martedì 5 marzo 2013

CUL-DE-SAC.


di Leonardo Mazzei.

Hanno chiesto agli italiani se erano disposti a continuare a dissanguarsi per l'euro. La risposta è stata: no, grazie. Il succo dei risultati elettorali è tutto qui, in queste diciannove parole molto semplici. 

Non c'è bisogno di complesse analisi per capirlo, basti dire che anche a Bruxelles l'hanno compreso fin da lunedì pomeriggio... 
Noi, del resto, non abbiamo mai avuto troppi dubbi, a partire dalla previsione dell'insuccesso montiano. E non ci sfuggiva quanto fosse precario il consenso al centrosinistra. Adesso, una stampa melensa ed incapace di riflettere sugli stereotipi che essa stessa ha creato, parla di una «grande» rimonta di Berlusconi. 

In realtà nessuna rimonta vi è stata - il Pdl ha perso il 16% sul 2008, la sua coalizione il 18%, il partito di Berlusconi (che da primo è diventato terzo) ha perso 6.297.346 voti (-46,20% sul proprio elettorato), la Lega 1.634.387 voti (-54,04%). Nessuna rimonta dunque, semmai una limitazione del danno, che può sembrare una mezza vittoria solo per il tracollo del centrosinistra nell'ultimo miglio. Un tracollo rispetto ai sondaggi e ad aspettative che parevano fondate.

Ma la campagna elettorale di Bersani era inchiodata al ruolo autoassegnatosi dal Pd, quello di guardiano dell'ortodossia europeista e del suo totem euro. In questo modo, con tanto di viaggi in Germania per accreditarsi sempre più nel ruolo di servi, il consenso non poteva che scemare. Si è arrivati al punto di reclamizzare, in polemica con Monti, una sorta di visto a governare firmato dalla Merkel. E poi qualcuno finge di non capire quale sia il problema quando parliamo di sovranità nazionale...

Per oltre un anno abbiamo insistito sull'assoluta impopolarità del governo Monti. Impopolarità, non solo per la pesantezza delle sue manovre economiche, ma anche per la sua visione elitaria e classista, apertamente antidemocratica ed autoritaria. Ora, il voto ci ha fornito quelle prove di cui qualcuno pure dubitava.

Dunque, il Re è nudo. Se il 2011 è stato l'anno del crac berlusconiano, questo inizio 2013 è stata la volta del Quisling bocconiano, mentre Bersani è riuscito a scornarsi ancor prima di andare al governo. A che santo andrà a votarsi adesso il blocco dominante?

Questa è la domanda, ma prima riflettiamo sull'impotenza della classe politica sistemica, così come è emersa in campagna elettorale. I cosiddetti «big» si sono tenuti lontanissimi dai temi scottanti - l'euro, i trattati europei, i vincoli di bilancio, una recessione infinita, le disastrose prospettive occupazionali - concedendosi invece qualche piccola incursione solo in materia fiscale. Abbiamo così assistito alla propaganda di Berlusconi sull'IMU, a quella di Bersani sul cuneo fiscale, a quella ancor più indecente di un Monti improvvisamente calatosi nell'improbabile figura di leader anti-tasse.

Piccolo dettaglio: come è possibile pensare di diminuire l'imposizione fiscale, essendosi legati al collo per vent'anni il capestro del Fiscal compact? Altro piccolo dettaglio: che credibilità può avere una classe politica che ha finto di discutere seriamente tutto ciò, dopo aver votato compattamente il Fiscal compact e la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio?

E' «populista» dire a costoro che sono solo una banda di imbroglioni matricolati? O non è assai più populista mentire al popolo, con promesse che cozzano con gli atti politici appena compiuti? Molti elettori hanno capito come stanno le cose, ed è questo - proprio questo - che sta facendo impazzire i padroni della finanza, i banchieri, gli eurocrati ben stipendiati.

