perché dal punto di vista giornalistico e dei fatti di
politica interna si tratta certamente di una novità assoluta pari,
forse, solo a quella di Berlusconi subito dopo Tangentopoli. Se
allora c'era il Cavaliere a correre per convincere gli italiani e
oggi, al di là di un ennesimo fallimento totale della nostra classe
politica, c'è una persona come Beppe Grillo e il suo MoVimento 5
Stelle, vorrà pur dire qualcosa. Anzi, è già più di qualcosa. È
molto.
Spezziamo
una lancia a favore di Grillo anche, e lo facciamo subito, su uno dei
temi di attualità, inerenti il suo movimento, che la maggior parte
dei commentatori e anche purtroppo di alcuni suoi "attivisti"
ha invece inteso nel senso più sbagliato possibile: la presunta poca
democrazia esistente all'interno del suo nuovo partito. Ebbene, la
evidente guida autoritaria del MoVimento 5 Stelle da parte di Beppe
Grillo (altro che democrazia, suvvia) è quanto di meglio vi possa
essere allo stadio attuale della cosa. Di più, è quanto di meglio
possa sperare anche l'ultimo dei simpatizzanti di questo nuovo
partito: il fatto che sia Grillo a decidere delle cose più
rilevanti, lasciando alla base una ampia libertà di azione su cose
di minore conto, come la gestione locale, e invece decidendo in prima
persona sugli aspetti più spinosi e pericolosi di un soggetto in via
di formazione come questo, è il migliore scudo che si possa sperare
per chi abbia a cuore le sorti di questa nuova realtà. Che un
movimento del genere, almeno nelle sue fasi iniziali, debba essere
condotto con stretta osservanza gerarchica è il migliore antidoto ai
mali di crescita che una cosa del genere porta sempre con sé. Ad
esempio ai facili errori di inesperienza, cui va incontro chiunque,
soprattutto in un mondo di squali politici e mediatici asserviti come
il nostro, e ai tentativi di infiltrazione, che da che mondo è mondo
sono una delle tecniche più efficaci per sabotare una cosa del
genere. Gli attivisti di Grillo che gridano alla poca democrazia
interna dovrebbero invece baciare la strada dove cammina il proprio
leader. L'eccellenza è nelle minoranze, come è ovvio, non nelle
maggioranze. E non vi può essere, se non a livello locale e in modo
diretto, come pure lascia giustamente fare Grillo, una democrazia
totale sulle decisioni più importanti da prendere. Altrimenti
vincerebbero i numeri. E i grandi numeri sono composti da
mediocrità.
Ad
ogni diktat di Grillo, ad esempio quello sulla partecipazione
televisiva ai talk show, oppure quello sui requisiti minimi per
potersi candidare, i grillini dovrebbero ergere un monumento sulle
colline genovesi e di tutta Italia.
Per
dirla in altre parole: in questa fase, se c'è una possibilità di
riuscita in una operazione come questa, ebbene essa non può
prescindere dalla gestione verticistica del partito. Chi non lo
capisce, appunto, fa parte di quella massa che andrebbe docilmente a
farsi sbranare da chi - Presidente del Senato stesso, ovvero
Schifani, in testa, che ha detto di voler cambiare la legge
elettorale per evitare di far arrivare il partito di Grillo all'80% -
ha tutto l'interesse (proprio) a che il tentativo
fallisca.
Endorsement
per Beppe Grillo? Niente affatto. Perché detto tutto il meglio, in
modo convinto, della sua esperienza, onestà intellettuale vuole che,
soprattutto a questo punto, ora che il suo partito punta
(giustamente) al Parlamento, ci si debba interrogare se è adatto a
concorrere per la gestione centrale dello Stato.
E
qui arrivano le note dolenti. Non definitive, ma certamente
allarmanti.
Intanto,
prima considerazione: Grillo ha deciso di combattere il sistema dal
suo interno. Essendone un corpo estraneo, ed esterno, ha comunque
deciso di infiltrarsi al suo interno per provare a cambiarne le
regole, invece che puntare a testa bassa a raderlo al suolo. Al di là
di come la si pensi, e in questo caso la nostra opinione è
irrilevante, si tratta di una scelta. E questa, con le sue
implicazioni, va valutata.
