di
Italo Romano
L’ultimo
intellettuale italiano conosciuto dalle masse aveva individuato la
radice sociale della crisi di questo sistema ultraliberista,
relativista, edonista e capitalista.
Le
sue invettive erano mirate e lucide. Proprio per questo è stato
eliminato.
Oggi,
questo monito (nell’immagine), ha più valore che mai.
In
un mondo di servi, lacchè, grillini, piddini, nani, troie, acrobati
e giullari, dove si può, e si deve, dire tutto e il contrario di
tutto, in cui ogni cosa è lecita e il caos individualsta è
scambiato per libertà, le sue parole dovrebbero infuocare la
coscienza e la consapevolezza della gente.
Il
popolo dormiente, annichilito, alienato e asservito, in un torpore
atarassico con pochi precedenti nella storia, non si accorge che le
modalità di lotta al sistema fin’ora utilizzate sono contigue e
integranti al sistema stesso.
Difatti,
è lo stesso potere ad elargire “prassi rivoluzionarie”. Esse
rimangono ben nascoste dietro filosofie politcallly correct, facili
demagogie, vuoti populismi, irritanti perbenismi e false ideologie
alla moda, condite da rabbia, invidia e violenza. Queste prassi
prendono piede con lo stessa velocità con cui si dissolvono.
“Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico”
L’unica
cosa che accumana tutto questo incedere è che non cambiano il
sistema di una virgola, anzi gli danno credito, lo rafforzano,
rendendogli grazia, giustificandolo.
Vieniamo
usati e veicolati come pedine, ma siamo troppo egocentrici per
ammettere e/o accorgerci di essere dei burattini sotto il controllo
di un sistema bestia che si nutre delle nostre frustrazioni e le usa
per proprio tornaconto.
Noi
viviamo i desideri di altri, vite sacrificate ad un mondo che non ci
appartiene ma che accettiamo perchè è quello che abbiamo trovato.
Inseguiamo falsi miti di progresso e stereotipi preconfezionati ad
arte per renderci schiavi, magari pure fieri di esserlo.
Anche Erich
Fromm sappe,
a mio modesto avviso, riassumere quello siamo diventati:
“Se sono come tutti gli altri, se non ho sentimenti o pensieri che mi rendano differente, se mi adatto e accetto i costumi, l’abbigliamento, le idee, lo schema comportamentale di gruppo, allora sono salvato; salvato dalla terribile esperienza della solitudine. I sistemi dittatoriali utilizzano la minaccia e il terrore per indurre questo conformismo, i paesi democratici utilizzano la suggestione e la propaganda”.
E’
questa l’unica differenza tra una dittatura e un regime
democratico. E la storia è piena di esempi da cui poter imparare.
Solo che i molti non la studiano e di quei pochi che la fanno
propria, solo la minoranza ha un quadro chiaro e completo, senza
preconcetti.
Alla
luce di ciò, appare chiaro che chi vuole combattere il sistema
dall’interno ne è già complice.
Nel
mondo interattivo del web 2.0., siamo sommersi di notizie, un caos
prestabilito dove diventa difficile scegliere le informazioni
necessarie per distinguerle dal mare di nulla da cui veniamo
investiti quotidianamente.
E’
questa la nuova forma di censura? Una volta nascondevano la notizie,
oggi non ce n’è bisogno, esse si perdono nell’oceano di
internet.
Come
scrisse Ray
Bradbury nel
suo celebre romanzo Fahrenheit
451:
“Riempi i loro crani di dati non combustibili, imbottiscili di “fatti” al punto che non si possano più muovere tanto sono pieni, ma sicuri di essere “veramente bene informati”. Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione di movimento, quando in realtà son fermi come un macigno. E saranno felici, perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi. Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti ch’è meglio restino dove si trovano. Con ami simili, pescheranno la malinconia e la tristezza”.
E’
il caso di renderci conto che noi siamo il sistema, noi ospitiamo
nella nostra coscienza l’oppressore e il suo modus operandi.
Molti
rivoluzionari non combattono il potere ma chi lo detiene, sperando di
prenderne il posto. La vera lotta sta nella distruzione dei troni
oltre che dei re.
Nel
saggio Pedagogia
degli oppressi, Paulo
Freire descrive
molto bene quanto cerco di comunicarvi:
“Il grande problema sorge quando ci si domanda come potranno gli oppressi, che ospitano in sè l’oppressore, parteciapre all’elaborazione della pedagogia della loro liberazione, dal momento che sono soggetti a dualismo e inautenticità. Solo nella misura in cui scopriranno di ospitare in sé l’oppressore, potranno contribuire alla creazione comune della pedagogia che li libera”.
Siamo
una società corrotta e profondamente malata. E’ questa la vera
crisi. Quella economica è solo una conseguenza, fatta di tecnicismi,
interessi e fame di potere.
Alexis
Clérel de Tocqueville ha
ben esposto, oltre un secolo addietro con grande lungimiranza, cosa è
in realtà questo regime oligarchico capitalista:
“Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima”.
Il
sistema siamo noi, che ci piaccia o meno, che lo accettiamo o meno.
Scendiamo
dai pulpiti che ci siamo eretti, abbandoniamo superbia e vanagloria,
e rifiutiamo la cultura utilitarista di sistema.
Questo
è il peggiore dei mondi possibili e noi ne siamo complici e
artefici, al pari di coloro contro cui agitiamo e sfoghiamo il nostro
odio.
“Sul
podio c’era l’individuo, in piedi. Era una figura del passato. La
sua parola era una voce del passato. Stava in piedi ed essi lo
ascoltavano in piedi.
“Ma
perchè disse, avete costruito le vostre città come scatole cubiche,
tracciato le vostre aiuole come quadrati, le vostre strade come
rette! siete innamorati, con il duro amore delle vostre anime, delle
linee, delle figure e delle forme dalle sporgenze angolose. Avete
spinto l’ideale del blocco ai suoi eccessi estremi, siete i cubisti
della pratica. Vi ferirete a morte sui bordi taglienti della vostra
condizione”.
[Ferdinand
Bordewijk - Blocchi]
Fonte: www.oltrelacoltre.com
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