di Francesco
Salistrari.
La potenza della
propaganda, dell’indottrinamento delle masse, della manipolazione sociale.
Una prerogativa
tremenda, indispensabile all’esercizio di un potere non democratico o
para-democratico.
Lo aveva capito
benissimo il nazismo e attraverso il “genio” di Goebbels ne aveva fatto un’arte, uno strumento imprescindibile
della presa del Nazismo come
ideologia dominante nella Germania degli anni Trenta devastata dalla crisi, ma
non solo in Germania. Lo aveva capito benissimo il nostro Mussolini che fece della propaganda di orgoglio nazionale il
vessillo del proprio credo politico. E funzionò.
Come sempre, il
potere delle parole e della manipolazione
politica della coscienza civile e sociale di un popolo, porta i suoi
frutti.
Il mondo da
allora è completamente cambiato e con la rivoluzione
dei mezzi di comunicazione di massa, iniziata proprio in quegli anni con la
radio e continuata con la televisione (promotrice del boom del
dopoguerra e dell’ideologia ad esso associata), il Potere ha trovato spazi di manipolazione sociale e civile sempre
più grandi. Oggi, nel mondo della grande comunicazione di massa, dopo decenni
di propaganda televisiva, di controllo
sistematico e classista dell’informazione, di promozione della società dei
consumi e di un modello culturale ben preciso, assistiamo impotenti al
dispiegarsi di questa immane macchina di manipolazione collettiva che determina
in parte o in toto la percezione stessa della realtà di intere popolazioni.
Assistiamo in
altre parole alla riscrittura costante della storia, come nei peggiori incubi
orwelliani, dove le parole perdono di senso e locuzioni come “ribelli” e
“terroristi” o “pace” e “guerra” si confondono, diventano concetti liquidi in
cui il Potere gioca la partita della sua egemonia culturale.
Anche negli
anfratti di questa crisi, appare evidente quanto sia potente quest’opera di ideologizzazione latente della società
occidentale e come concetti quali “democrazia”, “mercati”, “debito”, per fare
solo alcuni esempi, vengano manipolati funzionalmente agli interessi del Potere
e alla tenuta del sistema.
Il tutto
comporta un arretramento culturale e
della coscienza critica della società occidentale pericolosa, e questo
arretramento coinvolge anche quei settori sociali e le loro corrispondenti
organizzazioni (partiti, associazioni, intellettuali ecc.) che al contrario
dovrebbero conservare una visione critica della società e dell’economia capace
di fornire quegli (e di porsi come) strumenti necessari di difesa e di
riequilibrio sociale. Invece assistiamo ad uno schiacciamento culturale,
ideologico e politico di questi settori e di queste formazioni sociali proprio
sulle posizioni, le idee, i concetti, le strategie, lo stesso lessico, di
quell’area sociale identificabile con il concetto di potere (in questo caso nel
senso più ampio del termine).
Tale
schiacciamento, nega alla società una visione olistica della realtà culturale,
politica, sociale ed economica e permette al Potere di presentarne una, costruita,
parziale e funzionale ai propri interessi. In questo, l’asservimento e il
controllo generale dei mezzi di comunicazione, laddove solo internet lascia
ancora qualche spazio, garantisce al Potere di “creare” una vera e propria realtà alternativa. Per fare un
esempio, sulla situazione mediorientale, la stragrande maggioranza del popolo
occidentale presenta una visione che si compone essenzialmente in base a tutte
quelle informazioni che il sistema informativo fornisce ed essendo i contatti
diretti con la realtà del Medioriente
sporadici e circoscritti, la coscienza generale sulla situazione di quei paesi
si viene a formare in base ad un’informazione per lo più filtrata, distorta e
funzionale agli interessi dell’apparato militare-industriale dei paesi
occidentali che in quella zona del pianeta conservano immani interessi
strategici. In mancanza di un’informazione alterativa e non filtrata, critica e
oggettiva, la società occidentale ha una raffigurazione della realtà che è
sostanzialmente diversa dalla fattualità delle situazioni presenti in quei
paesi. Questo comporta una generale comprensione delle dinamiche in atto
(politiche, economiche, sociali) veicolata da interessi (economici, politici e
militari) che non sempre, o quasi mai, coincidono con quelli della stragrande
maggioranza della società occidentale. Questo naturalmente avviene in un flusso
che funziona in entrambi i sensi. Vale a dire che la percezione che i paesi
extraoccidentali hanno del mondo occidentale, raramente coincide con la realtà
del mondo occidentale preso nel suo complesso, in quanto le dinamiche
distorsive dell’informazione e la manipolazione collettiva attuata dal potere,
opera anche nei contesti extraoccidentali e non potrebbe essere altrimenti.
