di Francesco Salistrari.
Ho ancora le orecchie che rimbombano della retorica del
neo-premier Enrico Letta nel suo discorso di presentazione
alla Camera. Ho ancora nelle orecchie le “promesse” e gli impegni presi davanti
agli italiani nel chiedere la fiducia ad un parlamento che dopo l’elezione di Giorgio Napolitano, magicamente, sembra non più diviso. E non posso che
farmi una risata.
Sembrava di assistere al comizio di una campagna elettorale
e non al programma di un governo che chiede la fiducia di una Camera. E non
posso non notare come moltissime, se non tutte, le proposte avanzate mancano,
nei fatti, di qualsivoglia copertura finanziaria, a meno che l’uomo del Bilderberg non abbia la capacità di
negoziare a Bruxelles condizioni
talmente favorevoli all’Italia da permettere un’espansione (impensabile) della
spesa pubblica del nostro paese.
Oggi, però, voglio concentrarmi su uno solo dei temi
affrontati ieri dal premier Letta nella presentazione del programma di governo
alla Camera: quello dell’abolizione dei
finanziamenti pubblici ai partiti.
Argomento spinoso e che il dibattito pubblico operato
trasversalmente dalle forze politiche soprattutto in questa campagna elettorale
a causa della propaganda martellante del Movimento
5 Stelle, ha appiattito la
discussione sull’equazione, entrata a far parte ormai del senso comune,
finanziamento pubblico = male assoluto. Un’equazione dannosissima e che
inconsapevolmente anche le parti sane della società di questo paese hanno fatto
propria senza peraltro intavolare una seria e circostanziata discussione sul
tema.
E’ evidente che il finanziamento prima e rimborsi poi, hanno
dato adito ad escalation corruttive nella gestione finanziaria
dei partiti e che si sono avuti enormi e ingiustificati introiti che ledono
l’immagine stessa della legittimità politica dei partiti italiani. E’ indubbio
che i casi di abuso e di mancanza di trasparenza, sia nei bilanci sia nelle
voci di spesa dei partiti, abbiano ingenerato un risentimento popolare molto
forte. E’ indubbio che la martellante propaganda per l’abolizione dei rimborsi
elettorali operata dal Movimetno 5 Stelle, fin dalla sua nascita, abbia fatto
nascere un fronte molto amplio di dissenso all’interno della società italiana
nei confronti del finanziamento pubblico della politica.
E’ chiaro che è necessaria una seria rivalutazione di metodi e modalità del finanziamento, con un loro pesante
contenimento. E’ chiaro che è necessaria una vera trasparenza dei bilanci dei partiti ed un controllo super partes degli stessi da parte di organi indipendenti che ne certifichino
la correttezza e ne confermino la trasparenza. E’ altrettanto chiaro che questo
possa avvenire solo attraverso una seria
riforma sia dei partiti stessi e
delle loro regole di funzionamento interno (compreso il Movimento 5 Stelle),
sia delle modalità di accesso ai finanziamenti pubblici.
Ma da qui a dire che togliendo tout court tali finanziamenti,
si moralizzi la vita politica del paese e si ottengano risultati positivi nel
funzionamento stesso dei partiti e della selezione della classe politica, ci
passa un mare.
Quando si parla di abolizione del finanziamento pubblico ai partiti,
assecondando un antistatalismo che è ormai entrato a far parte della cultura
politica di questo paese anche laddove l’azione e il sostegno statale appaiono
necessari e ineliminabili, si commette un errore fondamentale nella
considerazione dell’importanza del finanziamento della politica. Che deve essere pubblico. E questo sia da
un punto di vista costituzionale (art.3 e 49), sia da un punto di vista
sostanziale.
E’ un fatto assolutamente innegabile che l’azione dello Stato nel “[…]rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese (art.3)” e garantire il diritto alla libera associazione in
partiti per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale (art.49)”, non può prescindere da un contributo, anche di ordine
economico, mirato a favorire, liberare e garantire la concreta partecipazione di TUTTI i cittadini italiani alla politica
democratica nazionale. E’ questo il compito principale e fondamentale del
finanziamento pubblico ai partiti.
Che il finanziamento pubblico ai partiti abbia permesso
dinamiche corruttive e degenerative, non sposta di una virgola il discorso
sull’assoluta importanza di tale strumento. Non si può buttare il bambino con
l’acqua sporca.
