sabato 1 agosto 2009

Guerra alla Mafia.

Si è sentito sempre parlare di contrasto alla criminalità organizzata, di lotta alla mafia. Da decenni le commissioni, procure e superprocure, sono impegnate nella, appunto, “lotta alla mafia”. Il cancro d'Italia, la ferita sempre aperta, la malattia del nostro paese. I morti ammazzati dalla mafia, dalle mafie, non si contano. Le vedove, gli orfani “generati” dagli assassinii mafiosi sono ormai la norma nelle nostre città. Una mafia spietata, militare, assassina, segreta. Un'associazione ramificata in ogni attività economica, specializzata nel traffico della droga, dei rifiuti, delle armi. Un'impresa sommersa che fattura miliardi e miliardi di euro all'anno (90, fonte ISTAT). Un potere tremendo e spietato che tiene in ostaggio un paese intero, ne determina destino, sviluppo, prospettive. Mafia, antidemocrazia per definizione.

Ma il problema non è solo italiano, naturalmente. La mafia ha mille nomi, mille volti, mille modi di uccidere e di imporre il proprio controllo del territorio, ovunque nel mondo. Dalla Russia ai “democratici” Stati Uniti, dalla Colombia alla “grande” Germania, dall' “aristocratica” Gran Bretagna al “ricco” Sud Africa, dalla “fondamentalista” Turchia alla “grande democrazia” indiana. Ogni angolo della terra, ogni singolo centimetro quadrato calpestato dall'uomo, è stato calpestato almeno una volta anche da un criminale, da un mafioso. Da un uomo a cui non interessa nient'altro se non il denaro, senza valori veri, un uomo senza umanità.

Una struttura sociale come la nostra è basata sul denaro. Vive per e con il denaro. E le belve della mafia insanguinano la storia da millenni e niente sembra poterli fermare. Perché in fondo, la mafia, è insita al denaro, è il denaro stesso. La mafia è struttura di potere inseparabile dal denaro e dal mondo capitalista. E sono i meccanismi propri dell'uno e dell'altro a permettere alla mafia di emergere, affermarsi, dettare legge. La mafia è potere allo stato puro. E' il potere della lupara, del kalashnikov, della paura di una sentenza di morte emessa da un tribunale inappellabile. La mafia è il denaro che prende forma e uccide. E uccide in maniera anche silenziosa, subdola. Non necessariamente con armi e tritolo. Uccide con la droga, con il controllo del mercato del lavoro, con i brogli sui materiali da costruzione, con l'inquinamento dei rifiuti. Una morte strisciante, un'ombra scura che adombra tutti i gangli del mondo economico, li rende suoi strumenti, li annichilisce al proprio volere. Annichilimento e svilimento. Dell'economia e dell'intrapresa economica come momento creativo dell'uomo. Dell'uomo stesso come essere vivente.

E' questa l'atroce realtà della mafia. Una realtà devastante, umiliante.

Ma cosa si fa, nel mondo, per combattere questo flagello, questa malattia, questa sventura inaudita? Gli Stati hanno realmente trovato risposte concrete a questo oltraggio perpetrato ai danni della libertà di ogni persona onesta?

Visti i volumi dei traffici, i morti a migliaia ogni anno, osservate le strade di tutte le città del mondo inondate dalla droga, considerate le cifre eclatanti di truffe e riciclaggio, penso proprio di no.

E l'errore, vero, reale, nella “lotta alla mafia” è che il contrasto nei confronti di questo sistema di potere politico, economico e sociale, viene svolto sempre e solo attraverso gli strumenti (e i limiti) dell'azione giudiziaria. La triste realtà è che la legge, è, nel vero senso del termine, completamente impotente di fronte alla mafia. Impotente perchè svilita dalle connivenze politiche e negli stessi ambienti giudiziari e inquirenti, resa inerte di fronte alle complicità prepotenti a livello sociale, vanificata dall'arroganza e dalla minaccia delle armi. Il contrasto alla mafia, su questo terreno, è pertanto fortemente impari. Perchè non si può credere e pretendere di combattere la mafia con codici, cavilli, codicilli e carte stampate, se di fronte si hanno tritolo, mitra e un esercito spietato e implacabile. Non si può pensare di vincere la battaglia contro la mafia solo nelle aule dei tribunali, quando quella vera, quella decisiva, si combatte per le strade, sui luoghi di lavoro, nelle banche, nelle aziende, nelle borse di tutto il mondo.

