Di Lucio Manisco
luciomanisco.eu
La
sanguinosa operazione di otto giorni coordinata da mesi con gli Stati
Uniti
“Per
Israele il conflitto di Gaza è un “test” del confronto con
l’Iran”. Questo il titolo dell’inchiesta pubblicata oggi dal
New York Times sulle vere motivazioni che hanno indotto Benjamin
Netanyahu a scatenare una pioggia di morte e di distruzione su un
milione e mezzo di palestinesi (175 morti, 1.400 feriti): “Il
conflitto che si è concluso, per ora, con la cessazione del fuoco
tra Hamas e Israele ha avuto l’apparenza dell’ultimo episodio di
una periodica prova di forza – scrivono David E. Sanger e Thom
Shanker, autori dell’inchiesta – ma secondo funzionari americani
e israeliani è stata evidenziata una seconda pianificazione
strategica. Lo scontro è stato qualcosa di simile ad un preambolo
pratico di ogni futuro confronto con l’Iran in cui hanno avuto un
evidente ruolo dei razzi potenziati capaci di raggiungere Gerusalemme
e nuovi sistemi antimissilistici per neutralizzarli.”
L’articolo
del quotidiano newyorchese (*) stende un pietoso velo sulle finzioni
propagandistiche di Gerusalemme, zelantemente condivise dai mass
media occidentali, secondo cui l’ultimo eccidio di civili a Gaza
sarebbe stato provocato da qualche razzo Kassan caduto sugli
insediamenti ebraici nei territori occupati. “Nella realtà – si
legge nell’inchiesta – il primo colpo del conflitto degli otto
giorni tra Hamas e Israele a rigor di logica è stato sferrato un
mese prima su Khartoum, capitale del Sudan, con un’altra misteriosa
conflagrazione nella guerra di ombre contro l’Iran”. Viene così
sottolineato come la denuncia sudanese secondo cui quattro caccia
bombardieri israeliani avrebbero distrutto un deposito di missili a
medio raggio Fajr di fabbricazione iraniana destinati ad Hamas sia
stata poi convalidata da fonti ufficiose americane e di Gerusalemme.
Sanger e Shanker citano poi una fonte insospettabile , Michael B.
Oren, storico militare e ambasciatore di Israele a Washington: “Nella
crisi missilistica cubana – ha dichiarato ieri l’altro il
diplomatico a Washington – gli Stati Uniti non affrontarono Cuba,
ma l’Unione Sovietica. Nell’operazione Pilastro Difensivo Israele
non ha affrontato Gaza, ma l’Iran”.
Analogia
impropria, si legge sul New York Times, perché allora l’Unione
Sovietica stava cercando di trasferire a Cuba un arsenale nucleare,
mentre a Gaza i razzi e alcuni loro componenti erano convenzionali, e
per giunta imprecisi come hanno rivelato fonti
israeliane.
Dall’inchiesta
si desume che Israele ha deliberatamente provocato il lancio di
missili a corta gittata Kassan e a media gittata Fajr sul proprio
territorio per testare su un piano operativo di guerra il suo sistema
antimissilistico “Cupola di Ferro” basato nei pressi delle
centrali nucleari di Dimona (con circa 400 ogive atomiche e
termonucleari e altrettanti vettori intercontinentali e a medio
raggio) e intorno a Tel Aviv e Gerusalemme. Il sistema, composto da
Patriot di nuova generazione del costo di 275 milioni di dollari, è
stato fornito ad Israele dagli USA, facendo salire a circa tre
miliardi e mezzo di dollari il finanziamento annuale del contribuente
americano alla difesa dell’alleato mediorientale. Secondo fonti
governative di Gerusalemme “Cupola di Ferro” avrebbe intercettato
350 razzi lanciati da Gaza, nessuno diretto su centri abitati, con la
distruzione dell’88% dei bersagli (secondo fonti ufficiose di
Washington il sistema avrebbe funzionato solo per il 30%, data anche
la traiettoria imprecisa e imprevedibile dei missili di Hamas).
L’inchiesta del New York Times pone in luce la stretta
collaborazione tra Washington e Gerusalemme nei preparativi
dell’offensiva contro Gaza e di quella a più ampio raggio prevista
per i prossimi mesi contro l’Iran: vengono citate le manovre
aeronavali USA-Israele dello scorso ottobre con il rifornimento in
volo degli aerei con la stella di David e quelle con il concorso
degli Emirati Arabi e del Regno Saudita nel Golfo Persico.
Una
finzione quindi la “energica mediazione” del Segretario di Stato
Hillary Clinton per ottenere la cessazione del fuoco. Anche quella
del presidente egiziano assume un significato diverso se è vero che
gli obiettivi delle devastazioni e degli eccidi a Gaza sono stati
temporaneamente raggiunti, che l’analisi dei risultati richiede un
minimo di due settimane, che la mobilitazione di 75.000 riservisti
israeliani e lo schieramento di 200 carri armati sulle frontiere
meridionali non prevedevano l’invasione del territorio controllato
da Hamas, ma facevano parte delle manovre militari in vista di un ben
più catastrofico grande conflitto mediorientale.
Il
tutto naturalmente nel diritto dello stato ebraico a difendere i suoi
cittadini dall’aggressione dei terroristi della striscia di Gaza,
un diritto esaltato dalla stampa e dalla televisione occidentali.
Deliranti a questo proposito i titoli e gli articoli del Corriere
della Sera del 22 novembre u.s.: “Gaza, stop alle incursioni e
apertura dei valichi”, “La firma dell’Egitto sulla pace di
Obama”, “Essere padre in un paese (n.d.r.: Israele) eternamente
vulnerabile”, “…sangue e terrorismo”, “Israele è più
sicuro. Hamas è a un bivio” e poi a pagina 40 più di ogni altro
dissennato anche se prevedibile l’intervento di Bernard-Henry Levy
che se la prende con quei pochi che criticano Israele. Il titolo:
“Hamas, un drappello di eroi per i soliti indignati
d’Europa”.
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