Su segnalazione dell'amico Pierluigi, un articolo da Corporate Europe Observatory che ci illustra il prossimo pacco per le democrazie incaprettate dell'eurozona.
Un'offerta
che non si può rifiutare
(traduzione
di Alex, l'asso nella manica)
La scorsa settimana, mentre tutti gli occhi erano puntati sulla crisi di Cipro, due comunicati della Commissione europea sono passati inosservati. Comunicati con cui si intenderebbe estendere il potere della commissione sulle economie degli stati membri. La proposta si riferisce ad accordi vincolanti tra la Commissione e gli Stati membri a proposito delle riforme strutturali neoliberiste, che comporterebbero misure quali ulteriori privatizzazioni, riduzione del tenore di vita e dei salari.
Particolarmente significativa è la proposta sulle riforme strutturali, avanzata in prima battuta l'anno scorso dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. In sintesi, la Commissione richiederebbe agli Stati membri dell'eurozona di firmare accordi bilaterali – sotto forma del cosiddetto "Strumento per la Convergenza e la Competitività" – su una serie di riforme strutturali. Come contropartita lo Stato membro verrebbe ricompensato con incentivi finanziari.
Questo tipo di riforme strutturali sono una parte cruciale del programma neoliberista. Benché la proposta della Commissione non sia ancora chiara in tutti i dettagli, ciò che viene esplicitato chiaramente sono le aree di intervento coinvolte da quelle che, in modo vago, sono definite come 'riforme strutturali': "in particolare misure che riguardino la competitività, che promuovano la stabilità finanziaria e che migliorino il funzionamento del lavoro, del mercato dei beni e dei servizi ". (1)
La realtà è che questo tipo di riforme saranno tutt'altro che blande, come si può ben vedere nei paesi europei - dalla Grecia al Portogallo – assoggettati ai diktat della Troika e alla pressione dei mercati finanziari: esse consisteranno nell'abolizione della contrattazione collettiva, nello smantellamento delle garanzie sul lavoro, nella privatizzazione di servizi pubblici come l'acqua o in ulteriori diminuzioni dei salari del settore pubblico. La logica alla base delle riforme è semplice: tanto l’indebolimento delle garanzie sul lavoro quanto la privatizzazione dei servizi pubblici aumenteranno la quota parte del profitto privato e indirizzeranno l'Europa verso una crescita trainata dalle esportazioni. E’ a questa idea cui si fa riferimento quando si sente la frase "aumentare la competitività Europea". Ed in effetti, per raggiungere tale obiettivo, le élites economiche e politiche Europee stanno attualmente aggressivamente spingendo in direzione dell'abbassamento dei salari e del tenore di vita e dell'apertura di mercati esteri per “esportare” se stessi fuori dalla crisi.
Questo non solo è in linea con gli interessi delle Corporate aziendali, ma anche con l'ordine del giorno del governo tedesco. Nel gennaio 2013 Angela Merkel al World Economic Forum ha richiesto un “patto per la competitività”. Nel discorso di Davos, la Merkel ha esplicitato chiaramente il perché questo tipo di accordi vincolanti si rendano necessari: "L'esperienza politica dimostra che per ottenere delle riforme strutturali è necessario mettere sotto pressione [il sistema N.d.t.]" (2) Insomma pare che, secondo i neoliberisti, solo in tempi di crisi, si manifesterebbe il bisogno di ricercare soluzioni al di là del controllo di quella che essi chiamano la quotidianità politica (N.d.t. il celebre mantra Montiano “Al riparo del processo elettorale”), o di quello che noi comuni mortali chiamiamo democrazia parlamentare. Angela Merkel si riferisce alla 'best practice' (N.d.t. caso esemplare) che ci proviene dalla Germania stessa, in cui l’alto tasso di disoccupazione sperimentato nei primi anni del secolo ha spianato la via alle riforme Hartz del mercato del lavoro, uno dei principali motivi per cui i salari tedeschi non sono successivamente aumentati in linea con quelli degli altri paesi europei negli ultimi dieci anni e che sono alla base del successo tedesco di tipo mercantilista (N.d.t. basato sulle esportazioni).
