di Federico Zamboni.
Ma allora è proprio vero: sulle questioni fondamentali dell’economia, che ruotano intorno alle banche e alla speculazione finanziaria, Grillo ha le idee sommamente confuse. Oppure, peggio, tira acqua al mulino di certi potentati, che per semplicità definiremo statunitensi ma che in effetti sono sovrannazionali anche rispetto agli Usa, e si allinea alle loro logiche. Alle loro mire. Alle loro strategie di asservimento delle nazioni e dei popoli, in una crescente, implacabile, definitiva americanizzazione delle società che ancora non si siano assimilate al medesimo modello.
Un’offensiva
che paradossalmente, come abbiamo scritto più volte, è stata scatenata
dal 2008 in poi, utilizzando come trampolino di lancio proprio quella
crisi, tutta finanziaria, che avrebbe dovuto portare alla resa dei conti
con la cosiddetta “economia di carta”. E per estensione alla ripulsa
dell’idea, delirante, della crescita infinita. Quella che gli
speculatori applicano ai capitali. E i produttori alle merci. Ed
entrambi, in modi diversi ma paralleli, ai profitti.
Gli architravi del sistema sono questi, e per chi li ignora (per chi
si ostina a ignorarli, dopo che negli ultimi anni le relative dinamiche
hanno avuta una potente accelerazione che le ha rese ancora più
evidenti) ci sono solo due possibili spiegazioni: o davvero non ha
capito, e allora è ottuso, oppure fa finta di non capire, il che
significa passare dalla colpa al dolo.
Grillo, ieri, ha pubblicato un lungo post intitolato “L’Italia senza paracadute” (qui il pdf)
in cui mischia tutto e il contrario di tutto. Ma nel quale spiccano
alcune affermazioni che, per coloro i quali abbiano compreso la partita
che si sta giocando tra Usa ed Europa, sono altrettante dimostrazioni di
acquiescenza verso l’establishment che attualmente ha nella Federal
Reserve il suo principale, o più manifesto, braccio operativo. Il filo
conduttore, non esattamente inedito, è quello di identificare il nemico
nella sola Germania, accusandola di imporre alle altre nazioni Ue, e
specialmente ai Piigs, i propri egoismi e le proprie ambizioni
egemoniche. Viceversa, udite udite, il ruolo del buono viene attribuito
nientemeno che a Mario Draghi, il quale vorrebbe tanto intervenire a
sostegno dei Paesi in difficoltà, ma non può farlo, o non può farlo
appieno, a causa dell’opposizione tedesca. Quella “politica” della
Merkel e quella scopertamente bancaria della Bundesbank.
Scrive Grillo, o chiunque altro abbia compilato il testo: «Da
mesi Draghi prova a convincere la Germania di consentire alla BCE di
comprare i prestiti delle PMI (buoni e meno buoni) liberando i bilanci
delle banche e consentendo loro di sostenere le PMI con nuovi crediti.
Una manna per la nostra economia. Troppo bello per essere vero, ed
infatti è notizia di ieri che la BCE stia facendo marcia indietro su
questo fronte per le ostilità della Germania. Bruxelles non aiuterà le
PMI. Una notizia pessima per il nostro Paese che non è stata ripresa
dalla stampa italiana».
Secondo questo approccio, dunque, la chiave di volta del “credit
crunch” sarebbe da identificare non già negli interessi del settore
bancario nel suo complesso, che ha tagliato il credito alle aziende e ai
cittadini essendo costretto a rinsaldarsi dopo i crolli del 2008 e
dintorni, ma nella singola, specifica, perfida opposizione della
Bundesbank. Un’analisi a scartamento ridotta che sconfina nella
mistificazione. Benché non ci sia alcun dubbio che da parte tedesca si
cerchi in tutti i modi di trarre vantaggio dalla crisi, così come si è
fatto a seguito dell’introduzione dell’euro, ciò non significa affatto
che la Bce del generoso Mario Draghi abbia invece come scopo il bene delle imprese e dei popoli (ammesso, poi, che questi due piani coincidano).
Ed ecco, infatti, quest’altra, incredibile perla: «Cosa aspetta
il governo italiano a richiedere il sostegno europeo prima che sia
troppo tardi? È fuor di dubbio che sia interesse dell’Italia, se deve
rimanere nell'Euro, riprendersi sotto forma di aiuti europei parte dei
125 miliardi di euro di impegni presi con l’Europa all’interno del fondo
salva stati (MES) come sta facendo la Spagna».
Come si sarà notato, il ragionamento si concede un minuscolo alibi usando una formula ipotetica quale «se [l’Italia] deve rimanere nell’Euro»,
ma ciononostante si appiattisce sull’esistente e omette di andare più a
fondo, rinunciando a inquadrare i veri termini dell’impasse produttiva.
Che, ripetiamolo per l’ennesima volta, è un danno collaterale
dell’impasse finanziaria, causata proprio dalle banche e dagli altri
soggetti affini, a cominciare dai fondi di investimento pubblici e
privati.
A proposito: nell’ultima parte del documento, che va considerato a
tutti gli effetti un riassunto delle posizioni/intenzioni di Grillo e,
di conseguenza, del M5S, si arriva a lodare il bailout delle famigerate
strutture “too big to fail” da parte del governo federale di Washington.
Con un asse, giova forse ricordare, tra il segretario di Stato al
Tesoro, che era allora Henry Paulson, e il presidente della Fed, che è
tuttora Ben Bernanke. Testualmente, «È col pretesto della crescita
che le banche europee hanno rinviato un'operazione di pulizia dei
bilanci, ciò che invece hanno fatto gli USA con la TARP nel 2009 con $
700 mld di sostegni con cui le banche hanno pulito i bilanci per
restituirli al Tesoro in 18 mesi. Senza sistemare le banche, anche a
costo di nazionalizzarle, non ci sarà sostegno all'economia e crescita».
Un’ulteriore ambiguità, questo accenno alla nazionalizzazione.
Innanzitutto perché è prospettata come extrema ratio per tenere in piedi
gli istituti che si sono autoaffondati, laddove invece il vero
obiettivo è riportarli sotto il controllo pubblico per modificarne la
ragion d’essere: da usuraria, a vantaggio degli azionisti, a creditizia,
a beneficio della società nel suo insieme. E poi perché si colloca
anch’essa nel solito schema tanto caro al (neo)liberismo: l’economia
come crescita. Continua. Illimitata. Autoreferenziale.
Un dato, certamente non riducibile a una svista o una concessione
involontaria alle categorie correnti, che non può essere ignorato e che
chiama a una limpida/drastica presa di posizione tutti quelli che finora
hanno confidato in Grillo come un avversario del modello dominante. I
sostenitori della decrescita. I fautori del ritorno alla sovranità
monetaria. I difensori di qualunque valore culturale, nel senso
antropologico del termine, che sia alternativo alla visione
economicistica imperniata sul profitto e sul consumo.
Grillo, finalmente, è uscito allo scoperto. Nel modo peggiore, ma se
non altro in una maniera che, per quanto pasticciata nella forma, è
inequivocabile nella sostanza.
Fonte: Il Ribelle
Fonte: Il Ribelle
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