Il
cielo appare carico di nubi all'orizzonte, mentre scrivo. Mentre la
vita continua come sempre, per qualcuno, per tanti, non per tutti.
Molti
hanno perso il lavoro, hanno visto i propri risparmi svanire nel
nulla, le proprie case pignorate, le proprie imprese fallire. Molti
hanno visto la propria famiglia disgregarsi, il più delle volte in
tragedia, senza capire bene perchè.
Qui
da noi al Sud, in particolare a Cosenza, al contrario
sembra non essere cambiato niente.
Si
il mercato immobiliare ha subito un duro colpo. Sono migliaia gli
appartamenti invenduti, i lavori fermi, i cantieri silenziosi.
Tantissimi i disoccupati. Le scuole fatiscenti. La gestione criminale
dei rifiuti. Il territorio devastato da cementificazione e dissesto.
Ma
tutto sommato il corpo sociale, in qualche modo regge. Perchè in
fondo qui da noi sono decenni e decenni che le cose vanno così, con
alti e bassi. In realtà noi siamo in crisi da sempre.
Qui
da noi ancora si vive di pensioni, di sussidi, del lavoro ottenuto
negli anni d'oro del clientelismo statale. Ci sono ancora le famiglie
che reggono e sostengono i figli, i cosiddetti ”mammoni”, che no,
non vogliono saperne di andarsene da casa. Quelli che quel
ministrucolo da quattro soldi ha definito i “falliti”. Eppure se
non fosse così, se le nostre città, i nostri paesi, non avessero
resistito, se le reti sociali si fossero dissolte insieme al resto,
vedremmo il dramma sociale esplodere per strada.
Ma
fino a quando può durare? Fino a che punto è possibile continuare
così? Le pensioni non dureranno per sempre. I figli che ora sono a
casa e usufruiscono di quel poco che i propri genitori hanno
guadagnato col sudore della fronte, prima o poi resteranno soli,
dinnanzi allo sfacelo che avanza. E hai voglia a sperare che il Sud
resisterà e ne uscirà indenne.
Del
resto soluzioni non se ne vedono.
Qui
da noi la politica è qualcosa di orrendo. Di morto. Di profondamente
antisociale.
Partiti,
signorotti, caste e maneggioni, portaborse e leccaculo assortiti,
sono tutti, insieme, indistintamente, proiettati a mantenere le
proprie posizioni di privilegio e una prospettiva di riscatto per
queste terre, appare lontana anni luce.
Nella
situazione in cui si trova il paese, la considerazione è ancor più
greve.
Il
PD organizza le primarie, strombazzando ai quattro
venti il “rinnovamento”, la “prospettiva di cambiamento”.
Parole, parole, parole. Parole che di concreto non hanno nulla. E la
gente, qui da noi, ancor più che in altre zone di questa povera
Italia alla rovina, resta attaccata alle speranze, alle illusioni,
all'appartenenza a soggetti politici che hanno ormai reciso del tutto
i propri legami col passato e hanno completamente abbandonato la
funzione di rappresentanza per il popolo, quello vero. Qui da noi,
nemmeno Grillo è riuscito ad attecchire più di tanto.
Decenni di sudditanza politica e culturale, di legami, di
subordinazione, fanno sentire pesantemente il loro effetto. Eh si
perchè qui da noi la politica è sempre stata ed è ancora un
ricatto, una persona a cui dire eternamente “grazie” per quel po'
di pane che ci si mette sotto i denti. E non c'è nulla da fare. Non
si sfugge da questo meccanismo infernale che imbriglia le coscienze,
che annichilisce l'intelligenza, che uccide la dialettica
democratica, che arruginisce il senso di giustizia. Da noi la
politica vuol dire prima di tutto lealtà. Lealtà ai
potentati politici, a quei signori medioevali che governano i partiti
come legioni nella propria personale “guerra santa del
portafoglio”.
E
questo senso di lealtà appiattisce ogni cosa. Appiattisce l'analisi
di quello che succede, delle cause, dei possibili rimedi e non lascia
spazio che al solito “voto” e alla solita “cabina elettorale”
che sono diventati ormai un rito religioso, una funzione d'abitudine,
senza nessuna valenza civica.
Ma
se questo è valido per le persone più grandi, per le generazioni
più vecchie, per i “baby boomers” italiani, per i 407ini,
per i pensionati, per i sessantottini imborghesiti (ammesso che
qualcuno qui da noi si sia mai veramente radicalizzato), dove sono i
giovani? Dove sono i precari? Dove sono i lavoratori in nero? Gli
studenti universitari? I docenti critici? Perchè nessuno dice
niente? Come si fa a lasciare completamente campo libero al dibattito
politico rappresentato da quella americanata farsesca che chiamano
“primarie”?
Niente.
Calma piatta.