La Commissione intende accompagnare questo suo tipico approccio – di forzare la mano agli Stati membri in merito agli accordi di politica economica – con degli incentivi finanziari. La Commissione propone agli Stati membri degli accordi su una serie di riforme strutturali in cambio di assistenza finanziaria, ancora non ben definita, ed ottenibile entro un certo lasso di tempo.L'assistenza finanziaria - che in ogni caso è probabile risulterà piuttosto limitata – potrà essere sospesa o addirittura oggetto di richieste di rimborso qualora gli Stati membri non dovessero riuscire a raggiungere gli obiettivi concordati. Questo mix di forzature e aiuti finanziari - il bastone e la carota - (N.d.t. aridaiie con la carota...) si spiega se interpretata come una concessione[N.d.t. di facciata] alle rivendicazioni dei così detti progressisti ‘Eurofavorevoli’ ed alle loro richieste di “più Europa” da perseguirsi tramite l’instaurazione nell’Eurozona di capacità finanziarie comuni.
Non è ancora ben chiaro quanto “volontari” saranno questi accordi. Al momento gli accordi sono stati progettati per quei paesi attualmente non soggetti all’ 'amorevole durezza' della Troika od ai piani di azioni correttive previsti dalla procedura per gli squilibri macroeconomici. E' molto probabile che la Commissione troverà un modo per forzare la mano o addirittura costringere gli Stati membri a stipulare gli accordi. A tal proposito molto istruttivo risulta il seguente eufemismo (N.d.t. Eufemismo per “intimidazione mafiosa” presumo) "L’impiego dello strumento di convergenza e competitività dovrebbe venire sollecitato ad uno stato Membro tramite un “invito” ad utilizzarlo". Probabilmente proprio quel tipo di 'invito' che sarebbe molto imprudente rifiutare.
In soldoni, questi contratti minano ulteriormente il processo decisionale democratico. Sebbene si ipotizzi che i parlamenti nazionali abbiano voce in capitolo nella fase di discussione degli accordi, una volta che lo Stato interessato ha raggiunto l'accordo, una qualsiasi successiva deviazione dal percorso concordato, per esempio, a seguito dell’istaurarsi di una nuova maggioranza parlamentare, può comportare la perdita o addirittura la richiesta di rimborso del contributo finanziario. Inoltre la scelta del tipo di riforme strutturali su cui i parlamenti possono esprimere volontà di 'accordo' non sarà comunque di loro pertinenza. Dalle raccomandazioni della Commissione specifiche per singolo paese che stanno alla base degli accordi, ci si rende conto della loro matrice neoliberista. La partecipazione dei parlamenti nazionali è richiesta quindi più per dare una parvenza di legittimità al processo che non per intraprendere un qualsivoglia vero processo democratico.
Finora nessuna decisione è stata presa, ma questi 'accordi' saranno un importante oggetto di discussione in occasione del vertice UE di giugno. Dopo il Six Pack e il Fiscal Compact che hanno imposto dei limiti molto stringenti al processo decisionale democratico a riguardo dei bilanci nazionali, anche quest’ultimo si configura come un altro tentativo di limitare direttamente e influenzare le politiche economiche a livello europeo e, in particolare, di rafforzare ulteriormente la Commissione europea, già di per sé una delle istituzioni con la minor legittimazione democratica esistenti in Europa.
Note:
(1). Towards a Deep and Genuine Economic and Monetary Union; The introduction of a Convergence and Competitiveness Instrument, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, 20 marzo 2013, COM (2013) 165 definitivo, pag. 5.
(2). Rede von Bundeskanzlerin Merkel beim Jahrestreffen 2013 des World Economic Forum di Davos, 24. Januar 2013.
La scorsa settimana, mentre tutti gli occhi erano puntati sulla crisi di Cipro, due comunicati della Commissione europea sono passati inosservati. Comunicati con cui si intenderebbe estendere il potere della commissione sulle economie degli stati membri. La proposta si riferisce ad accordi vincolanti tra la Commissione e gli Stati membri a proposito delle riforme strutturali neoliberiste, che comporterebbero misure quali ulteriori privatizzazioni, riduzione del tenore di vita e dei salari.
