lunedì 17 agosto 2009

L'albero*.



La ricchezza o la povertà non possono essere calcolate in base a ciò che un uomo possiede, ma in base a ciò che un uomo riesce a provare. Più le sue orecchie sono avvezze a deliziarsi dei suoni misterici del mondo, più i suoi occhi sono avidi di bellezza, più le sue mani sono capaci di tenerezza, più la sua bocca è capace d'amore, più un uomo può essere considerato ricco. Il suo spirito, la sua benevolenza, il suo amore per chi soffre, la modestia dei suoi gesti, la sincerità delle sue espressioni, ecco la chiave per l'eterna beatitudine, ecco la sua ricchezza, illimitata, sconfinata. Sarà suo il regno dei cieli, sarà suo il sogno di un mondo diverso, più giusto, senza sofferenza, senza avarizia, cupidigia, malvagità. Potrà così cullare nell'eternità ciò che nessuno mai ha avuto il coraggio solamente di osare, di provare a pensare, a sperare.
Sta proprio qui la ricchezza di un uomo: nel non possedere nulla all'infuori di se stesso. E' il suo io la sua infinita ricchezza, è la sua voce interiore il suo Dio, è la sua coscienza la sua vera sposa.
Aveva la testa china, mentre faceva questi pensieri. Il deserto dinnanzi a lui, triste e sconfinato, come la sua solitudine, come la sua angoscia. Ma la speranza, la sua ricchezza, ormai l'aveva trovata. Era questa la parola novella, era questo il verbo che avrebbe dovuto diffondere nella sua terra. Non ci sarebbe stato bisogno della scure per recidere i cordoni ombelicali che tenevano legato il suo popolo ai suoi oppressori, no, sarebbe bastato il suo amore e la sua parola, la sua promessa in quella ricompensa eterna che a tutti gli uomini giusti sarebbe senz'altro toccata. Camminava, mentre il sogno cresceva di passo in passo, di pietra in pietra, senza avere il benchè minimo cenno d'inflessione. No, ormai aveva scoperto quale sarebbe stata la sua missione: portare la pace, mentre tutti chiedevano la guerra, regalare l'amore, proprio mentre tutti chiedevano odio e vendetta.
Non si accorse dell'albero fino a quando non alzò la testa dal suolo.
Lo guardò, basso, verde come mai avrebbe potuto essere stato immaginato, brillante, ricco di rami e foglie.
Gli si avvicinò, ne toccò uno dei rami più bassi. Poi all'improvviso si rese conto di quello che stava facendo: stava toccando un albero in pieno deserto!
Che cos'era allora? Il demonio che lo stava aspettando?Che gli tendeva qualche tranello?
Improvvisamente cominciò ad aver paura. La sua solita paura, quella che aveva provato fin da quando era venuto al mondo, quella stessa che lo aveva spinto a sfidare il deserto per comprenderne la ragione, per esorcizzarla, per trovare una spiegazione. Ed ora, proprio quando gocce di speranze gli si erano instillate nel cuore, proprio adesso che era riuscito a trovare la risposta ai perchè della sua terra, proprio ora che poteva donare un sogno ed una speranza a tutto il suo popolo, eccola là nuovamente in agguato, la paura.
La paura che aveva sempre avuto guardando gli occhi di suo padre e credendoli quelli di un altro, la paura di scoprire di essere nato solo per morire.
E l'albero restava lì, immobile, simile alle altre pietre del deserto, vivo, verde, irreale.
Lo guardò attentamente, lasciando al tempo la possibilità di scorrere a suo piacimento. Sarebbe restato lì, fino a che non avrebbe trovato una risposta, fino a che la paura non sarebbe scappata nuovamente via, fino a che il sole fosse sparito dietro la montagna e ricomparso dal lato opposto. Avrebbe lasciato per un attimo la ragione e si sarebbe fatto guidare dalla magia.
"Cosa vuoi da me?" chiese all'albero.
Nessuna risposta naturalmente arrivò, ma già lo sapeva. Non aveva bisogno di sapere subito, no, avrebbe aspettato, senza fretta, senza...paura?
Si sedette alla base del grosso albero verde e ne toccò il tronco nodoso. Per un attimo gli sembrò di toccare le mani di suo padre, poi scacciò quel pensiero dalla sua mente. Non aveva bisogno adesso di pensare a suo padre, che così tanto timore gli aveva sempre destato nel cuore. No, adesso ciò che bisognava fare era restare in silenzio e aspettare.
Chiuse gli occhi e quasi cominciò a dormire.
Anche se aveva paura.
La notte, lenta, cominciò a calare d'intorno e la solitudine del deserto divenne all'improvviso quasi spettrale. Si strinse nella sua veste per allontanare il freddo che stava arrivando insieme alla notte. Si guardò intorno e pensò a ciò che gli era stato detto sul deserto.
E' con la notte che arrivano i fantasmi, è insieme alla notte che scendono i dubbi ad adombrare lo spirito. Nella notte ogni cosa è più fosca, ogni pensiero più tetro, ogni espressione più macabra. Con la notte anche i più bei lineamenti di una donna possono essere cancellati, con la notte cessano i colori, scompare la vita, ogni cosa si nasconde. E' con la notte che calano le più assillanti domande, quelle insolubili, senza risposta, subdole come un senso di colpa. Il rimorso è con la notte che si fa vivo. Il rimpianto è insieme alla notte che appare all'orizzonte. La noia è nella notte che canta la sua nenia. La paura è con la notte che arriva.
I fantasmi.
La notte era arrivata, tra poco sarebbero giunti anche loro insieme a lei.
Cosa avrebbe dovuto fare? Combatterli o assecondarli? Esorcizzarli o averne terrore?

(Francesco Salistrari, 2009)



*Tratto da “La voce di Giuda” di Francesco Salistrari.

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