Scegliere
di battersi in questo modo infatti mette in guardia sui possibili
problemi. Il primo, quello di come entrare, pare già ampiamente
superato: bontà sua e dei suoi attivisti, e manifesta incapacità
della classe politica attuale, Grillo sta spopolando. Ed è una marea
montante. Proveranno in tutti i modi a evitare il suo ingresso in
massa al Parlamento ma non ci riusciranno. Allo stato attuale della
politica interna, appare che ogni mossa tra quelle messe in atto dai
pachidermi di un tempo si ritorca regolarmente contro di essi. Grillo
entrerà in Parlamento.
E
da lì, come si dovrebbe, il suo partito dovrà cercare nella
peggiore delle ipotesi di fare opposizione strenua ai vecchi partiti,
e nella migliore - sperata anche da queste parti - di indirizzare il
Paese verso una nuova politica.
La
domanda da porsi, per poter avere una opinione in merito alla scelta
di Grillo di combattere il sistema dall'interno invece di tentare di
raderlo al suolo è la seguente: siamo, al momento, in una situazione
dove ancora qualcosa si può salvare oppure no? In altre parole, per
cambiare la situazione, basta ancora cercare di cambiarne le regole
oppure siamo nella fase in cui andrebbe del tutto rovesciato? Perché
delle due l'una: se si capisce che qui siamo alla fine di un mondo,
di un modello di sviluppo e di tutti i suoi derivati
(pseudo-filosofici, come il mercatismo, economici, come la
finanziariazzazione, etici, come la supremazia dell'individualismo
sul comunitarismo, ecologici, come la cecità del continuare a
consumare sino alla fine delle risorse, e morali, come il continuo
sfruttamento dei quattro quinti del territorio e soprattutto delle
popolazioni del mondo a discapito di tutto il resto) allora non ci
sono alternative: ciò che c'è va spazzato via con una vera
rivoluzione. Armata e cruenta. Altrimenti, se si pensa di poter
cambiare regola per regola, emendamento per emendamento, una
impalcatura che sta crollando nel suo insieme, allora va bene la
scelta fatta dal movimento di Grillo. La nostra opinione è nota ed è
inutile ribadirla.
Ma
torniamo a Grillo e al suo ingresso al Parlamento, per la politica
nazionale.
La
politica, anzi, il Politico - e la P maiuscola in questo caso è
d'obbligo - implica l'avere in mente un obiettivo. Che a livello
nazionale non può essere solo di gestione della cosa pubblica. La
diciamo semplice: implica avere una visione del mondo, una volontà e
quindi una capacità strategica e tattica per individuare la
direzione da prendere e dunque percorrere le tappe necessarie per
raggiungerla.
Qui,
il partito di Grillo, appare del tutto impreparato. Il cardine della
sua nascita, crescita e attività è stato quello doppio della
correttezza morale (nessun condannato in Parlamento, nessuna
corruzione, buona gestione della cosa pubblica) e dello spazzare via
le vecchie, logore, corrotte, nauseabonde e incapaci classi politiche
precedenti. Questo è il suo piano. E non è affatto poco, anzi.
Basterebbe questo per votarlo? Può darsi. A guardare intorno,
infatti, non si vede (quasi) altro. Cosa diversa sarebbe se si
riuscisse, una volta nella vita, a vedere messe d'accordo le ali
estreme extra parlamentari, a sfondo unanime sociale, ma aspettare
tale evento equivale, ormai lo si può dire, a condannarsi a non
vederlo mai. Per ora invece questo offre il convento: il vecchio, e
quando diciamo vecchio includiamo anche tutti i matteorenzi
dell'ultima ora, beninteso, oppure il nuovo e - per ora - il diverso:
Grillo.
