lunedì 13 maggio 2013

La lezione islandese.


di Francesco Salistrari.

Nella primavera del 2011 in Islanda si assiste ad un fatto nuovo nella politica europea.

Sotto la pressione dei movimenti sociali di protesta contro la crisi finanziaria, i partiti che governavano il paese fin dal 1927, vengono battuti alle elezioni da una coalizione di socialdemocratici e verdi con un programma di emergenza che trova il consenso di massa nella popolazione stremata. Con la vittoria della coalizione socialdemocratica accade immediatamente qualcosa di incredibile: vengono nazionalizzate le banche, vengono messi sotto accusa e processati i banchieri responsabili della crisi, l’ex primo ministro viene portato in tribunale, il governo e i cittadini si rifiutano di pagare il debito estero dovuto alla speculazione bancaria.

Una rivoluzione copernicana rispetto alle reazioni e alle politiche di tutti gli altri governi europei di fronte alla crisi.

Inoltre una grande partecipazione popolare, attraverso internet, porta alla stesura di una nuova Costituzione che il parlamento avrebbe dovuto approvare.

Ma non accade.

E così, alle ultime elezioni, il Partito per l’Indipendenza e il Partito Progressista sono tornati al potere, con socialdemocratici e verdi che sono sprofondati.

Cosa è successo?

Nonostante gli slanci iniziali, la coalizione socialdemocratica non ha mantenuto le promesse fatte e l’elettorato l’ha punita. La nuova costituzione non è stata approvata, ma soprattutto nulla è stato fatto per risolvere il problema del peso dei mutui sulle famiglie (cavallo di battaglia della coalizione nella campagna elettorale del 2011) legati all’inflazione e vincolati alla valuta straniera e che gli islandesi chiedevano a gran voce che venissero quantomeno sganciati da questi meccanismi. Inoltre il governo di sinistra non ha tenuto conto dei due referendum con cui gli islandesi avevano respinto l’idea di pagare i creditori della banca Icesave. Oltre a questo il governo socialdemocratico si è anche andato a impantanare in un prestito di 1,5 mld di euro con il Fondo Monetario Internazione che in cambio ha chiesto un severo programma di tagli.

Ed è così che sono tornati al potere i vecchi partiti con un programma fatto di promesse e di risoluzioni dei problemi che ancora il paese soffre, a cominciare proprio dalla questione dei mutui delle famiglie (che pesano per il 109% del pil) che il governo socialdemocratico non aveva risolto.

Cosa ci insegna l’esempio islandese? Almeno due cose.

1. Quando la Sinistra dialoga con la società civile, con i movimenti sociali e fa proprie le sue richieste, diventando il vettore attraverso cui queste proposte entrano nelle istituzioni, diventando proposta politica concreta, vince e vince a man bassa.

2. Quando divenuta forza di governo e snaturando il mandato elettorale che ha avuto, ritorna a rispettare gli interessi dominanti nazionali e internazionali, la Sinistra perde e perde di brutto.

E’ una lezione abbastanza chiara.

Se la Sinistra ha intenzione di utilizzare il malcontento popolare per la crisi, solo a fini elettorali e di consenso, non ha capito nulla né delle richieste, né delle aspettative sociali, ma soprattutto niente della crisi che attraversa l’Europa, l’Euro e il capitalismo in generale. Se continua a pensare che governare un paese, significa legittimare e difendere lo status quo, senza prendersi la responsabilità del cambiamento, non solo non ha capito qual è oggi la risposta da dare alla gente, ma soprattutto ha completamente smarrito la sua funzione storica.

Smarrito, ma non esaurito. Perchè è evidente la necessità di un fronte sociale e politico che punti al cambiamento. Al rivolgimento dello stato esistente delle cose, come si diceva un tempo.

La lezione della sinistra islandese, non è un episodio isolato, ma è la consuetudine politica di tutta la sinistra europea. Una sinistra incapace a diventare fautrice del cambiamento necessario, schiacciata sulle posizioni dominanti nella concezione di società e di economia, “la cui priorità non sembra essere la” vera e reale “ rappresentanza della volontà popolare, ma un’apparenza di istituzionalità che tranquillizzi i mercati” (M.Castells).

In Italia, la fotografia di questa acefalia politica della sinistra europea, è naturalmente rappresentata dal PD (e da chi continua a voler a tutti i costi trovare un accordo elettorale e politico con questo partito).  Ed il governo Letta, è l’espressione di questa deriva che perdura da decenni e che, si dica quel che si voglia, è la principale responsabile dello sfacelo nel quale ci troviamo.

La società, l’economia, i partiti, la democrazia (i suoi metodi, le sue funzionalità, le istituzioni), hanno oggi urgente necessità di un profondo e radicale ripensamento.

Ed in questo senso è necessario e improcrastinabile un ripensamento della Sinistra in quanto orizzonte culturale e politico. “Ma la partita non si gioca, e tanto meno si riapre, a tavolino tra gruppi dirigenti. Non serve la sommatoria di frammenti o di parti di ceto dirigente politico teso all’autoconservazione, ma una nuova esperienza politica aperta e larga, capace di sollecitare processi più ampi, di aggregare intelligenze, risorse culturali per un’elaborazione inedita”*.

Cambiare non si può, si deve.


2 commenti:

  1. forse.....forse non vi viene il dubbio che la sinistra sbagli proprio concetto di base?....come ha sbagliato il fascismo e il nazismo?....la dittatura non piace a nessuno....non ci credete eh?....vabbè continuate un pò a fare i comunisti tanto la gente è sempre più intelligente dei suoi governanti.

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  2. sinceramente Catia non capisco il senso del suo intervento. Se vuole spiegarmelo bene, forse le potrei far capire meglio il senso dell'articolo, perchè probabilmente lo ha frainteso.
    Francesco Salistrari.

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