Di
Maurizio Bottarelli
ilsussidiario.it
L’oro,
si sa, è il bene rifugio per antonomasia, quello che tesaurizza le
aspettative di crisi. E, in suo nome, sono accadute molte cose che
apparivano inspiegabili o, quantomeno, strane, come vi ho già
raccontato tempo fa. Facciamo un salto indietro. Ricordate la guerra
in Libia, l’incredibile Vietnam in cui si era trasformata, con i
ribelli che tentavano l’assalto e le forze lealiste di Gheddafi che
riuscivano sempre a difendere le posizioni? Bene, ricorderete anche
che nell’arco di tre giorni la situazione si sbloccò e i ribelli
poterono mettere il naso fuori da Bengasi: armi dall’Occidente?
Servizi segreti francesi e britannici in aiuto? Illuminazione
divina?
No.
La svolta libica nasceva in Venezuela, più esattamente nella
richiesta da parte di Hugo Chavez di rimpatriare le quasi 100
tonnellate d’oro stivate a Londra. Cosa accadde?
L’oro,
come sempre accade, era concesso in leasing alla Banca d’Inghilterra
e questa, ovviamente, lo aveva per così dire “movimentato”,
ovvero non lo possedeva più fisicamente nei caveau. Per ridarlo al
suo legittimo proprietario, doveva quindi ricomprarlo sul mercato.
Questo provocò il rapido incremento del prezzo, fino a un massimo di
1.881 dollari l’oncia e svelò come nel mondo ci fosse una
clamorosa mancanza di oro fisico, visto che i prezzi dei futures a
breve scadenza erano più alti di quelli a lunga scadenza. Occorreva
intervenire e quale miglior soluzione che mettere le mani sulle quasi
150 tonnellate di riserve auree libiche stipate in un caveau sul
confine meridionale del Paese, dando vita a un’offensiva in grande
stile? Così facendo, il Venezuela avrebbe riavuto ciò che era suo e
il mercato non avrebbe subito nuovi, pericolosissimi scossoni per chi
gioca con i futures e per chi, come Londra e New York, gode dello
status di caveau dell’oro mondiale ma di fatto di lingotti fisici
ne ha davvero, davvero pochi (basti ricordare lo scandalo delle barre
di tungsteno dipinte in color oro e conservate alla Fed, come
denunciato
Bene,
questo prologo, spero non troppo noioso, era propedeutico al
contenuto dell’articolo di oggi, ovvero il fatto che la Bundesbank,
nel 2001, ritirò i due terzi delle sue detenzioni d’oro presso la
Bank of England, stando a quanto testimoniato da un report
confidenziale reso noto mercoledì. La rivelazione ha fatto seguito
alla sacrosanta richiesta da parte degli enti preposti al controllo
del budget tedesco, affinché il governo verificasse sul posto che le
riserve auree depositate a Londra, New York e Parigi esistessero
davvero fisicamente. La Germania ha 3,396 tonnellate di oro, pari a
un controvalore di 143 miliardi di euro, la seconda riserva al mondo
dopo quella degli Usa (ammesso e non concesso che quello statunitense
non sia davvero tutto tungsteno) e la grandissima parte di essa è
stata stivata all’estero durante la Guerra Fredda nel timore di un
attacco e un’invasione sovietica. Circa il 66% è conservato alla
Fed di New York, il 21% alla Bank of England e l’8% alla Banque de
France: la Corte degli Uditori tedesca, però, in tempi di crisi nera
ha ritenuto il caso di non fidarsi e ha detto chiaro e tondo ai
legislatori attraverso un durissimo report che «le riserve auree non
sono mai state verificate fisicamente» e ha ordinato alla Bundesbank
di assicurarsi l’accesso ai siti di stoccaggio. Di più, sempre la
Corte ha ordinato il rimpatrio nei prossimi tre anni di 150
tonnellate per verificarne qualità e peso, tanto più che
Francoforte non ha un registro di numerazione delle barre d’oro.
Ma
ecco la parte più interessante e inedita: stando al report, la
Bundesbank avrebbe ridotto le sue detenzioni d’oro a Londra da 1440
tonnellate a 500 tonnellate tra il 2000 e il 2001, ufficialmente
«perché i costi di stoccaggio erano troppo alti». A quel punto, il
metallo fu trasportato per via aerea a Francoforte. Il tutto avvenne
mentre l’allora Cancelliere dello Scacchiere britannico, Gordon
Brown, stava svendendo a mani basse le riserve auree britanniche - ai
prezzi minimi sul mercato - e con l’euro da poco introdotto come
valuta di riferimento anch’esso ai minimi di 0,84 sul
dollaro
Perché
questa mossa? Semplice, per evitare che l’oro andasse in giro e non
tornasse più, insomma una scelta difensiva. Sia perché la Bank of
England stava esagerando con il leasing dell’oro che deteneva, sia
perché il governo Blair aveva deciso di vendere le riserve per fare
cassa, sia perché le barre d’oro tedesche non avevano un registro
e un codice identificativo, quindi non erano reclamabili in modo
certo. Insomma, il rischio è quello di non poter richiedere con
prove e certezza il proprio oro e diventare, legalmente, solo un
creditore generale con un conto in metallo.