Eliminare il contributo statale finanziario atto a garantire l’attività politica dei partiti e
dei movimenti sociali e limitando il finanziamento degli stessi ai soli
contributi privati (sia collettivi, cioè vale a dire dei tesserati che di
singoli cittadini, fondazioni, imprese ecc.) è un errore madornale e
sostanzialmente antidemocratico, che rischia di mettere a serio rischio sia
l’esistenza stessa di determinati partiti, ma soprattutto la loro imparzialità
rappresentativa.
Lasciando al solo finanziamento privato il compito di
permettere la copertura delle spese necessarie alla vita di un partito
(mantenimento sedi, attività elettorale, assistenza e attivismo sociale,
attività culturale ecc.) pone dei seri rischi sia nell’ordine della selezione
della classe politica, sia nell’imparzialità dell’operato della stessa. E
questo, tra l’altro, è un problema già ben presente nelle dinamiche partitiche,
laddove l’ingerenza dei finanziatori delle campagne elettorali di determinati
personaggi politici già oggi rappresenta un fattore non di poco conto nelle
dinamiche decisionali e nella qualità e nell’indirizzo delle politiche
sostenute e avallate. Questo per dire semplicemente che se esiste davvero un
problema di rappresentatività democratica dei partiti, questo non è certo
determinato dal finanziamento pubblico, bensì esattamente all’opposto da quello
privato.
Per cui, sarebbe doveroso un dibattito pubblico serio e
approfondito sulla dinamiche di finanziamento delle formazioni politiche in
questo paese e non continuare ad alimentare quella che appare oggi come una
“caccia alle streghe” per cui il finanziamento pubblico ai partiti viene
indicato come il male e la causa maggiore della deriva partitica a cui
assistiamo, con tutte le conseguenza che da essa derivano.
Il danno maggiore che è stato compiuto dal Movimetno 5
Stelle sul tema è quello di aver spostato l’attenzione degli italiani dai
“costi della politica” soprattutto a quello del finanziamento pubblico dei
partiti, generando una complessa e articolata deformazione della valutazione
che invece il tema meriterebbe e la completa mancanza di una riflessione seria
sulla problematica, che, ripeto, non può essere liquidata con la semplice
abolizione di questo indispensabile strumento che è capace di garantire a tutti
i cittadini di questo paese di partecipare alla vita democratica della nazione.
Non è possibile accettare che i partiti italiani del futuro
debbano essere “retti” dalla “benevolenza” di ricchi imprenditori (in stile
Berlusconi e Grillo) o limitare le proprie prerogative e possibilità essendo
costretti a trovare le fonti di finanziamento nei soli tesserati o benevoli
elettori. La spirale degenerativa che si ingenererebbe, darebbe modo ai
soggetti privati (comprese aziende multinazionali straniere) di interferire e
influenzare pesantemente la dialettica democratica interna ai partiti, a
cominciare proprio dalla selezione della classe politica. Per cui, andrebbe
operata e al più presto, una serissima rivalutazione e riconsiderazione,
semmai, dei finanziamenti PRIVATI, e non solo di quelli pubblici, ai partiti e
alle formazioni politiche.
Pertanto, in conclusione, ribadisco l’improrogabile
necessità dell’apertura di un grande dibattito pubblico sul tema dei
finanziamenti che faccia chiarezza una volta per tutte e che indichi le
possibili e necessarie riforme atte ad evitare le derive corruttive a cui abbiamo
assistito in questi anni, senza menomare un altro pilastro della nostra
democrazia che è rappresentata, nel bene e nel male, dall’attività e dalla vita
dei partiti.
Ma forse, presumo, è davvero troppo tardi. Visto che questo
governo, mosso e retto da interessi che esulano da quelli del popolo italiano
(se non ve foste resi ancora davvero conto), ha già ampiamente tracciato la
linea di questa ulteriore compressione dei diritti democratici in questo paese.
La speranza è che le resistenze a questa annunciata
riforma, siano più forti delle spinte centrifughe che oggi si agitano sia in
Parlamento che nel paese e diano la possibilità in un prossimo futuro agli
italiani di farsi un’idea più chiara sulla questio
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