martedì 21 maggio 2013

Clima addio.


di Francesco Salistrari.


Uno dei temi più dibattuti negli ultimi anni a livello globale, da politici, scienziati, giornali, tv e cittadini qualunque è stato senz'altro il “riscaldamento globale”.

Dopo la ormai famosa “Conferenza di Kyoto” e le “decisioni” prese in quell'occasione, il mondo sembrava indirizzarsi verso una progressiva riduzione delle emissioni di CO2 o almeno così era stata sbandierata la cosa. In realtà, il rifiuto di aderire al “Protocollo di Kyoto” da parte degli Stati Uniti, le resistenze di Russia e soprattutto Cina (che non ha mai rispettato i parametri), il fallimento delle politiche europee di riduzione delle emissioni, ci riportano oggi alla triste realtà che a 10 anni di distanza da quella conferenza l'atmosfera continua ad essere sottoposta alle emissioni della grande industria e dei combustibili fossili, senza riguardi per l'innalzamento delle temperature globali e per i cambiamenti climatici in corso.

Dopo il fallimento della “Conferenza di Copenaghen” infatti, tutto sembra ritornato ad essere lettera morta e benchè in queste settimane sia stata registrata una concentrazione di CO2 nell'atmosfera superiore alle 400ppm (parti per milione di metri cubi), soglia che veniva individuata fin dal 1996 come una “soglia limite”, pare che nessuno se ne sia accorto ed il dibattito non è neanche partito.

In realtà, nonostante lo sviluppo delle energie alterative ai combustibili fossili in molti paesi proceda speditamente, sia da una parte l'innalzamento della domanda globale di combustibili fossili (soprattutto da parte dei mercati “giganti” asiatici), sia dall'altra l'uso scriteriato e criminoso dei “sussidi” alle energie rinnovabili, nonché le decisioni ambienticide di Stati Uniti e Canada di puntare forte sull'estrazione di petrolio e gas dagli scisti bituminosi (esempio che è preso in seria considerazione da molti altri paesi), portano oggi la situazione ad essere decisamente più preoccupante di dieci anni fa.

Eppure il mondo in questi anni acqua sotto i ponti ne ha vista passare.

Il capitalismo mondiale sta vivendo una delle crisi più profonde della sua storia pluricentenaria e anche le cosiddette “economie emergenti” cominciano a rallentare, cosicchè dal punto di vista energetico si cercano soluzioni di ogni genere. Come sfruttare i giacimenti più difficili, meno accessibili. O come già detto attraverso l'estrazione (ambientalmente devastante) di petrolio e gas dai bitumi di scisto. Il tutto condito da una grande crisi in Medioriente che rischia di destabilizzare l'intera l'aria con conseguenze disastrose per le esportazioni di greggio e gas in tutto il mondo.

Il tutto insomma sembra giocare verso una “decrescita forzata” del consumo di combustibili fossili, il che potrebbe dare all'atmosfera qualche attimo di tregua, ma con immani sofferenze umane.

Il dilemma quindi è molto profondo.

In realtà, ci si è resi conto che le sole energie rinnovabili non sono in grado nel breve periodo (e probabimente nemmeno nel medio) di sopperire ai combustibili fossili. Il che porta ad un costante aumento della domanda di queste risorse, necessarie inoltre per il rilancio della crescita globale e per il superamento della crisi. Probabilmente è questo uno dei motivi per cui il “riscaldamento globale” sembra essere sparito dal dibattito mondiale.

Ma il dato più inquietante della situazione mondiale è che le borse di tutto il mondo, nei loro “comparti energia”, sono convinte che le 200 imprese del settore più importanti, siano capaci di consumare tutte le riserve di cui hanno dichiarato il possesso e i permessi di sfruttamento in giro per il globo. Ad esempio, nel 2012 queste aziende hanno investito nella ricerca di nuove riserve circa 680 miliardi di dollari. Dunque, delle due l'una: o siamo in presenza di una bolla finanziaria in cui gli investitori speculano su riserve che non saranno mai utilizzate, o i limiti di utilizzo dei combustibili fossili diventeranno un enorme bluff planetario. Con buona pace per il clima.

Che poi le flebili speranze di rimettere le cose a posto, nell'economia mondiale, con una crescita trainata da energia a basso costo sia un'utopia bella e buona, questo non fermerà certo chi gestisce i colossali interessi intorno ai combustibili fossili. La “guerra energetica” mondiale al contrario sarà destinata ad acutizzarsi, con il mondo che probabimente da questo punto di vista (e guardando le dinamiche attuali) tenderà a bipolarizzarsi, con da una parte USA-Europa-Pacifico e Cina-Russia dall'altra. Del resto la crisi siriana verte proprio su questo: il passaggio dei gasdotti che dall'Iraq passeranno per la Siria per unirsi al famoso mega-giacimento israeliano “Leviathan” per raggiungere via Turchia i mercati europei, tagliando di fatto fuori la Russia (e indebolendo l'Iran nell'opera di accerchiamento iniziata decenni fa), che sarà costretta ad appoggiarsi al “solo” mercato cinese.

Insomma, la partita energetica è cominciata.

Ed in questa partita a perdere sono certamente la credibilità del capitalismo in quanto tale, ma soprattutto la “salute” del clima del pianeta e le prospettive per le future generazioni.


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