lunedì 3 giugno 2013

Al gioco delle tre carte vince sempre il banco.


di Francesco Maria Toscano.
Cari lettori, devo confessarvi di un certo senso di stanchezza che recentemente mi assale. Nonostante tutti gli sforzi di pochi uomini in buonafede, è ancora numerosa la schiera di quanti proprio non riescono a capire le vere dinamiche che manovrano questa surreale crisi infinita. I media vi dicono: “dovete accettare di essere più poveri perché c’è la crisi globale”. I giornalisti migliori, poi, a beneficio dei più curiosi, sono soliti aggiungere: “la crisi dei mutui subprime, partita negli Stati Uniti nel 2008, è alla base dell’attuale disastro”. Quindi voi sapete che state male perché c’è la crisi e che la crisi è nata in America nel 2008 a causa di una serie di prestiti concessi da alcuni colossi finanziari con troppa facilità.  
Benissimo. In Europa, inoltre, i media vi invitano a favorire quelle forze politiche che intendono realizzare la famose riforme strutturali in grado di far ripartire l’economia. Riforme strutturali è un termine dolce che nella realtà va tradotto con il più aderente concetto di attacco indiscriminato al welfare e ai diritti. Riforme strutturali sta quindi  a macelleria sociale così come escort sta a zoccola. 
Per i più malfidati, restii a morire di fame in ossequioso silenzio, i media sventolano il famoso spauracchio del debito pubblico, mostro a tre teste di natura infernale che impone immani e giustificati sacrifici. 
Nessuno però vi dice che il debito pubblico del Giappone è pari al 240% del Pil mentre quello della Bulgaria è inferiore al 20%. Eppure nessuno ha mai visto un abitante di Osaka lavare i vetri ad un semaforo di Centocelle mentre non è raro incontrare un bulgaro intento a vendere accendini per tirare la giornata. Sarà che i bulgari dissimulano benissimo. Un paese senza debito pubblico deve essere per forza prospero e felice. 
Dipoi, non appena qualcuno fa una proposta di lampante buon senso, del tipo risolvere il problema degli esodati o pagare i debiti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione, spunta subito il Floris di turno che, finito di incassare il sostanzioso e ingiustificato stipendio, tosto domanda: “ma i soldi dove li prendiamo?” 
Ecco, a questo punto viene voglia di iscriversi alla setta Tempio del Popolo fondata dal pastore Jim Jones per promuovere il suicidio collettivo. Un tempo, quando non esisteva la moneta, gli uomini si dedicavano al baratto. Floris, ad esempio, che dispone di molti denti e poco cervello, avrebbe potuto in epoca primitiva tentare di scambiare qualche ridondante incisivo con due etti di cervelletto. Ad un certo punto, caro il mio conduttore da strapazzo, gli uomini si accorsero che anziché scambiare cose con cose, era più semplice usare un oggetto al quale convenzionalmente assegnare il valore intrinseco di alcuni beni da scambiare. 
Ergo, caro il mio sapientone di Raitre, i soldi costituiscono soltanto l’unità di misura dei beni. Un tempo, la miseria, la fame e la carestia erano spesso diretta conseguenza di eventi  imprevisti e avversi. Un cattivo raccolto, per le ragioni più disparate, provocava in passato terribili carestie. 
Oggi, paradossalmente, si è imposto un modello diverso: quello della povertà nell’abbondanza. Non è diminuita affatto la capacità dell’uomo moderno di produrre beni in rapida quantità, anzi, i continui miglioramenti della tecnica ne permettono un continuo ed esponenziale aumento. Nessuna glaciazione, carestia o sfortunato ed imprevedibile evento ha cioè aperto la strada ad una ondata di povertà di ritorno. Se così è, quindi, non resta che prendere in considerazione l’ipotesi del dolo. 
Una ristretta oligarchia finanziaria, non potendo convincere gli sventurati che i beni reali non sono disponibili in quantità sufficiente per fare vivere tutti decorosamente, ha pensato di spostare il concetto di scarsità dall’oggetto ( i beni) allo strumento (i soldi). E’ chiara la truffa? E siccome questa élite globale, cementata da comuni appartenenze massonico-reazionarie, si auto-assegna il monopolio nel campo dell’emissione della moneta, il teatrino regge. I moderni negrieri alimentano perciò consapevolmente un circuito finanziario speculativo ipertrofico che, alla bisogna, garantisce l’alibi per drenare risorse dal basso verso l’alto in ossequio ad un concetto astratto e insignificante quale “la stabilità dei mercati”. 
Il classico gioco delle tre carte. I politici (selezionati sulla base della cieca e servile fedeltà) creano le condizioni affinché la finanza privata a briglie sciolte provochi endemicamente turbolenze globali; tali turbolenze vengono ripianate attraverso un ricorso massiccio all’indebitamento di Stato; indebitamento che, infine, costituisce l’alibi che permette l’adozione di successive misure recessive “indispensabili per far quadrare i conti”. 
Ma, spenti i fuochi pirotecnici che accompagno queste meschine operazioni, quale risultato pratico produce questa ingegnosa partita di giro su scala globale? Quello di togliere ai tanti che hanno poco per dare ai pochi che hanno già tanto. Siete ancora convinti di essere vittime di una crisi economica? O avete finalmente compreso di essere le cavie di un progetto eminentemente sociale e politico?

fonte: Il Moralista

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