Particolarmente significativa è la proposta sulle riforme strutturali, avanzata in prima battuta l'anno scorso dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. In sintesi, la Commissione richiederebbe agli Stati membri dell'eurozona di firmare accordi bilaterali – sotto forma del cosiddetto "Strumento per la Convergenza e la Competitività" – su una serie di riforme strutturali. Come contropartita lo Stato membro verrebbe ricompensato con incentivi finanziari.
Questo tipo di riforme strutturali sono una parte cruciale del programma neoliberista. Benché la proposta della Commissione non sia ancora chiara in tutti i dettagli, ciò che viene esplicitato chiaramente sono le aree di intervento coinvolte da quelle che, in modo vago, sono definite come 'riforme strutturali': "in particolare misure che riguardino la competitività, che promuovano la stabilità finanziaria e che migliorino il funzionamento del lavoro, del mercato dei beni e dei servizi ". (1)
La realtà è che questo tipo di riforme saranno tutt'altro che blande, come si può ben vedere nei paesi europei - dalla Grecia al Portogallo – assoggettati ai diktat della Troika e alla pressione dei mercati finanziari: esse consisteranno nell'abolizione della contrattazione collettiva, nello smantellamento delle garanzie sul lavoro, nella privatizzazione di servizi pubblici come l'acqua o in ulteriori diminuzioni dei salari del settore pubblico. La logica alla base delle riforme è semplice: tanto l’indebolimento delle garanzie sul lavoro quanto la privatizzazione dei servizi pubblici aumenteranno la quota parte del profitto privato e indirizzeranno l'Europa verso una crescita trainata dalle esportazioni. E’ a questa idea cui si fa riferimento quando si sente la frase "aumentare la competitività Europea". Ed in effetti, per raggiungere tale obiettivo, le élites economiche e politiche Europee stanno attualmente aggressivamente spingendo in direzione dell'abbassamento dei salari e del tenore di vita e dell'apertura di mercati esteri per “esportare” se stessi fuori dalla crisi.
Questo non solo è in linea con gli interessi delle Corporate aziendali, ma anche con l'ordine del giorno del governo tedesco. Nel gennaio 2013 Angela Merkel al World Economic Forum ha richiesto un “patto per la competitività”. Nel discorso di Davos, la Merkel ha esplicitato chiaramente il perché questo tipo di accordi vincolanti si rendano necessari: "L'esperienza politica dimostra che per ottenere delle riforme strutturali è necessario mettere sotto pressione [il sistema N.d.t.]" (2) Insomma pare che, secondo i neoliberisti, solo in tempi di crisi, si manifesterebbe il bisogno di ricercare soluzioni al di là del controllo di quella che essi chiamano la quotidianità politica (N.d.t. il celebre mantra Montiano “Al riparo del processo elettorale”), o di quello che noi comuni mortali chiamiamo democrazia parlamentare. Angela Merkel si riferisce alla 'best practice' (N.d.t. caso esemplare) che ci proviene dalla Germania stessa, in cui l’alto tasso di disoccupazione sperimentato nei primi anni del secolo ha spianato la via alle riforme Hartz del mercato del lavoro, uno dei principali motivi per cui i salari tedeschi non sono successivamente aumentati in linea con quelli degli altri paesi europei negli ultimi dieci anni e che sono alla base del successo tedesco di tipo mercantilista (N.d.t. basato sulle esportazioni).
La Commissione intende accompagnare questo suo tipico approccio – di forzare la mano agli Stati membri in merito agli accordi di politica economica – con degli incentivi finanziari. La Commissione propone agli Stati membri degli accordi su una serie di riforme strutturali in cambio di assistenza finanziaria, ancora non ben definita, ed ottenibile entro un certo lasso di tempo.L'assistenza finanziaria - che in ogni caso è probabile risulterà piuttosto limitata – potrà essere sospesa o addirittura oggetto di richieste di rimborso qualora gli Stati membri non dovessero riuscire a raggiungere gli obiettivi concordati. Questo mix di forzature e aiuti finanziari - il bastone e la carota - (N.d.t. aridaiie con la carota...) si spiega se interpretata come una concessione[N.d.t. di facciata] alle rivendicazioni dei così detti progressisti ‘Eurofavorevoli’ ed alle loro richieste di “più Europa” da perseguirsi tramite l’instaurazione nell’Eurozona di capacità finanziarie comuni.
