sabato 21 aprile 2012

I cattivi maestri.


E' indubbio che il momento che stiamo vivendo rappresenta uno spartiacque della Storia.
I cambiamenti profondi subiti dal sistema sociale ed economico dalla caduta del muro di Berlino ad oggi stanno rapidamente ridisegnando gli assetti complessivi del mondo moderno in maniera irreversibile e ancora ampiamente imprevedibile.
L'ingresso sulla scena mondiale di quella follia collettiva che è passata alla Storia con il nome di globalizzazione ha rappresentato una vera e propria rivoluzione economica che non ha ancora esaurito i suoi effetti, molti dei quali ancora imprevisti e imprevedibili.
La partita che si sta giocando in questi anni è immensa.
E la posta in gioco altrettanto importante.
Da un lato assistiamo ad una concentrazione della ricchezza e del potere economico (che corrisponde con quello militare e politico) in pochissime mani. Si stima che attualmente il 2% della popolazione mondiale detenga il 58% della ricchezza complessiva del pianeta. Una mostruosità che nemmeno i più ferventi e integralisti sostenitori del capitalismo all'inizio del 900 potevano neanche immaginare e sognare. Dall'altro oggi la disparità sociale e l'esclusione sono una caratteristica portante del mondo della grande finanza, delle multinazionali e delle banche.
Con la progressiva erosione della “funzione” degli stati nazionali, delle prerogative e della sovranità di questi ultimi a vantaggio di organismi sovranazionali (politici ed economici), quello che restava delle regolamentazione dei mercati e dell'intervento statale nell'economia, ha finito per essere polverizzato nel corso dell'ultimo trentennio.
Ci è stato detto per anni e anni, incessantemente, con martellante perseveranza, di quanto dannoso fosse l'intervento statale in economia, di quanto dannosi fossero i lacci e lacciuoli di controllo sul mercato, di quanto improduttivo e nefasto fosse lo stato sociale e le sue garanzie. E questo mantra è stato recitato con una perseveranza che ha dello stakanovista fino a convincere tutti, dai cittadini agli addetti ai lavori, che il mercato fosse una entità quasi mistica, sovrannaturale, perfetta di per sé e che l'intervento di qualsivoglia attore nei magnifici e progressivi suoi meccanismi avrebbe rappresentato un intromissione sacrilega e blasfema e ne avrebbe minato la perfezione divina, rendendolo inefficace, iniquo e soprattutto destinato ad incepparsi.
E l'illusionismo di massa è riuscito alla perfezione. Perchè si è riuscito a far passare come naturale un concetto aberrante che è quello che una maggiore libertà e indipendenza dei mercati avrebbe significato una maggiore libertà e indipendenza dei popoli. Per tutti i popoli, anche quelli più poveri, che con il liberarsi finalmente delle portentose forze del mercato libero, anche laddove fino a poco tempo prima regnava l'ateismo pianificatore socialista, avrebbero giovato di una ricchezza e di una prosperità senza precedenti.
Guardatevi intorno.
Dal 1989 in poi abbiamo assistito silenti e completamente inconsapevoli alla più grande rapina collettiva della storia. Uno sparuto gruppo di illuminati (il termine non è a caso) si sono gradualmente impossessati della ricchezza mondiale defraudando l'intero pianeta di risorse, denaro e opportunità. Per non parlare dei danni all'ambiente che il divin mercato ha causato e causerà fino a condurci sull'orlo di una crisi ecologica ben più grave e drammatica di quella economica che stiamo vivendo.
E come al solito l'inganno è avvenuto attraverso le parole. Attraverso l'ideologia. Paradossalmente, in quello che ci hanno descritto come il mondo post ideologico, è proprio attraverso un gioco di parole (quello che è appunto una ideologia) che ci hanno rubato il futuro da sotto il naso.
