DI FEDERICO ZAMBONI
ilribelle.com
Le truppe del PdL silurano il dl Sviluppo, ma è un attacco suicida. Che fa comodo sia a Berlusconi che a Monti
Chi dà retta agli editorialisti del Corriere o di Repubblica la chiami pure dietrologia, e si conceda l’ennesimo sorrisino di sufficienza. Allo stesso modo, continui a credere che Berlusconi è un mattoide fuori controllo. E che tra i diversi partiti non ci sono stati accordi sottobanco per assecondare l’avvento di Mario Monti a Palazzo Chigi.
Per loro il “sistema” non esiste e quelli che pensano di sì sono dei poveri sciocchi, più o meno complottisti. Ma se invece si è aperti a un ragionamento fuori dagli schemi, ecco un’interpretazione alternativa a quella che si sta leggendo altrove e che riduce tutto a una ripicca per le dichiarazioni di Passera che in Tv, ad Agorà, aveva definito «controproducente» per l’Italia l’eventuale ritorno in campo di Berlusconi.
Mettiamo insieme un po’ di tessere del mosaico, allora. E cominciamo da una domanda: arrivati dove siamo adesso, ovvero a ridosso della fine della legislatura, chi sarebbe danneggiato da una crisi di governo e da un ritorno accelerato alle urne? La risposta è molteplice, ma va nella medesima direzione. Che è quella di favorire gli esponenti più alti delle diverse forze in gioco.
Primo: certamente non ne esce sminuito Monti, che anzi verrebbe fatto passare per la vittima incolpevole di un ammutinamento della masnada PdL, e che quindi avrebbe buon gioco a ribadire la necessità di un governo stabile/blindato, e all’occorrenza di “responsabilità nazionale”, per la prossima legislatura. Secondo: Bersani, che è organico al progetto lib-lab (molto lib e poco lab) impostato da Prodi ed estremizzato da Monti, se ne avvantaggerebbe in quanto leader del partito di maggioranza relativa. Terzo: la definitiva disintegrazione del PdL odierno, che ormai è solo d’intralcio e che sta diventando sempre più inaffidabile a causa delle faide interne, libera Berlusconi dall’ingombrante presenza dei cortigiani del passato, facilitandolo nell’atteggiarsi a demiurgo di un soggetto nuovo. Per il quale, nella congiuntura politica attuale, una sconfitta elettorale sarebbe così annunciata da non costituire una tragedia, ossia una delegittimazione completa e irreversibile.
Inizia ad essere chiaro, il disegno? Chi avesse dei dubbi sulla disponibilità del Cavaliere a piegarsi alle strategie altrui, è invitato a ricordarsi che il precedente c’è già. Ed è tanto smaccato da risultare indiscutibile. Basta riandare a un anno fa, quando lui si fece da parte, con sorprendente arrendevolezza, spianando la strada a Monti. Questa levata di scudi al Senato, inoltre, mira a restituire un pizzico di (finta) autonomia al PdL, per provare a blandire il suo elettorato delusissimo e spingerlo a un rinnovato consenso, evitando che si rivolga altrove e in particolare al M5S.
Insomma: far cadere il governo sarebbe il canto del cigno – o piuttosto l’estremo starnazzare del pollo – del vecchio PdL. Una rissa finale che si risolve in un massacro suicida. Come è logico in una guerra che non ha più bisogno di quella compagnia di ventura mal assortita, zeppa di ex An a fine carriera e di ex Forza Italia a contratto scaduto, dal momento che ormai può contare su un esercito di gran lunga più disciplinato.
Nessun commento:
Posta un commento