Il blocco dominante deve ancora decidere come reagire, ma reagirà. Alcuni si appassionano al rompicapo delle mosse che porteranno alla formazione del prossimo governo. Per ora siamo solo ad una pittoresca pretattica. Basti pensare a Bersani che ora finge di aprire al M5S, dopo aver detto le peggiori bestialità in campagna elettorale. Una per tutte: «Grillo è contro l'euro e ci porterebbe immediatamente in Grecia». En passant: ma in Grecia sono per caso tornati alla dracma? 

Grillo per ora ha risposto con chiarezza. D'altronde non si capisce proprio come avrebbe potuto fare altrimenti un movimento che si è presentato con lo scopo del «tutti a casa». Per il M5S i nodi verranno a galla più avanti, quando si tratterà di affrontare le questioni centrali e dirimenti: l'Europa, l'euro, il debito, altro che i «costi della politica»... Ma intanto, a differenza della passata legislatura, siede in parlamento una consistente forza di opposizione, che ha dato dimensioni di massa al rifiuto della politica degli eurosacrifici. Non è poco. 

Ma torniamo ai prossimi scenari politico-governativi. Apparentemente, passata la confusione di questi giorni, la cosa più probabile sembrerebbe il ritorno ad un qualche accordo Pd-Pdl-montisti. Orrore degli ingenui: ma non stanno dicendo tutti il contrario? Eh sì, ma lo dicevano anche prima del novembre 2011, poi si è visto quel che è successo. E senza dubbio la strada dell'ammucchiata (chiamiamola piano A) sarebbe quella più confacente alla forma mentis della classe politica secondo-repubblichina. C'è però un problema, che potrebbe rivelarsi insolubile, spingendo così il blocco dominante a giocarsi un'ultima carta (chiamiamola piano B, come stamattina suggerisce Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore) in anticipo sui tempi finora previsti.

La ripetizione pura e semplice dello schema dell'autunno 2011 non è infatti così semplice. Allora le mosse furono dettate dall'emergenza finanziaria, ma per i partiti sistemici che decisero di appoggiare Monti si trattava anche di chiudere in qualche modo una legislatura, per poi aprirne una nuova che immaginavano ancora bipolare. Ma ora il bipolarismo è morto. Al suo posto ci sono ormai tre poli e mezzo. Come venirne fuori?

La verità è che loro stessi non lo sanno. Non perché non siano possibili le più fantasmagoriche alchimie istituzionali (nuova legge elettorale, eccetera), ma perché si sono rinchiusi in una gabbia dalla quale non riescono più ad uscire, quella dell'euro e dei suoi folli trattati. Perché il problema in definitiva è semplice: si può manipolare il consenso fin che si vuole, ma non si può alla lunga governare nella più assoluta mancanza di consenso. Ed abbiamo visto come il consenso a proseguire nella politica dei sacrifici per l'euro proprio non c'è, al punto che ora perfino lo spennacchiato Bersani dice che gli obiettivi di bilancio vanno spostati nel medio periodo...

Ecco allora che nel blocco dominante serpeggia il dubbio su cosa convenga fare: piano A o piano B? Il piano A - che intanto dovrebbe prendere le mosse da un accordo di governo tra Pd, Pdl e montisti - è certo quello più semplice, ma non necessariamente quello più efficace. Non tanto per le contraddizioni che percorrerebbero la «strana» (ma fino a che punto?) maggioranza, quanto per le conseguenze che ne potrebbero derivare.

E' chiaro infatti che un simile governo, che per paura della rivolta cercherebbe di mettere l'Italia in stand by, in attesa che l'Europa decida cosa vuol fare da grande, dovrebbe avere una data di scadenza molto ravvicinata, come la mozzarella, con la funzione dichiarata di preparare un incertissimo «dopo».