In questo modo, lo Stato, in quanto tale, cioè come espressione di una comunità civile e politica, ha già ampiamente perso la guerra.

E questa sconfitta la si vede, e fin quando non si sanno le cose, la si intuisce ogni momento. La si intuisce quando si pensa alla spudorata impunità di alcuni personaggi, alla facilità di vendere e smerciare morte sotto forma di droga in ogni città, in ogni quartiere, fin nello stesso Parlamento italiano. La sonora sconfitta dello Stato la si scopre quando vengono trucidati i suoi giudici migliori, i suoi poliziotti migliori, i suoi cittadini migliori. La si subisce quando, dalla bocca di un pentito, si sente che lo Stato ha fatto un patto con Cosa Nostra.

Un patto.

Un patto con il demonio. Con il male. Con la causa principale dell'arretratezza del Sud del paese, con la causa di un'epidemia sociale che miete vittime ogni giorno che si chiama tossicodipendenza, che abbrutisce e rende vili le vite di intere comunità, che svilisce le famiglie, che mortifica le intelligenze di un intero paese. Un patto con chi disprezza la vita più di chiunque altro, quando una delle ragioni fondanti il patto sociale che da vita allo Stato è proprio quella della difesa dei cittadini consociati.

Ha senso?

Non credo.

Allora non c'è soluzione?

La soluzione è dire basta al buonismo. Basta alla difesa dei principi democratici quando si tratta di questa gente. Basta alla guerra delle carte. Contro la mafia c'è bisogno di una guerra vera. Con le armi. Con la potenza militare.

Basta! I mafiosi si conoscono nome per nome. E sfido chiunque a dirmi il contrario. Si sa chi sono, quali siano i loro traffici, i loro omicidi, i loro interessi. Si conoscono le strategie, i canali, gli intermediari, le teste di legno e le teste di ponte. E direi anche di cazzo.

Si conoscono tutti, uno per uno.

Ecco, non ci sono le prove. E' questo quello che si ci sente dire più spesso. Non ci sono le prove. Ma in una guerra, per sparare ad un nemico, non c'è bisogno di prove, bastano gli ordini.

C'è solo questo da fare allora. Impartire degli ordini. Decidere e agire.

Andare a casa a prenderli, ed eliminarli, uno per uno. Come fanno loro con noi ogni giorno, ogni istante.

Sono ladri. Ladri di vite umane, prima che di denaro e potere.

Sono ladri che vanno impiccati senza processo.

Per questa gente non possono valere le regole democratiche. Non può valere alcun diritto. Alla difesa, al giusto processo, ai diritti umani. Non possono valere le stesse tutele legislative e costituzionali dei cittadini onesti.

Se ne fanno beffe ogni giorno, nei nostri confronti. Nel combatterli, perchè dovremmo ricambiare loro questa cortesia?? No! Giammai! Basta enunciazioni di principio. Basta dire: se scendessimo al livello della mafia, lo Stato di diritto sarebbe comunque sconfitto. E' una sega mentale che non ha senso. Perchè lo Stato di diritto è già palesemente sconfitto. E' sconfitto nel raccogliere per strada l'ennesimo tossico morto d'overdose come sacco da spazzatura. E' sconfitto nell'appalto truccato. E' moribondo quando gli stessi che lo difendono a parole, stanno in realtà dall'altra parte.

Bisogna scovarli tutti. E gli strumenti ci sono. Esistono i servizi segreti per questo. Dovrebbero essere l'estrema risorsa dello Stato nel garantire la sicurezza del cittadino. Non dovrebbero servire gli interessi del politico potente di turno per nascondere le proprie porcherie, o per spiare i cittadini critici, o per passare gli esplosivi ai sicari mafiosi.

Basta!

Ormai, anno 2009, se si vuole davvero parlare di un piano, una strategia, un metodo, per sconfiggere la mafia, non bisogna più pensare ad una “lotta”, che poi è solo giudiziaria, ma si deve parlare di GUERRA. Totale, incondizionata, aperta.

Ed in una guerra aperta raramente si fanno prigionieri.


(Francesco Salistrari, 2009).



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