di Dominique Berns.
Le nude cifre.
In Europa la disoccupazione continua ad aumentare. Il 25
aprile l’Istituto Nazionale di Statistica spagnolo ha annunciato di aver
registrato a fine marzo 6,2 milioni di disoccupati, cioè quasi 240 mila in più
rispetto al trimestre precedente. Questo significa che oggi il 27,16 % della
popolazione attiva spagnolo è disoccupato.
In Francia il numero di chi cerca lavoro a marzo ha
raggiunto il massimo storico, con 3.224.600 persone iscritte alle liste di
disoccupazione, ben oltre il precedente record del 1997.
Secondo le ultime cifre disponibili pubblicate da Eurostat,
l’ufficio Europeo di statistica, a febbraio erano disoccupati 26,3 milioni di
europei, di 19,1 milioni nell’eurozona: il tasso di disoccupazione cera 10,9
nell’Unione e del 12 % nella zona euro.
Tuttavia, tra il cuore dell’eurozona e la periferia ci sono
differenze considerevoli: i disoccupati sono il 5,4% della popolazione totale
in Germania e l’8,1% in Belgio, ma il 14,2% in Irlanda e il 26,3% in Grecia.
Queste cifre, però, sottovalutano le reali dimensioni della mancanza di lavoro
e i danni sociali che l’accompagnano. In realtà dei dati sulla questione ci
sono, ma se ne parla poco: si tratta dell’inchiesta sulla forza lavoro di cui
Eurostat ha appena pubblicato i risultati per il 2012.
Lavoratori
scoraggiati.
Non avere un lavoro, cercarne attivamente uno e, in caso, essere
immediatamente disponibile ad accettarlo. Se non si soddisfano queste tre
condizioni non si è considerati disoccupati.
Esistono, tuttavia, persone che vorrebbero lavorare, che
sono disponibili, ma che non cercano lavoro o – per essere più precisi – hanno smesso
di cercarlo. Per diversi motivi: perché ritengono di non avere alcuna
possibilità di vedersi offrire un lavoro a causa dell’età, delle loro
competenze o, più in generale, per colpa della difficile situazione economica.
Questi “lavoratori scoraggiati” sarebbero sicuramente attivi se i posti di
lavoro fossero più numerosi. Quanti sono? In Europa sono 8,8 milioni. Un numero
consistente.
Poi ci sono quelli che vorrebbero lavorare, ma che non sono
subito disponibili quando viene fuori la possibilità di un impiego, sia per
motivi familiari sia perché si trovano nel periodo che intercorre tra due
contratti precari. Queste persone, che in Europa sono 2,3 milioni, non
rimarrebbero di certo inattive se la congiuntura fosse migliore e se le offerte
di lavoro fossero più numerose. Insieme ai “lavoratori scoraggiati”
rappresentano una “potenziale forza lavoro supplementare”, spiega Eurostat.
Part-time senza
scelta.
Molti lavoratori part-time non sono soddisfatti della loro
situazione e vorrebbero lavorare di più. Ma non possono. In Europa il part-time
imposto e non scelto riguarda un lavoratore a orario ridotto su cinque. In
Belgio uno su sette.
La percentuale di lavoratori part-time disponibile a
lavorare di più è in aumento dall’inizio della crisi economica: è passata dal
18,5% del 2008 al 21,4% del 2012. Anche se non possono essere formalmente
considerati disoccupati, questi lavoratori (e le loro famiglie) soffrono per la
mancanza di lavoro. Nel 2012 Eurostat ne ha contati 9,2 milioni nell’Unione Europea.
Questi tre gruppi formano quello che l’istituto statistico ha opportunamente
definito un “alone” intorno alla disoccupazione. Tenerne conto permette di
ottenere “un’immagine più articolata e più chiara” del fenomeno della sottoccupazione.
La realtà della
sottoccupazione.
Al numero dei disoccupati bisogna dunque aggiungere quello
dei “part-time forzati” e la “potenziale forza lavoro supplementare” di cui
fanno parte i “lavoratori scoraggiati”.
Il risultato è che a soffrire per la mancanza di lavoro sono
45,4 milioni di europei, il 19%
della popolazione attiva: quasi il doppio rispetto al tasso di disoccupazione
ufficiale. E’ un dato così grave che non
viene reso pubblico, e nemmeno calcolato, da Eurostat.
Questa cifra non ha indubbiamente la precisione del tasso di
disoccupazione. E comunque l’aggiunta al numero dei disoccupati ufficiali di
altre categorie di lavoratori precari e in difficoltà deve essere fatta e
interpretata con prudenza. Tuttavia la sottoccupazione così stimata rende un’immagine
piuttosto fedele della realtà. Per questo motivo negli Stati Uniti, il Bureau
of Labour Statistics pubblica ogni mese un indicatore simile, lo U-6 (dove la U
sta per unemployement,
disoccupazione). Secondo questo dato, a marzo la sottoccupazione interessava il
13,8% della popolazione attiva statunitense.
Neanche il cuore dell’Unione Europea sfugge a questo
problema. Calcolare il tasso di disoccupazione per paese serve a far luce sui
diversi aspetti del mondo del lavoro. Analizzando la sottoccupazione in
Germania, la situazione del paese appare molto meno positiva di quello che si
potrebbe credere: tra i tedeschi, infatti, il lavoro part-time subito occupa
una larga fetta del mercato del lavoro. Lo stesso discorso vale per la Gran
Bretagna, un altro paese dove il mercato del lavoro è molto flessibile. Nei
Paesi Bassi, invece, l’esistenza di un numero relativamente consistente di “lavoratori
scoraggiati” permette di ridurre il tasso di disoccupazione ufficiale.
Come spesso succede, il Belgio condivide le caratteristiche
dei suoi vicini tedesco e olandese: qui il 15% dei lavoratori part-time
vorrebbero lavorare di più. Va ricordato che in Belgio i lavori part-time sono
un quarto del totale.
Oltre il rigore.
Ma è soprattutto alla periferia d’Europa, e in particolare
al Sud, che la situazione è più drammatica. In Irlanda, il paese che la
Commissione Europea si ostina a considerare un modello di successo dei
programmi di austerità, la sottoccupazione riguarda il 23% della popolazione
attiva. E la percentuale sarebbe ancora più alta senza l’emigrazione: nel 2012
hanno lasciato il paese 34 mila persone, la cifra più alta degli ultimi vent’anni.
In Italia c’è una percentuale molto rilevante di “lavoratori
scoraggiati”, un fenomeno che probabilmente ha un carattere strutturale, visto
che tra l’introduzione dell’euro e la crisi del 2008 l’Italia ha avuto uno dei
più bassi tassi di crescita dell’eurozona.
Per quanto riguarda la Grecia e la Spagna le cifre sono
ancora più preoccupanti. Con dei livelli di sottoccupazione e di disoccupazione
così elevati è in pericolo la tenuta stessa del tessuto sociale. Inoltre, va
sottolineato che nel 2012 la popolazione spagnola si è ridotta a causa di un
consistente flusso migratorio.
La situazione migliorerà nel prossimo futuro? Assolutamente
no.
Considerato che nel 2013 l’economia europea sarà ancora in
stagnazione e che l’eurozona registrerà un secondo anno di recessione, la
sottoccupazione continuerà a crescere. E se anche ci sarà la timida ripresa
promessa per il 2014, non sarà certo in grado di invertire la tendenza. Viene
da chiedersi se non sia il momento di mettere in discussione la strategia del
rigore quasi assoluto adottata fin’ora.
Fonte:Le Soir,
Belgio.
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