Ma il «dopo» non potrebbe comunque essere troppo lontano. Un «dopo» nel quale si cercherebbe ancora una volta di «cambiare tutto, perché niente cambi». Il fatto è che le carte da giocare sono ormai sempre meno. Bruciata la destra ultra-liberista, bruciata la carta dei «tecnici», usurata già prima dell'uso quella del centrosinistra bersaniano, cercherebbero di tirar fuori qualche altra «ideona».

E l'«ideona» che va per la maggiore è quella di riproporre pari-pari l'asse degli eurosacrifici (Pd e satelliti alleati con i montisti) mettendovi però alla testa quello che loro credono possa funzionare come una specie di «Grillo governativo»: l'iperliberista a stelle e strisce Matteo Renzi. Non subito, come ha iniziato a scrivere una stampa frettolosa e senza cervello, ma senz'altro al prossimo giro, massimo entro un anno. Dategli tempo, e vedrete anche i brontosauri, tipo D'Alema e Bindi, convertirsi al dialetto fiorentino di questo carrierista pronto a tutto.

Ma quando dovrà essere il «prossimo giro»? Ecco la questione dirimente.

Per il blocco dominante, il piano A - lo ripetiamo: prima un governo Pd-Pdl-montisti che faccia una nuova legge elettorale, poi nuove elezioni con nuovo «centrosinistra» allargato ai montisti e guidato da Renzi - sembrerebbe in astratto il più logico. Eviterebbe lo scenario greco delle due votazioni ravvicinate, consentendo di prendere tempo e di provare a logorare in tutti i modi il M5S.

Ma - l'abbiamo già detto - c'è un problema. Ed è che una sorta di ripetizione della maggioranza che ha sostenuto Monti, potrebbe espandere ancora la forza elettorale del M5S. Dunque, l'ipotesi consociativa può funzionare solo se riesce a «consociare» se non il M5S almeno una sua parte consistente. Da qui la spudorata offensiva alla conquista del voto parlamentare tra gli eletti «grillini», descritti fino a ieri come inguaribili populisti, impreparati e un po' cretini. Un disegno che non ci pare possa ottenere i risultati sperati.

Ecco allora il piano B. Esso consiste nel possibile azzardo di nuove elezioni in tempi assai ravvicinati. Questo richiederebbe l'anticipo dell'elezione del nuovo presidente della repubblica, l'immediato scioglimento delle camere e l'indizione di nuove elezioni entro giugno, o al massimo entro settembre/ottobre.

In questo modo la coalizione centrosinistra-montisti, guidata dal sindaco di Firenze, proverebbe a vincere la sfida, contando non solo sulla somma aritmetica dei voti delle ultime elezioni, ma soprattutto sull'«effetto» Renzi. Quel che spinge a favore del piano B è l'esigenza di non logorarsi in un governicchio che farebbe perdere ulteriori consensi, cercando di bruciare Grillo sul terreno del «rinnovamento». Se così andranno davvero le cose ci troveremmo di fronte ad una giocata assai spericolata ma non priva di senso.

Probabilmente, però, è già troppo tardi. Ripetiamo quel che abbiamo detto all'inizio: «hanno chiesto agli italiani se erano disposti a continuare a dissanguarsi per l'euro. La risposta è stata: no, grazie». Cambierebbero idea per far piacere alla faccia spudorata ed irridente di Matteo Renzi? Osiamo dubitarne.

Il rifiuto dei sacrifici per l'euro è il vero nodo. E' il punto che i partiti sistemici vorrebbero sfuggire, ma che non potranno facilmente aggirare. Ed in una situazione come l'attuale, il consenso non è questione di leadership ma di proposta politica. Saranno in grado di adeguarla almeno un po' al diffuso sentire emerso anche dalle urne? Non crediamo proprio.

Si aprono in ogni caso scenari di grande instabilità, con una situazione economica e sociale che continuerà a deteriorarsi (vedi i dati pubblicati ieri dall'Istat, sui quali torneremo). E' dunque il momento di porsi urgentemente la questione del fronte e del blocco sociale per la sollevazione e l'alternativa: se non ora, quando?


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