Ci hanno parlato dello Stato come di qualcosa di malvagio, di corrotto, di corruttore, come un freno all'economia, come un usurpatore, un incallito rapinatore delle fortune private e allo stesso tempo ci hanno descritto il mondo dei privati e delle aziende, come il mondo delle opportunità, della libertà, della giustizia e del benessere e che dare in mano a questi incalliti filantropi del genere umano le banche, le aziende, i servizi, la moneta, il territorio, le nostre vite, tutti i problemi si sarebbero risolti da sé. Ci hanno descritto il mondo del libero mercato come il mondo ideale e ci hanno convinto a consegnare in mano ai privati via via sempre più servizi, più infrastrutture, più aziende, via via sempre più fette della sovranità statale (da quella monetaria a quella del territorio). Ci hanno convinto che statale significava spreco, ruberia, clientelismo, inefficienza, illibertà, galera. E sfruttando l'impatto emotivo sulla popolazione dei danni reali delle inefficienze e degli squilibri causati da apparati burocratici statali (alimentati dal cancro della partitocrazia e delle mafie), hanno convinto tutti che decretare la fine degli stati sarebbe stata la soluzione di tutti i mali della società. E oggi ci ritroviamo a subire tutte le inefficienze e le brutture dei sistemi burocratici statali, senza il benchè minimo vantaggio. Perchè le cosiddette privatizzazioni, in tutto il mondo, non hanno mai rappresentato una reale opportunità per i cittadini per aumentare il proprio benessere e la propria libertà, ma soprattutto non hanno mai risolto i veri problemi rappresentati dai quei carrozzoni burocratici e lottizzati che sono gli apparati statali.
Sull'altare della libertà e del libero mercato sono state sacrificate solo le proprietà e le ricchezze pubbliche, mentre sono rimaste sul groppo delle popolazioni tutte le inefficienze e gli sprechi degli apparati statali.
Si perchè nell'illusionismo delle parole si sono dimenticati di dirci e noi abbiamo colpevolmente dimenticato di ricordarci che Pubblico, Statale, significa prima di tutto popolare, di proprietà collettiva. Un patrimonio pubblico è di tutti, non di qualcuno. Un'azienda pubblica è di tutti, non di un dirigente, ma anche di chi vi lavora.
Ci siamo dimenticati (e ci hanno convinto a farlo) che lo Stato sono i cittadini che vivono all'interno dei suoi confini. E ci siamo dimenticati (e ci hanno convinto a farlo) che se uno Stato è inefficiente, sprecone, clientelare, che fa funzionare male le proprie aziende, che distrugge il proprio territorio con politiche assurde, se è uno Stato oppressivo, antidemocratico, che scende a patti con la mafia, che uccide i propri cittadini in stragi impunite, che dichiara guerre senza autorizzazioni parlamentari, che viene travolto dagli scandali, dalla prepotenza partitica, non vuol dire che è lo Stato in quanto tale che non funziona, ma è la democrazia così come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi che non funziona. Che è di democrazia reale che ci sarebbe bisogno e non di smantellare l'istituzione che dovrebbe incarnarla e renderla operante.
Ci hanno così convinto che bisognava limitare l'invadenza statale nella nostra vita (economica e sociale) per risolvere i problemi della nostra vita quotidiana. Mentre veniva limitata proprio la democrazia.
Se solo qualcuno ci avesse spiegato che bastava riformare la democrazia, forse avremmo evitato tanta sofferenza.
Ma forse mi sbaglio. Forse tanti lo hanno detto, ma nessuno l'ha capito. O forse nessuno ha mai suggerito le soluzioni adeguate per riformare la nostra democrazia. O forse non si è avuto il coraggio di farlo. O forse l'opportunità.
O forse non è nemmeno della parola riformare che avremmo avuto bisogno. Ma di una parola ancora più chiara e inequivocabile.
Rivoluzione.
Ma forse anche questo ci era stato suggerito.
Diciamocelo chiaro.
Abbiamo seguito i maestri sbagliati.
Ma, i cattivi maestri, rappresentano solo il 2% di tutti noi. Vogliamo continuare a seguirli?


(Francesco Salistrari)

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