Di
Carlo Musilli
Non
solo Cipro, non solo Pigs. Alla bomba europea è collegata almeno
un’altra miccia, la Slovenia. Quella che una volta era considerata
la "Svizzera di Jugoslavia" potrebbe diventare presto il
sesto Paese dell'Eurozona (dopo Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e
Cipro) a chiedere aiuti internazionali. Anche se per le agenzie di
rating i conti di Lubiana sono ancora da serie A (Standard &
Poor's le assegna una A, Fitch A- e Moody's Baa2), in molti a
Bruxelles e dintorni prevedono la necessità di un piano di
salvataggio entro fine 2013.
Martedì
scorso la Banca centrale slovena ha tagliato con il machete le stime
sul Pil di quest'anno, passate da -0,7 a -1,9%. Intanto la
disoccupazione è schizzata al 13,6%, il deficit 2012 è arrivato
oltre il 6% e nel 2013 si manterrà probabilmente oltre il 4%. La
ripresa dovrebbe iniziare lentamente nel 2014 (Pil +0,5%), per poi
accelerare nel 2015 (+1,4%). Ma non è detto, e forse non sarà
sufficiente. Il governatore Mirko Kranjec ha avvertito che "molto
dipenderà da quanto farà lo Stato quest'anno e il prossimo ",
perché "i rischi sono alti".
Quali
rischi? Facile, le banche. In Slovenia gli istituti di credito sono
per la maggior parte controllati dallo Stato e pesano per circa il
130% del Pil. L'anno scorso hanno perso per strada in tutto 606
milioni di euro, 67 in più del 2011. Tanto per cambiare, una fetta
significativa dell'emorragia finanziaria è legata al mattone. Le
banche hanno dispensato mutui e prestiti con eccessiva allegria, poi
i prezzi delle case si sono impennati e molti debitori sono risultati
insolventi.
Il
tutto mentre il Paese deve ancora riprendersi dalla recente crisi di
governo. Pochi giorni fa si è insediato il nuovo esecutivo di
centrosinistra, guidato Alenka Bratusek, che ha sostituito la squadra
del conservatore Janez Jansa, politico di lungo corso ritenuto
“affidabile” dalla cancelliera Angela Merkel, ma sconfitto senza
appello dalla crisi.
Per
far fronte alle difficoltà, Jansa si era attenuto al copione europeo
dell'austerity, fatto di tagli alla spesa e fantomatici pareggi di
bilancio. Alla solita ricetta, però, gli sloveni hanno aggiunto due
ingredienti: una bad bank per assorbire le perdite bancarie e una
holding per privatizzare parte del patrimonio pubblico (misure su cui
i sindacati avevano chiesto un referendum, poi bocciato dalla Corte
costituzionale).
Le
proteste popolari e un'esplicita accusa di corruzione hanno segnato
la fine di Jansa, che nell'abbandonare la nave non è apparso troppo
rammaricato. Ora tocca a Bratusek, che però non sembra in grado di
modificare nella sostanza la rotta impostata dal suo predecessore:
holding e bad bank fanno parte anche del suo programma, insieme alla
riforma delle pensioni e del lavoro. Altri interventi possibili sono
l’aumento dell’Iva, la riduzione del salario dei dipendenti
pubblici e il taglio di circa il 10% del loro organico.
La
matassa è davvero ingarbugliata, eppure fino a qualche anno fa non
sembrava affatto. Dopo l'indipendenza dalla Jugoslavia - raggiunta
nel 1991 -, fra il 1992 e il 2008 il Pil della Slovenia è cresciuto
all'invidiabile media annua del 5,5%. La sbornia da economia di
mercato si è rivelata però difficile da smaltire e l'ondata di
privatizzazioni a rotta di collo ha prodotto una crescita troppo
violenta per essere sana.
Ma
la vera svolta è stata quella europea. Nel 2004 la Slovenia è
entrata nell'Ue e all'inizio del 2007 ha adottato ufficialmente la
moneta unica. Un tempismo disgraziato, visto che meno di due anni
dopo è iniziato il domino delle crisi, dalla Atene fino a Nicosia.
La tempesta ha inevitabilmente oscurato anche i cieli sloveni e le
aziende privatizzate hanno iniziato ad aumentare il proprio
indebitamento con le banche. Ad oggi, gli istituti di credito devono
fare i conti con sofferenze (ovvero crediti impossibili da
riscuotere) pari al 18% del Pil.
Di
qui un dubbio amletico: l'ingresso nella grande famiglia di Bruxelles
ha evitato guai peggiori all'economia slovena o le ha dato il colpo
di grazia? Mettiamo a confronto qualche dato "prima e dopo",
come si fa nelle pubblicità delle diete: il Pil è passato dalla
crescita alla contrazione; il tasso di disoccupazione è aumentato di
oltre il 3%; il debito pubblico è salito dal 35,7 % al 49,5% del
Pil; i tassi d'interesse sui titolo di Stato decennali sono saliti
dal 5,5 al 6,9%. E' migliorato invece il commercio, con il saldo tra
esportazioni e importazioni salito dai -300 milioni del 2006 ai -200
del 2012.
"Non
saremo costretti al bailout - ha detto ancora il governatore Kranjec
-, i sistemi bancari della Slovenia e di Cipro non sono comparabili e
rappresentano proporzioni totalmente diverse dei rispettivi Pil. Le
nostre difficoltà sono state causate da una politica creditizia
eccessivamente espansiva nel periodo dal 2004 al 2008, ma non c’è
nulla che non siamo in grado di risolvere autonomamente".
Intanto, però, "stiamo ancora aspettando che venga presentato
il programma del governo e speriamo che aiuti a stabilizzare la
situazione". Lo spera anche il nostro Paese, visto che
l'esposizione delle banche italiane in terra slovena è di oltre
sette miliardi e mezzo. Altro che
Cipro.
letto e condiviso da: http://informazioneconsapevole.blogspot.it/
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