Di ANDREI GANZHA E SERGEI KLIMOVSKY
voltairenet.org
Il
quarto anniversario del crollo della Lehman Brothers - il momento
cruciale che ha segnato l'escalation dei crescenti problemi mondiali
in una vera e propria crisi – è passato praticamente inosservato
lo scorso 15 Settembre. Le ormai datate previsioni, che apparivano
macabre – del tipo: ci vorranno un paio d'anni prima di intravedere
la luce in fondo al tunnel – ora risultano come ridicolo ottimismo.
Oggigiorno, la ripresa non sembra poter iniziare prima di un
decennio, mentre gli allarmisti prevedono problemi decisamente più
gravi, incluso un conflitto militare su scala mondiale.
L'opinione
pubblica sembra aver accettato la crisi come una sorta di evento
naturale imprescindibile. I vari tentativi di spiegare i motivi del
crollo possono rimanere non correlati, ma la ricetta – ondate e
ondate di tagli alle spese – sembra essere universale, con nessuna
alternativa permessa, neanche ipoteticamente. Per fortuna, il
consiglio dato dal principe Charles – farsi docce più brevi e
aiutare l'ambiente – non ha valore di legge, ma i programmi di
austerity, compilati dalla burocrazia Europea e appoggiati dalle
legislature nazionali, non sono facilmente ignorabili, qualsiasi sia
l'opinione delle popolazioni.
La
situazione si è inasprita ancor di più quest'autunno in Europa
dove, in risposta, sono esplose una serie di proteste. La
manifestazione tenuta dal movimento di protesta “15 maggio”
intorno al parlamento spagnolo è stata l'apice nello svolgersi degli
eventi. Il palazzo governativo è stato circondato da folle disarmate
e persino da famiglie con bambini. Ciò nonostante, il premier
spagnolo l'ha definito un tentativo di golpe.
In
realtà, Plaza De Neptuno a Madrid ha vissuto un replay di ciò che
succedeva un anno prima ad Atene, in Piazza Syntagma. Gli sviluppi in
Grecia e in Spagna sono un esempio di un modello più ampio, che
implica l'erosione della sovranità nazionale degli stati europei. E'
importante notare che non dovrebbero essere le istituzioni
dell'Unione Europea ad assumere il ruolo di organismo di controllo di
questi processi – però, guardando i fatti, un futuro Euro-impero
avrà un potere sulla nuova rimodellata Europa.
La
Rivolta Autonoma Spagnola
Un
gran numero di bandiere catalane sventolavano dai balconi di
Barcellona in primavera, e giunti all'autunno, in Spagna gira la voce
che, se fosse adottata un'altra misura di austerity , il paese si
frantumerebbe, lasciando Madrid sola a dover ripagare il debito
sovrano. Dal 1983 la Spagna unita comprende 17 comunità e 2 città
autonome, tutte in possesso di un governo e di un parlamento proprio.
Molte di queste comunità vantano una storia gloriosa e alcune un
importante passato da stato indipendente. Per esempio, sul territorio
ora noto come comunità autonoma di Castilla e Leon, esistevano due
stati, entrambi aventi avuto un ruolo primario nella Reconquista, a
suo tempo.
Inoltre,
le comunità autonome spagnole sono munite di un governo
autosufficiente e hanno partiti politici relativamente indipendenti
finanziariamente. L'indipendenza è stata minacciata quando il
governo Rajoy ha ridotto drasticamente il budget delle province e una
forte reazione ha subito preso vita. Il governo della Catalogna ha
presentato un ultimatum a Madrid chiedendo, o di avere il permesso di
non pagare le tasse, o di ottenere un prestito di 5 miliardi di euro.
Rajoy ha scelto la seconda, ma, in Catalogna, il parlamento resta
scontento e il capo del governo catalano Artur Mas ha messo in
programma elezioni regionali anticipate per il 25 Novembre.
In
Catalogna gli oppositori di Madrid aprirono la campagna elettorale il
30 Giugno inscenando una Marcia Verso l'Indipendenza. La
manifestazione, che ha avuto luogo a Barcellona sotto lo slogan
“Catalogna, nuovo stato in Europa”, è stata particolarmente
impressionante in numeri, avendo portato in strada dalle 600.000 alle
2.000.000 di persone. La prima stima è stata fornita da Madrid, la
seconda da Barcellona, ma, considerando che la popolazione catalana
si aggira intorno ai 7.2 milioni di abitanti, anche la stima più
bassa, 600.000, risulta straordinaria.
Madrid
ritiene la Catalogna responsabile di 40 miliardi di euro di debito,
mentre la comunità respinge l'accusa e ricorda costantemente che
essa contribuisce al 20% del PIL Spagnolo e, considerandola
singolarmente, si piazza tra i maggiori esportatori regionali
europei. In Catalogna i sondaggi danno un 90% a favore del
separatismo, numero dovuto al fatto che la maggioranza delle persone
pensano di pagare più tasse rispetto ai benefici restituiti dal
governo centrale. L'indipendenza permetterebbe di non dover sfamare
Madrid con le tasse e, inoltre, salverebbe la comunità da misure di
austerity quali l'aumento dell'IVA dal 18 al 21% o i pesanti tagli
nel budget previsto per le amministrazioni locali. E' chiaro che, se
il 25 novembre, dovessero vincere gli propositori della secessione,
il loro primo passo sarebbe quello di stabilire una data per il
referendum sull'indipendenza. La Catalogna e Madrid sarebbero poi
coinvolte in negoziazioni tese, con Bruxelles a far da arbitro.
