di Francesco Salistrari.
Nella primavera del 2011 in Islanda si assiste ad un fatto nuovo nella politica europea.
Sotto la pressione dei movimenti sociali di protesta contro
la crisi finanziaria, i partiti che governavano il paese fin dal 1927, vengono
battuti alle elezioni da una coalizione di socialdemocratici e verdi con un
programma di emergenza che trova il consenso di massa nella popolazione
stremata. Con la vittoria della coalizione socialdemocratica accade
immediatamente qualcosa di incredibile: vengono nazionalizzate le banche, vengono
messi sotto accusa e processati i banchieri responsabili della crisi, l’ex
primo ministro viene portato in tribunale, il governo e i cittadini si
rifiutano di pagare il debito estero dovuto alla speculazione bancaria.
Una rivoluzione copernicana rispetto alle reazioni e alle
politiche di tutti gli altri governi europei di fronte alla crisi.
Inoltre una grande partecipazione popolare, attraverso
internet, porta alla stesura di una nuova Costituzione che il parlamento
avrebbe dovuto approvare.
Ma non accade.
E così, alle ultime elezioni, il Partito per l’Indipendenza e
il Partito Progressista sono tornati al potere, con socialdemocratici e verdi
che sono sprofondati.
Cosa è successo?
Nonostante gli slanci iniziali, la coalizione
socialdemocratica non ha mantenuto le promesse fatte e l’elettorato l’ha
punita. La nuova costituzione non è stata approvata, ma soprattutto nulla è
stato fatto per risolvere il problema del peso dei mutui sulle famiglie
(cavallo di battaglia della coalizione nella campagna elettorale del 2011)
legati all’inflazione e vincolati alla valuta straniera e che gli islandesi
chiedevano a gran voce che venissero quantomeno sganciati da questi meccanismi.
Inoltre il governo di sinistra non ha tenuto conto dei due referendum con cui
gli islandesi avevano respinto l’idea di pagare i creditori della banca
Icesave. Oltre a questo il governo socialdemocratico si è anche andato a
impantanare in un prestito di 1,5 mld di euro con il Fondo Monetario
Internazione che in cambio ha chiesto un severo programma di tagli.
Ed è così che sono tornati al potere i vecchi partiti con un
programma fatto di promesse e di risoluzioni dei problemi che ancora il paese
soffre, a cominciare proprio dalla questione dei mutui delle famiglie (che
pesano per il 109% del pil) che il governo socialdemocratico non aveva risolto.
Cosa ci insegna l’esempio islandese? Almeno due cose.
1. Quando la Sinistra dialoga con la società civile, con i
movimenti sociali e fa proprie le sue richieste, diventando il vettore
attraverso cui queste proposte entrano nelle istituzioni, diventando proposta
politica concreta, vince e vince a man bassa.
2. Quando divenuta forza di governo e snaturando il mandato
elettorale che ha avuto, ritorna a rispettare gli interessi dominanti nazionali
e internazionali, la Sinistra perde e perde di brutto.
E’ una lezione abbastanza chiara.
Se la Sinistra ha intenzione di utilizzare il malcontento
popolare per la crisi, solo a fini elettorali e di consenso, non ha capito
nulla né delle richieste, né delle aspettative sociali, ma soprattutto niente
della crisi che attraversa l’Europa, l’Euro e il capitalismo in generale. Se
continua a pensare che governare un paese, significa legittimare e difendere lo
status quo, senza prendersi la responsabilità del cambiamento, non solo non ha
capito qual è oggi la risposta da dare alla gente, ma soprattutto ha
completamente smarrito la sua funzione storica.
Smarrito, ma non esaurito. Perchè è evidente la necessità di
un fronte sociale e politico che punti al cambiamento. Al rivolgimento dello
stato esistente delle cose, come si diceva un tempo.
La lezione della sinistra islandese, non è un episodio
isolato, ma è la consuetudine politica di tutta la sinistra europea. Una
sinistra incapace a diventare fautrice del cambiamento necessario, schiacciata
sulle posizioni dominanti nella concezione di società e di economia, “la cui
priorità non sembra essere la” vera e reale “ rappresentanza della volontà
popolare, ma un’apparenza di istituzionalità che tranquillizzi i mercati”
(M.Castells).
In Italia, la fotografia di questa acefalia politica della
sinistra europea, è naturalmente rappresentata dal PD (e da chi continua a
voler a tutti i costi trovare un accordo elettorale e politico con questo partito). Ed il governo Letta, è l’espressione di
questa deriva che perdura da decenni e che, si dica quel che si voglia, è la
principale responsabile dello sfacelo nel quale ci troviamo.
La società, l’economia, i partiti, la democrazia (i suoi
metodi, le sue funzionalità, le istituzioni), hanno oggi urgente necessità di
un profondo e radicale ripensamento.
Ed in questo senso è necessario e improcrastinabile un ripensamento
della Sinistra in quanto orizzonte culturale e politico. “Ma la partita non si
gioca, e tanto meno si riapre, a tavolino tra gruppi dirigenti. Non serve la
sommatoria di frammenti o di parti di ceto dirigente politico teso all’autoconservazione,
ma una nuova esperienza politica aperta e larga, capace di sollecitare processi
più ampi, di aggregare intelligenze, risorse culturali per un’elaborazione
inedita”*.
Cambiare non si può, si deve.
*fonte: Riprendiamoci La Politica
forse.....forse non vi viene il dubbio che la sinistra sbagli proprio concetto di base?....come ha sbagliato il fascismo e il nazismo?....la dittatura non piace a nessuno....non ci credete eh?....vabbè continuate un pò a fare i comunisti tanto la gente è sempre più intelligente dei suoi governanti.
RispondiEliminasinceramente Catia non capisco il senso del suo intervento. Se vuole spiegarmelo bene, forse le potrei far capire meglio il senso dell'articolo, perchè probabilmente lo ha frainteso.
RispondiEliminaFrancesco Salistrari.