I
giovani ballano, vanno in discoteca, spendono e spandono i risparmi e
i soldini di papà, comprano l'I-Phone, la macchina a rate, lavorano
in un call-center convinti di avere il posto a vita di una
volta, si sottomettono a lavori sottopagati e in nero pur di avere
qualche cosa da mostrare il sabato con gli amici, bevono e si
ubriacano, si drogano, parlano di calcio, di donne, di uomini, di
nulla.
E
mentre qualcuno lassù cancella il loro futuro, quello di tutti,
questi qua non si accorgono di niente.
Si
è vero, l'informazione è uno schifo assoluto. Una vergogna
storica. Qualcosa da far venire il sorrisetto beffardo di
soddisfazione a quel dilettante di Goebbels o al più ossequioso
reporter della Pravda staliniana. Ma è pur vero che in
qualche modo internet riesce a fornire possibilità per informarsi in
maniera indipendente, per farsi un'idea, per capire alcuni
meccanismi, per stimolare quanto meno l'inizio di un dibattito.
Eppure sono proprio loro, i giovani, quelli che utilizzano internet
di più. Ma ormai internet per la maggior parte è diventato solo
Facebook e basta dare un'occhiata agli “stati” che
circolano di “bacheca” in “bacheca”, alle foto, agli eventi
che vengono pubblicizzati, alle discussioni che si affrontano, per
restare perfettamente avviliti.
Una
sequela infinita di luoghi comuni, di espressioni di “principio”
di un'ignoranza disarmante, da cui traspare la distorsione totale
degli interessi collettivi, un menefreghismo sconfortante,
nichilismo, che si riduce a sesso, incontri, locali in, sfilate,
feste.
Questo
traspare da questa gioventù calabrese (e non solo). Di quella
gioventù che rappresenta la maggioranza dei giovani del Sud.
Nient'altro.
I
pochi che cercano di fare qualcosa, di animare discussioni, di creare
aggregazione, di rompere il muro della mediocrità della politica
tradizionale, restano isolati, demoralizzati, impotenti.
E'
vero, qui da noi, il “sistema”
ha vinto.
Perchè
è entrato nelle coscienze. Le ha prese alla gola, ne ha attratto le
velleità, ne ha stimolato l'ingordigia, ne ha manipolato la
consapevolezza.
E
tanti, troppi, hanno completamente dimenticato da dove vengono, chi
sono e perchè.
Siamo
gente del Sud. Che è anche una sillaba della parola Sud-ditan-za.
E
lo siamo davvero, sudditi. Da 150 anni. Da quel maledetto
“Obbedisco!” massonico di “Giubba Rossa”, eroe dei due mondi,
amico di mille, ma soprattutto degli Inglesi.
Il
Sud da allora non si è più riavuto. E la Questione Meridionale
non è solo questione sociale. Ma è economica, monetaria, culturale,
politica.
La
storia del Sud è storia di dominazione, di repressione, di controllo
sociale, di totalitarismo.
E
noi siamo i Sud-diti. Sudditi di sua Maestà Vittorio Emanuele II,
del Duce Benito, della Democrazia Cristiana, della Mafia, degli Stati
Uniti, del mercato, di questa Europa coloniale.
E
come i sudditi di ogni periodo storico, siamo restii a scontrarci con
il potere, in ogni sua forma, che sia il “capetto di quartiere”,
o il grande Boss, o il politico influente, o la multinazionale di
turno.
Piuttosto
cerchiamo di racimolare gli avanzi della cena di corte, ringraziando
devotamente, testa china, occhi bassi, sorriso mellifluo.
E
tra pezzenti siamo soliti spacciare per ricchezza, qualche briciola
di pane e qualche fondo di bicchiere di vino annacizzato, come si
dice dalle mie parti.
Siamo
un popolo colonizzato a cui è stata cancellata la memoria
collettiva, a cui è stato negato il futuro, la dignità e la
libertà. Ma la cosa più grave è che ci hanno convinto e continuano
a convincerci che tutto ciò che hanno fatto, che fanno e che
faranno, è per il nostro bene.
E
noi ossequiosamente continueremo a votarli, perfino alle primarie
(pensa te!), sicuri di vivere in una democrazia, seppellendo,
insieme ai morti, la memoria di Portella della Ginestra, dei
massacri di Scelba, dell'emigrazione forzata, delle
Stragi di Stato di Capaci e di Via D'Amelio, della
devastazione del territorio, dei traffici dei rifiuti tossici,
dei malati di cancro e di tutti i bei “regali democratici” che
nel corso degli anni ci hanno fatto.
“Tirannide
indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi
è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle,
infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto
deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo
infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o
legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha
una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società,
che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è
schiavo”
- Vittorio
Alfieri, Della
Tirannide,
1777.
(Francesco
Salistrari)
Si così è il Sud! Ma il Nord è uguale! E' la penisola dei Lotofagi!
RispondiEliminaMartin Pescatore
Mon Dieu, come siamo messi male!
EliminaCiao Martin