di Francesco Salistrari.
Uno dei temi più
dibattuti negli ultimi anni a livello globale, da politici,
scienziati, giornali, tv e cittadini qualunque è stato senz'altro il
“riscaldamento globale”.
Dopo la ormai famosa
“Conferenza di Kyoto” e le “decisioni”
prese in quell'occasione, il mondo sembrava indirizzarsi verso una
progressiva riduzione delle emissioni di CO2
o almeno così era stata sbandierata la cosa. In
realtà, il rifiuto di aderire al “Protocollo
di Kyoto” da parte degli Stati Uniti, le
resistenze di Russia e soprattutto Cina (che non ha mai rispettato i
parametri), il fallimento delle politiche europee di riduzione delle
emissioni, ci riportano oggi alla triste realtà che a 10 anni di
distanza da quella conferenza l'atmosfera continua ad essere
sottoposta alle emissioni della grande industria e dei combustibili
fossili, senza riguardi per l'innalzamento delle temperature globali
e per i cambiamenti climatici in corso.
Dopo il
fallimento della “Conferenza di Copenaghen” infatti, tutto sembra
ritornato ad essere lettera morta e benchè in queste settimane sia
stata registrata
una concentrazione
di CO2 nell'atmosfera
superiore alle 400ppm (parti
per milione di metri cubi), soglia che veniva individuata fin dal
1996 come una “soglia limite”, pare che nessuno se ne sia accorto
ed il dibattito non è neanche partito.
In realtà,
nonostante lo sviluppo delle energie alterative ai combustibili
fossili in molti paesi proceda speditamente, sia da una parte
l'innalzamento della domanda globale di combustibili fossili
(soprattutto da parte dei mercati “giganti” asiatici), sia
dall'altra l'uso scriteriato e criminoso dei
“sussidi” alle energie rinnovabili, nonché
le decisioni ambienticide di Stati Uniti e Canada di puntare forte
sull'estrazione di petrolio e gas dagli scisti
bituminosi (esempio che è preso in seria
considerazione da molti altri paesi), portano oggi la situazione ad
essere decisamente più preoccupante di dieci anni fa.
Eppure il
mondo in questi anni acqua sotto i ponti ne ha vista passare.
Il
capitalismo mondiale sta vivendo una delle crisi più profonde della
sua storia pluricentenaria e anche le cosiddette “economie
emergenti” cominciano a rallentare, cosicchè
dal punto di vista energetico si cercano
soluzioni di ogni genere. Come sfruttare i giacimenti più difficili,
meno accessibili. O come già detto attraverso
l'estrazione (ambientalmente devastante) di petrolio e gas dai bitumi
di scisto. Il tutto condito da una grande crisi
in Medioriente che rischia di destabilizzare l'intera
l'aria con conseguenze disastrose per le esportazioni di greggio e
gas in tutto il mondo.
Il tutto
insomma sembra giocare verso una “decrescita forzata” del consumo
di combustibili fossili, il che potrebbe dare all'atmosfera qualche
attimo di tregua, ma con immani sofferenze umane.
Il dilemma
quindi è molto profondo.
In realtà,
ci si è resi conto che le sole energie rinnovabili non sono in grado
nel breve periodo (e probabimente nemmeno nel medio) di sopperire ai
combustibili fossili. Il che porta ad un costante aumento della
domanda di queste risorse, necessarie inoltre per il rilancio della
crescita globale e per il superamento della crisi. Probabilmente è
questo uno dei motivi per cui il “riscaldamento globale” sembra
essere sparito dal dibattito mondiale.
Ma il dato
più inquietante della situazione mondiale è che le
borse di tutto il mondo, nei loro “comparti energia”, sono
convinte che le 200 imprese del settore più importanti, siano capaci
di consumare tutte le riserve di cui hanno dichiarato il possesso e i
permessi di sfruttamento in giro per il globo. Ad esempio, nel 2012
queste aziende hanno investito nella ricerca di nuove riserve circa
680 miliardi di dollari. Dunque, delle due l'una: o siamo in presenza
di una bolla finanziaria
in cui gli investitori speculano su riserve che non saranno mai
utilizzate, o i limiti di utilizzo dei combustibili fossili
diventeranno un enorme bluff planetario. Con buona pace per il clima.
Che poi le
flebili speranze di rimettere le cose a posto, nell'economia
mondiale, con una crescita trainata da energia a basso costo sia
un'utopia bella e buona, questo non fermerà certo chi gestisce i
colossali interessi intorno ai combustibili fossili. La “guerra
energetica” mondiale al contrario sarà destinata ad acutizzarsi,
con il mondo che probabimente da questo punto di vista (e guardando
le dinamiche attuali) tenderà a bipolarizzarsi, con da una parte
USA-Europa-Pacifico e Cina-Russia dall'altra. Del resto la crisi
siriana verte proprio su questo: il passaggio dei gasdotti che
dall'Iraq passeranno per la
Siria per unirsi al famoso mega-giacimento israeliano “Leviathan”
per raggiungere via Turchia i mercati europei, tagliando di fatto
fuori la Russia (e indebolendo l'Iran nell'opera
di accerchiamento iniziata decenni fa), che sarà
costretta ad appoggiarsi al “solo” mercato cinese.
Insomma, la
partita energetica è cominciata.
Ed in questa
partita a perdere sono certamente la credibilità del capitalismo in quanto tale,
ma soprattutto la “salute” del clima del pianeta e le prospettive
per le future generazioni.
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