Non è ancora ben chiaro quanto “volontari” saranno questi accordi. Al momento gli accordi sono stati progettati per quei paesi attualmente non soggetti all’ 'amorevole durezza' della Troika od ai piani di azioni correttive previsti dalla procedura per gli squilibri macroeconomici. E' molto probabile che la Commissione troverà un modo per forzare la mano o addirittura costringere gli Stati membri a stipulare gli accordi. A tal proposito molto istruttivo risulta il seguente eufemismo (N.d.t. Eufemismo per “intimidazione mafiosa” presumo) "L’impiego dello strumento di convergenza e competitività dovrebbe venire sollecitato ad uno stato Membro tramite un “invito” ad utilizzarlo". Probabilmente proprio quel tipo di 'invito' che sarebbe molto imprudente rifiutare.
In soldoni, questi contratti minano ulteriormente il processo decisionale democratico. Sebbene si ipotizzi che i parlamenti nazionali abbiano voce in capitolo nella fase di discussione degli accordi, una volta che lo Stato interessato ha raggiunto l'accordo, una qualsiasi successiva deviazione dal percorso concordato, per esempio, a seguito dell’istaurarsi di una nuova maggioranza parlamentare, può comportare la perdita o addirittura la richiesta di rimborso del contributo finanziario. Inoltre la scelta del tipo di riforme strutturali su cui i parlamenti possono esprimere volontà di 'accordo' non sarà comunque di loro pertinenza. Dalle raccomandazioni della Commissione specifiche per singolo paese che stanno alla base degli accordi, ci si rende conto della loro matrice neoliberista. La partecipazione dei parlamenti nazionali è richiesta quindi più per dare una parvenza di legittimità al processo che non per intraprendere un qualsivoglia vero processo democratico.
Finora nessuna decisione è stata presa, ma questi 'accordi' saranno un importante oggetto di discussione in occasione del vertice UE di giugno. Dopo il Six Pack e il Fiscal Compact che hanno imposto dei limiti molto stringenti al processo decisionale democratico a riguardo dei bilanci nazionali, anche quest’ultimo si configura come un altro tentativo di limitare direttamente e influenzare le politiche economiche a livello europeo e, in particolare, di rafforzare ulteriormente la Commissione europea, già di per sé una delle istituzioni con la minor legittimazione democratica esistenti in Europa.
Note:
(1). Towards a Deep and Genuine Economic and Monetary Union; The introduction of a Convergence and Competitiveness Instrument, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, 20 marzo 2013, COM (2013) 165 definitivo, pag. 5.
(2). Rede von Bundeskanzlerin Merkel beim Jahrestreffen 2013 des World Economic Forum di Davos, 24. Januar 2013.
"Dalle raccomandazioni della Commissione specifiche per singolo paese che stanno alla base degli accordi, ci si rende conto della loro matrice neoliberista. "
RispondiEliminasorpresa. La matrice neoliberista è il fondamento della UE, fin dai tempi della CECA e della CEE. Prima ancora dell'avvento "merkel"...leggere per credere
Ciao Barbara... esattamente. La matrice neoliberista è insita nel DNA stesso dell'Unione Europea, che non nasce certamente con l'Euro, ma inizialmente prende le mosse dai paesi aderenti alla NATO. Con la svolta degli anni '70 (monetaria mondiale, deregulation, privatizzazioni ecc.) il "credo" liberista è diventato la politica economica per eccellenza di tutta l'area di scambio rappresentata dall'Europa e dagli USA. Progressivamente tutti i paesi si sono adeguati all'apertura dei mercati e all'integrazione via via sempre più globale degli stessi.
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