sabato 24 novembre 2012

Il New York Times spiattella la verità.



Di Lucio Manisco
luciomanisco.eu

La sanguinosa operazione di otto giorni coordinata da mesi con gli Stati Uniti 

“Per Israele il conflitto di Gaza è un “test” del confronto con l’Iran”. Questo il titolo dell’inchiesta pubblicata oggi dal New York Times sulle vere motivazioni che hanno indotto Benjamin Netanyahu a scatenare una pioggia di morte e di distruzione su un milione e mezzo di palestinesi (175 morti, 1.400 feriti): “Il conflitto che si è concluso, per ora, con la cessazione del fuoco tra Hamas e Israele ha avuto l’apparenza dell’ultimo episodio di una periodica prova di forza – scrivono David E. Sanger e Thom Shanker, autori dell’inchiesta – ma secondo funzionari americani e israeliani è stata evidenziata una seconda pianificazione strategica. Lo scontro è stato qualcosa di simile ad un preambolo pratico di ogni futuro confronto con l’Iran in cui hanno avuto un evidente ruolo dei razzi potenziati capaci di raggiungere Gerusalemme e nuovi sistemi antimissilistici per neutralizzarli.”

L’articolo del quotidiano newyorchese (*) stende un pietoso velo sulle finzioni propagandistiche di Gerusalemme, zelantemente condivise dai mass media occidentali, secondo cui l’ultimo eccidio di civili a Gaza sarebbe stato provocato da qualche razzo Kassan caduto sugli insediamenti ebraici nei territori occupati. “Nella realtà – si legge nell’inchiesta – il primo colpo del conflitto degli otto giorni tra Hamas e Israele a rigor di logica è stato sferrato un mese prima su Khartoum, capitale del Sudan, con un’altra misteriosa conflagrazione nella guerra di ombre contro l’Iran”. Viene così sottolineato come la denuncia sudanese secondo cui quattro caccia bombardieri israeliani avrebbero distrutto un deposito di missili a medio raggio Fajr di fabbricazione iraniana destinati ad Hamas sia stata poi convalidata da fonti ufficiose americane e di Gerusalemme. Sanger e Shanker citano poi una fonte insospettabile , Michael B. Oren, storico militare e ambasciatore di Israele a Washington: “Nella crisi missilistica cubana – ha dichiarato ieri l’altro il diplomatico a Washington – gli Stati Uniti non affrontarono Cuba, ma l’Unione Sovietica. Nell’operazione Pilastro Difensivo Israele non ha affrontato Gaza, ma l’Iran”.
Analogia impropria, si legge sul New York Times, perché allora l’Unione Sovietica stava cercando di trasferire a Cuba un arsenale nucleare, mentre a Gaza i razzi e alcuni loro componenti erano convenzionali, e per giunta imprecisi come hanno rivelato fonti israeliane.

Dall’inchiesta si desume che Israele ha deliberatamente provocato il lancio di missili a corta gittata Kassan e a media gittata Fajr sul proprio territorio per testare su un piano operativo di guerra il suo sistema antimissilistico “Cupola di Ferro” basato nei pressi delle centrali nucleari di Dimona (con circa 400 ogive atomiche e termonucleari e altrettanti vettori intercontinentali e a medio raggio) e intorno a Tel Aviv e Gerusalemme. Il sistema, composto da Patriot di nuova generazione del costo di 275 milioni di dollari, è stato fornito ad Israele dagli USA, facendo salire a circa tre miliardi e mezzo di dollari il finanziamento annuale del contribuente americano alla difesa dell’alleato mediorientale. Secondo fonti governative di Gerusalemme “Cupola di Ferro” avrebbe intercettato 350 razzi lanciati da Gaza, nessuno diretto su centri abitati, con la distruzione dell’88% dei bersagli (secondo fonti ufficiose di Washington il sistema avrebbe funzionato solo per il 30%, data anche la traiettoria imprecisa e imprevedibile dei missili di Hamas). L’inchiesta del New York Times pone in luce la stretta collaborazione tra Washington e Gerusalemme nei preparativi dell’offensiva contro Gaza e di quella a più ampio raggio prevista per i prossimi mesi contro l’Iran: vengono citate le manovre aeronavali USA-Israele dello scorso ottobre con il rifornimento in volo degli aerei con la stella di David e quelle con il concorso degli Emirati Arabi e del Regno Saudita nel Golfo Persico. 

Una finzione quindi la “energica mediazione” del Segretario di Stato Hillary Clinton per ottenere la cessazione del fuoco. Anche quella del presidente egiziano assume un significato diverso se è vero che gli obiettivi delle devastazioni e degli eccidi a Gaza sono stati temporaneamente raggiunti, che l’analisi dei risultati richiede un minimo di due settimane, che la mobilitazione di 75.000 riservisti israeliani e lo schieramento di 200 carri armati sulle frontiere meridionali non prevedevano l’invasione del territorio controllato da Hamas, ma facevano parte delle manovre militari in vista di un ben più catastrofico grande conflitto mediorientale.

Il tutto naturalmente nel diritto dello stato ebraico a difendere i suoi cittadini dall’aggressione dei terroristi della striscia di Gaza, un diritto esaltato dalla stampa e dalla televisione occidentali. Deliranti a questo proposito i titoli e gli articoli del Corriere della Sera del 22 novembre u.s.: “Gaza, stop alle incursioni e apertura dei valichi”, “La firma dell’Egitto sulla pace di Obama”, “Essere padre in un paese (n.d.r.: Israele) eternamente vulnerabile”, “…sangue e terrorismo”, “Israele è più sicuro. Hamas è a un bivio” e poi a pagina 40 più di ogni altro dissennato anche se prevedibile l’intervento di Bernard-Henry Levy che se la prende con quei pochi che criticano Israele. Il titolo: “Hamas, un drappello di eroi per i soliti indignati d’Europa”.




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