di Alessio Pisanò.
“Fino a che le scorte alimentari nei principali
Paesi produttori e consumatori rimarranno basse, il rischio di
volatilità dei prezzi è amplificato. Una siccità diffusa, come quella
del 2012, in aggiunta a scorte alimentari limitate, potrebbe far
aumentare i prezzi del 15-40%”. Lo si legge nel rapporto The OECD-FAO Agricultural Outlook 2013-2022 realizzato congiuntamente dalla Fao e dall’Ocse.
Il succo del lungo studio è che la produzione agricola mondiale cresce
ma poco, almeno non alla pari con l’aumento della popolazione, che le
previsioni danno attorno ai 9 miliardi di persone attorno al 2050.
Nel prossimo decennio si stima che la produzione agricola globale
crescerà in media dell’1,5% all’anno, a fronte di una crescita annua
del 2,1% registrata tra il 2003 e il 2012. Insomma ci troviamo di fronte
ad un calo sostanziale della produzione di derrate agricole se si
considera la curva ascendente della natalità mondiale. Ma a cosa è
dovuto questo calo? Prima di tutto una precisazione: il rapporto
considera la produzione agricola destinata al consumo umano. Sì, perché
le enormi distese di terreni dedicati alla produzione di bio combustibili
non sono considerate; anzi, il rapporto ammette che si tratta di uno
dei motivi per cui si produce meno per mangiare. Tra le altre cause
troviamo “la limitata espansione della terra coltivata, l’aumento dei
costi di produzione e la pressione crescente sulle risorse e
sull’ambiente.
Tre i risultati concreti di questo trend:
aumento delle carenze alimentari nel mondo, volatilità dei prezzi nei
paesi industrializzati e grossi squilibri di mercato nel mondo. Questo
succede quando, come si legge nello stesso rapporto, “l’agricoltura è
sempre più orientata dal mercato piuttosto che dalla politica“.
Questo, se da una parte “offre ai paesi in via di sviluppo importanti
opportunità d’investimento e benefici economici”, dall’altra genera
squilibri nel mercato agricolo mondiale non
indifferenti.
Ecco che la siccità della scorsa estate, ad esempio, oltre
che assestare un duro colpo ai produttori di mezzo mondo, ha fatto
lievitare i prezzi di alcuni prodotti vicino al livelli storici del
2008, con un crollo della produzione di cereali del 30 per cento solo in Italia. A questo proposito va ricordato che secondo la Coldiretti
l’Italia importa già l’80 per cento della soia di cui ha bisogno, quasi
la metà del grano che consuma e anche circa il 20 per cento del mais
necessario.
Un precedente rapporto Ocse-Fao,
pubblicato la scorsa estate, ricordava che la produzione agricola
mondiale dovrebbe crescere del 60 per cento nei prossimi 40 anni per far
fronte all’aumento della domanda della maggiore popolazione mondiale, alla richiesta di biocarburanti e alla crescita dei redditi in paesi come la Cina
e al conseguente maggiore consumo di carne, quindi di mangime per gli
allevamenti. Proprio la Cina è uno degli osservati speciali da parte
delle due organizzazioni internazionali. Con un quinto della popolazione
mondiale, una crescita del reddito elevata e un settore agro-alimentare
in rapida espansione, proprio la Cina sarà la protagonista assoluta dei
mercati mondiali nei prossimi anni.
Il rapporto Ocse-Fao
registra un netto miglioramento nell’approvvigionamento interno del
paese, che è riuscito a ridurre di 100 milioni le persone in carenza
alimentare dai primi anni novanta. Ed ecco che oggi è avviata a
decidere, con il proprio peso, le dinamiche agricole mondiali. Un
esempio? Si stima che la Cina sia destinata a superare l’Unione europea
nel consumo di carne di maiale (affettati compresi) entro il 2022.
Prevedibili ulteriori sorpassi in altri settori. Non c’è bisogno di un
genio per prevedere gli effetti diretti sui consumi e sui prezzi per i
consumatori europei. D’altronde queste sono le leggi del mercato.
fonte: Il Fatto Quotidiano
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