Ma
politica di Stato è cosa differente rispetto alle battaglie sul
territorio, nello specifico e nel particulare caso per caso. È cosa
molto differente dalla gestione comunale, provinciale o regionale. È,
appunto, affare di Stato. Di uno Stato che oggi è insito in un
Continente indefinito come l'Europa - o definito solo
finanziariamente da chi ne è a capo - e soprattutto in un mondo dal
quale non può prescindere. A livello di Stato, di Nazione, non conta
nulla decidere come gestire un semaforo comunale, conta come
rapportarsi alla realtà globale nella quale si agisce, conta se
accettare od ostare a pressioni che arrivano da fuori. Conta avere,
appunto, una idea di nazione e di mondo, e sinteticamente rispondere
alle domande ulteriori, strategiche, "superiori", relative
ai temi di fondo (e fondanti) di qualunque soggetto nazionale
all'interno di questo mondo. Sono domande che abbiamo posto a Beppe
Grillo, indirettamente, visto che direttamente non se le lascia
porre, più e più volte, proprio da questo giornale e alle quali
Grillo non ha mai risposto. Sovranità, moneta, modello di sistema,
rapporti con l'Europa, con la finanza e insomma non sono una novità
per chi ci legge da tempo.
Grillo
non ha risposto perché forse non ne ha idea. Diciamo forse, perché
in un angolino della nostra coscienza c'è invece la speranza che
abbia le idee chiare su questi punti cardine, e che magari aspetti
ancora per tirarle fuori. Di certo, però, non le ha il suo partito.
Il MoVimento 5 Stelle - e questo Grillo lo sa benissimo, ne siamo
certi - è del tutto privo di quella cultura politica e filosofica
che è invece necessaria a un partito che si proponga di guidare una
nazione.
Tempo
addietro Grillo aveva chiamato a sé, quanto meno come testimonianza,
intellettuali di varia natura, ma tutti dotati dell'eccellenza di
pensiero all'interno dei propri campi di indagine. Maurizio Pallante,
Giulietto Chiesa, Massimo Fini, tra gli altri. E anche quel genio di
Bergonzoni. Voleva significare la volontà di coagulare attorno al
movimento, e poi farli diventare pensiero portante, la decrescita, la
geopolitica verso est e non verso gli Usa, il ritorno dell'uomo al
centro rispetto all'economia e il ritorno dell'arte e dell'eccellenza
vissuti per quello che dovrebbero essere? Forse. All'epoca forse
significava questo. Ma poi, in tal senso, non vi è stato più nulla.
E per ora - sottolineiamo, con un velo di speranza, per
ora -
è così. Il che è terribile, perché se l'unica forza che appare
davvero in grado di scardinare il vecchio e putrido esistente
politico del nostro Paese va all'arrembaggio e riesce ad abbordare e
a sconfiggerlo, ma arriva sul cassero senza le capacità giuste per
poter governare la nave, e facile auspicare che stiamo andando
incontro all'ennesima delusione.
Diciamolo
chiaramente: al MoVimento 5 Stelle manca la classe dirigente, perché
mancano le idee da "dirigere", perché, in definitiva,
manca il pensiero intellettuale da far diventare Politico. E sino a
che non si doterà di questo, potrà sì governare bene a livello
locale, e potrà probabilmente arrivare anche a governare a livello
centrale. Ma senza una Politica da attuare. E gli esiti, in tal
senso, sono facilmente immaginabili.
Votare
oggi per Grillo equivale dunque ad aver scelto di combattere il
sistema dal suo interno. Equivale certamente alla volontà di
spazzare via la vecchia politica del nostro Paese - il che è già
molto, lo ribadiamo - ma riguardo ai grandi temi della nostra epoca,
equivale anche a firmare a Grillo e al suo partito una fiducia in
bianco. A votare un programma politico che sui temi veramente
importanti non esiste. Che è tutto da scrivere. Il che si potrebbe
anche accettare, beninteso, ma sarebbe necessario almeno sapere
attorno a quali pensieri, a quale visione del mondo (più
semplicemente: a quali testi, a quali autori, a quali intellettuali)
si andrà a cercare di formularlo. Perché se ci si deve affidare
alle federichesalsi che
abbiamo visto in televisione e poi a indispettirsi presuntuosamente
per essere state richiamate giustamente all'ordine, ebbene decidere
di votarlo o no, il partito di Grillo, a livello di elezioni
Politiche, non sembra neanche una domanda da porsi.
Valerio
Lo Monaco
novembre
2012
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Comunicazione - numero 17509 del 6/10/2008
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