La
Catalogna è il primo candidato per la secessione in Spagna, ma ce ne
sono altri pronti a seguire. La scossa dovuta allo sciopero dei
minatori e ai violenti scontri con la polizia l'estate scorsa, ha
portato i governi della Galizia e dei Paesi Baschi ad annunciare
elezioni anticipate, simili a quelle catalane, per il 21 Ottobre.
Madrid riconosce la nazione catalana come un'integrità separata, ma
ragioni storiche e idiomatiche tali da esigere lo stesso trattamento,
sono senza dubbio presenti in Galizia e nei Paesi Baschi.
Anche
altre regioni spagnole, dove le popolazioni non hanno tendenze
separatiste, stanno diventando ambiziose. Come la Catalogna, Valencia
– una regione che apporta circa la stessa percentuale di PIL alla
Spagna – sta stringendo per un prestito di 5.5 miliardi di euro da
Madrid, mentre Murcia e l'Andalusia chiedono rispettivamente 700
milioni e 1 miliardo di euro. Il governo della piccola Castilla-La
Mancha, che rappresenta solo il 3.4% del PIL spagnolo, ha chiesto 800
milioni di euro a Settembre. Il governo centrale ha previsto un fondo
stabilizzatore per rinvigorire le regioni autonome pari a 18 miliardi
di euro, ma l'appetito delle 5 comunità è stato sufficiente a
drenarlo fino in fondo già a fine Settembre e la richiesta
dell'Andalusia è salita a 5 miliardi. Va notato che altre 12
comunità autonome, tra cui la Galizia, terra nativa di Rajoy, e i
Paesi Baschi, potrebbero dover ancora articolare i loro incombenti
bisogni.
Nessuna
Possibilità Di Scelta
Il
governo guidato da Rajoy si trova di fronte al dilemma della scelta
tra le sovranità che spunterebbero se i prestiti dovessero essere
negati e la politica di accomodamento, che può essere sostenuta solo
tramite enormi prestiti dalla Banca centrale europea. Nel secondo
caso sarà necessaria l'approvazione dell'UE, ma al momento l'UE sta
abbozzando le procedure alle quali saranno soggette le nazioni
fortemente indebitate, e i programmi dell'UE sono noti per far
scoccare proteste di massa nei paesi in questione. Senza dubbio
Bruxelles accetterà di aiutare il sistema bancario spagnolo, ma dopo
ciò, la Spagna, come la Grecia, dovrà separarsi da alcuni
possedimenti a lei cari, come le Isole Canarie o persino le Isole
Baleari. Stime affidabili mostrano che il debito sovrano spagnolo
raggiungerà il 90% del PIL entro il 2013.
Prendendo
prestiti dalla UE, il governo di Rajoy diventa di fatto incaricato di
distribuire i soldi tra le regioni autonome. Queste potrebbero
comunque decidere che sono inutili intermediari in questo processo.
Fosse questo il caso, la spinta verso l'indipendenza attualmente in
atto in queste regioni, porterà all'aggiunta di nuove stelle sulla
bandiera dell'UE.
Sovrascritto
è il corso degli eventi che Rajoy vuole evitare. Come soluzione, ha
suggerito all'UE di emettere bond europei collettivi da immettere sul
mercato globale, ma Bruxelles sembra non considerare questa opzione.
Chiaramente, la stabilizzazione dell'unità nazionale non è ciò che
fa comodo all'emergente Euro-impero. Stretta in un angolo, Madrid ha
creato bond governativi del valore di 186.1 miliardi di euro nel
tentativo di venderli in USD, Yuan, Rubli o qualsiasi moneta li
voglia, uscendo così dalla dipendenza verso i prestiti UE. Altri
bond del valore di 200 miliardi, su un periodo di 2-3 anni,
dovrebbero essere emessi nel 2013. La dura verità è che, visto che
la crisi globale non dà alcun segno di tramonto, il progetto sembra
morto sul nascere. Di conseguenza, il futuro promette alla Spagna una
delle seguenti possibilità:
•
Lo scenario greco, nel quale la Spagna dovrebbe, come primo passo,
scambiare le sue isole per soldi e in futuro agire di conseguenza;
•
Lo scenario argentino, nel quale la Spagna direbbe addio
all'Eurozona, entrerebbe in default e introdurrebbe una moneta
nazionale;
• Lo scenario di Bruxelles, nel quale il debito
spagnolo sarebbe venduto alla Banca Centrale Europea.
Quest'ultimo
scenario sarebbe il più macabro, dovesse materializzarsi. La Spagna
non sarebbe più una nazione sovrana e si sottometterebbe al
controllo degli enti sovranazionali dell'UE.
La
minuziosa progettazione e l'alimentazione della crisi del debito,
insieme alle polizze di Bruxelles sulla regionalizzazione, non solo
sono la causa della frantumazione delle unità nazionali in Europa,
ma, in una prospettiva più ampia, minacciano la sovranità nazionale
e l'unità come principi generali.
Traduzione
di PEREA per www.comedonchisciotte.org
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