mercoledì 11 aprile 2012

C'era una volta...


C'era una volta un albero di nome Memo che viveva in una grande foresta, circondato dai suoi compagni. Era il più vecchio e aveva visto tante cose nel corso della sua vita. Aveva persino visto passare di là, tanto tempo prima il mitico Giuseppe Garibaldi che partiva alla volta della Sicilia per unificare l'Italia. Lo aveva visto con la sua giubba rossa e l'inconfondibile foulard dello stesso colore, simbolo di libertà e di uguaglianza.
I suoi amici alberi erano ancora piccoli quando ciò avvenne e molti di loro oggi sono ormai morti, tagliati dall'opera dell'uomo per costruire una delle tante strade che unificarono il territorio italiano nel corso degli anni. Asfalto al posto della foresta ed ora Memo è lì, su quella piccola collinetta al ciglio della strada che osserva auto e camion passare incessantemente ogni giorno.
E' lì e respira l'aria malsana degli scarichi delle auto circondato da altri alberi più piccoli e con meno esperienza.
Delle volte passa le sere a raccontare loro di come fosse diversa l'Italia un tempo. Divisa e conflittuale, dove non esistevano le automobili, il cemento, i palazzi e le grandi città, ma tanta campagna e fieri contadini. Le terre a quei tempi per lo più erano di proprietà di grandi signori che le affittavano ai poveri contadini che con il loro lavoro ed amore le facevano fruttare.
Ricordava le rivolte dei contadini contro i signori e leggi di Roma, il sangue versato da un'Italia che nessuno racconta e che per certi versi solo Memo poteva raccontare.
Il suo sguardo era capace di andare oltre la valle e ricordava quando l'acqua dei fiumi era ancora pulita, quando gli uccellini si posavano sui suoi rami a nidificare. Quanti pochi ne erano rimasti! Li aveva visti diminuire anno dopo anno e non sapeva darsene una ragione.
Alcuni dei suoi compagni proponevano soluzioni fantasiose. Ma Memo lo sapeva. L'Italia era cambiata e la natura aveva pagato il suo pegno.
Aveva dovuto sopportare anche una miriade di incendi che avevano ucciso tanti suoi compagni e lui aveva resistito grazie alla forte corteccia. Ricordava il caldo infernale, gli animali che scappavano, il suolo infuocato. E soleva raccontarlo ai suoi attuali giovani amici, che quasi non credevano alle sue parole, ma che ben presto avrebbero dovuto farlo. Gli incendi nel bosco erano purtroppo una triste ricorrenza.
Memo non sapeva a chi dare la colpa. Se alla natura stessa o all'uomo. Sapeva soltanto che quando ciò avveniva, era come precipitare all'inferno.
Aveva pianto lacrime amare per questo e visto morire tanti compagni. Ma lui era ancora lì.
Testimone di un'età ormai andata, ma che continuava a vivere nel suo cuore.

(Antonio Donato)

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