Più
di dieci anni fa, quindi, la Germania ha avuto la lungimirante idea
di mettere al sicuro gran parte delle proprie riserve e ora la
Bundesbank parla di possibile riallocazione delle stesse, ovviamente
sempre per motivi di sicurezza, anche se «non abbiamo dubbi
sull’integrità e l’indipendenza dei nostri custodi» e se
ufficialmente dice no ai controllori di Stato e alla loro richiesta
di un inventario. Una fiducia così granitica che, giustamente, ha
preferito riportarsi l’oro a casa undici anni fa - e ora si
permette di dire che quello che resta sta bene all’estero e non va
rimpatriato e controllato: grazie, ha portato a casa il grosso dieci
anni fa! - e sottrarlo allo schema Ponzi del mercato repo, il quale
ontologicamente sconta il rischio di controparte sul collaterale,
come ci ha insegnato il caso del fondo MF Global. Insomma, se si
rompe la catena repo sul mercato aureo da parte di custodi-prestatori
e soggetti che operano nel leasing, chi può davvero reclamare il
proprio oro se non si sa dove sia e non esista un registro e dei
numeri seriali?
Quanto
emerso in questi giorni grazie all’iniziativa dei regolatori
tedeschi è particolarmente interessante per il nostro Paese,
detentore della quarta riserva aurea al mondo dopo Usa, Germania e
Fmi. Lo scorso 6 ottobre, infatti, la Consob, l’ente per la
vigilanza sui mercati guidata da Giuseppe Vegas, ha reso noto che
«per cercare di abbattere il debito pubblico si possono usare senza
tanti problemi le riserve auree della Banca d’Italia. Palazzo Koch,
infatti, può liberamente disporre di tutti i propri beni mobili e
immobili, nei limiti in cui tali atti di disposizione non incidano
sulla capacità di poter trasferire alla Bce le attività di riserva
eventualmente richieste». Un secondo attacco dopo quello della
scorsa estate, quando la Commissione aveva proposto la costituzione
di un superfondo a cui trasmettere, tra le altre cose, le riserve di
Bankitalia per cercare di aggredire un debito pubblico ormai di 2mila
miliardi di euro.
Sempre
la Consob ricorda che la legge sul Risparmio (l. 262/2005) ha
stabilito che Bankitalia «è istituto di diritto pubblico»,
nonostante le quote di partecipazione al capitale di palazzo Koch
oggi ancora detenute dalle banche. Sul punto sarebbe dovuto
intervenire un regolamento governativo, che però ancora non c’è.
Un tassello effettivamente mancante, per la Consob, secondo la quale
«una volta emanato il citato regolamento lo Stato, quale unico
azionista della Banca d’Italia, potrebbe liberamente disporre di
tutti i beni della Banca d’Italia che, come l’oro, non sono in
alcun modo funzionali allo svolgimento dei compiti istituzionali del
Sebc».
Ma
dove sono le circa 2450 tonnellate d’oro, circa 110 miliardi di
euro, di riserve auree italiane? Presso Bankitalia? Non certo tutte:
una parte è custodita negli Usa e a Londra. Se la Bundesbank dieci
anni fa ha deciso che era meglio tenersele vicine, non sarebbe il
caso che, prima di discutere le proposte della Consob, qualcuno si
prenda il disturbo di dare una controllatina? In che percentuale le
nostre riserve sono conservate all’estero? Esiste poi un registro?
Le barre o lingotti sono contraddistinte con numeri seriali, dai
quali si evince senza ombra di dubbio la proprietà italiana delle
stesse?
Non
dico un’interrogazione parlamentare, ma una domandina almeno al
question time del mercoledì qualcuno vorrebbe farla al ministro
competente? Prima di fare conti, come quelli di Vegas, senza avere
più il metallo.
d'accordo per la speculazione sull'oro non sono d'accordo sulla storia di Kadhafi. Durante la guerra di Libia il rais ha vendito 29 tonnellate d'oro delle 143.8 tonnellate che possiede la banca centrale. Questo secondo le dicharazione del governatore della banca libica Qassem Azzoz. Il resto dell'oro non è sparoto ma è ancora in Libia. Ci sono diverse e concrete ragioni per questo attacco occidentale alla Libia, ma non certo l'oro.
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