mercoledì 6 marzo 2013

In morte di Chavez.


Un socialista, un cristiano, un antimperialista


Se i reazionari gongolano, il nostro dolore è enorme, come la nostra vicinanza al popolo rivoluzionario del Venezuela, chiamato, un’altra volta ancora, alla vigilanza per sventare la minaccia di una controrivoluzione sempre in agguato. E’ infatti ancora fresco, nella memoria dei venezuelani, il ricordo del golpe fallito dell’aprile 2002, promosso dai vecchi oligarchi defenestrati, con l’appoggio diretto degli Stati Uniti. Il golpe venne sventato grazie ad una imponente mobilitazione popolare, anzitutto degli strati sociali più poveri, che riportò Chavez alla guida del paese.

Quella vittoria strepitosa non fu sufficiente a far ricredere chi, anche a sinistra, lo aveva guardato in cagnesco, condividendo la medesima condanna liquidatoria delle centrali imperialiste della disinformazione: «populista autoritario».

Fu questo infatti il giudizio che gran parte delle sinistre europee diedero di Chavez quando nel 1998, a sorpresa, vinse le elezioni presidenziali. Come poteva un militare, uno che nel 1992 aveva tentato di salire al potere con un colpo di Stato, essere considerato un democratico, un socialista o addirittura un rivoluzionario?

Dopo quelle del ’92, il fronte ampio capeggiato da Chavez (che nel 2008 diventerà Alleanza patriottica) rivinse nel 2000, nel 2006, ed infine l’anno scorso. C’è voluto tempo affinché la spocchiosa e borghese sinistra europea si rimangiasse la sua condanna del chavismo, che tuttavia non divenne mai simpatia, tantomeno autentica solidarietà.

Solidarietà piena che come antimperialisti invece esprimemmo a Chavez e al processo rivoluzionario venezuelano, sin dal primo momento.

I fatti ci diedero ragione, poiché Chavez è stato anzitutto un fiero e combattivo antimperialista. 
Non che Chavez non abbia commesso errori — e come è possibile non commetterne in un quindicennio segnato da grandi tensioni internazionali, alla guida di un paese che le vecchie oligarchie avevano lasciato in stato di totale sfascio? —, ma sul piatto della bilancia i suoi meriti di dirigente politico e anche di Capo dello Stato sono stati di molto superiori ai suoi errori. Di bestialità Chavez non ne ha commesse, né in politica estera né in quella interna.

Egli ha sostenuto coraggiosamente ogni resistenza antimperialista, sfidando l’arroganza degli Stati Uniti di Bush, senza cadere nella trappola dell’obamismo. Ha avuto il coraggio di schierare il suo paese accanto alle nazioni additate dalla Casa bianca come “Stati canaglia”. Ha fatto uscire il Venezuela dalla banca mondiale e dal Fmi. Ha svolto un ruolo di punta nell’incoraggiare l’alleanza dei paesi latino americani in vista del definitivo sganciamento dalla tutela nord.americana (ALBA-Alternativa Bolivariana para América Latina y el Caribe).

In politica interna non è mai venuto a compromessi con la vecchia oligarchia corrotta, dando inizio ad un difficile e radicale processo sovranista di riforme sociali, a partire dalla nazionalizzazione dell’industria petrolifera. Trasformazioni concepite come tasselli, come punti di appoggio, per la costruzione di una società finalmente socialista. Misure adottate nella cornice della cosiddetta “democrazia partecipativa”, ovvero concepite per procedere in parallelo al protagonismo popolare dal basso. Un’impresa che, come c’era da aspettarsi, si è rivelata e si sta rivelando molto più difficile del previsto. 

Non si passa al socialismo da un giorno all’altro, è impresa che coinvolgerà più generazioni, e che certo non può avvenire senza l’ausilio della solidarietà internazionale. Una transizione di lungo periodo che implica una costante vigilanza rivoluzionaria poiché, una volta battuta la vecchia borghesia, una di nuovo tipo può sempre sorgere proprio dall’interno del fronte socialista — si è già formata infatti in Venezuela, e la chiamano “borghesia bolivariana”.

Chavez ha impresso al processo rivoluzionario l’impronta indelebile della sua potente personalità. Un leader venuto dal popolo, un capo il cui pensiero politico (bolivarismo) poggia su quattro pilastri: socialismo, antimperialismo, umanesimo, cristianesimo. Una miscela che certi marxisti mummificati hanno considerato con sufficienza eclettica, e non autenticamente rivoluzionaria.

E invece Chavez lo è stato, perché rivoluzionario non è colui che si limita a tenere talmudisticamente fede al suo proprio fine, lo è colui che il fine lo fa vivere e avanzare, con l’azione e nel più ampio consenso, nel gorgo della storia.



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