In questo modo,
oggi assistiamo in occidente ad una serie di scelte politiche ed economiche, di
fronte alla crisi generale del sistema capitalista, che, attraverso la
manipolazione mediatica e politica, assumono contorni, caratteri e conseguenze
difficilmente percepibili da quella parte maggioritaria della società
destinataria delle stesse. In altre parole, in assenza di una critica complessiva ai meccanismi di
potere, alle dinamiche economiche e sociali e di una capacità di creare canali
informativi alternativi e sostanzialmente liberi da influenze e da interessi
particolari, garantisce una gestione della crisi economica e politica in atto
che in altri frangenti storici al Potere sarebbe stata sostanzialmente
impossibile.
Per scendere nel
concreto delle dinamiche a cui assistiamo, credo, sia utile fare alcuni esempi
provenienti dalla realtà italiana che, in questo, non è dissimile dalla realtà
occidentale, anzi al contrario può fornire degli elementi paradigmatici utili
ad inquadrare la natura profondamente reazionaria e pericolosa di tali
dinamiche.
Un concetto che
viene costantemente veicolato dai mezzi di informazione e dalla politica
“parlereccia” nostrana quando si discute di crisi o di campagna elettorale, è
quello onnicomprensivo di “mercati” e locuzioni come “la fiducia dei mercati”,
“le risposte dei mercati”, “la reazione dei mercati”, nascondono una realtà
oggettiva delle dinamiche economiche che il grande pubblico, in mancanza degli
strumenti necessari ad una valutazione olistica del concetto di “mercati”, ignora completamente. In questo esempio
particolare, in effetti, viene detto molto meno di quello che realmente accade
e se, come ad esempio è avvenuto in questi giorni, un esponente politico
particolare (nel caso concreto Berlusconi)
esprime un concetto o una proposta politica (promessa elettorale) la stragrande
maggioranza delle persone che assistono al “teatrino” della politica accetta
come naturale il fatto che i “mercati” possano “reagire” negativamente (o
positivamente) ad una dichiarazione pubblica di un qualsiasi esponente
politico. Su questo aspetto torneremo dopo, ma quello che mi preme sottolineare
adesso è che tale “accettazione” acritica, è figlia e frutto di anni e anni di
manipolazione culturale operata dal Potere sulla società occidentale che, oggi,
secondo decennio del XXI secolo, è completamente assuefatta ai meccanismi e
agli interessi della sfera “finanziaria” dell’economia e alle sue ingerenze
prepotenti sulla sfera “politica”, vale a dire su quella storicamente deputata
alla composizione di tali interessi. In altre parole, dopo decenni di
“indottrinamento” culturale, alla popolazione occidentale appare normale che
un’entità astratta come il concetto di “mercati”, di cui ignora completamente
meccanismi e funzionamento, possa interferire in maniere così pesanti e
ingerenti nelle dinamiche propriamente democratiche e deputate all’azione
esclusiva della Politica e dell’azione sociale. L’ingerenza della sfera
“finanziaria” dell’economia su quella democratica (politica), appare dunque
oggi come perfettamente normale, addirittura naturale e questo avviene non
tanto perché così dovrebbe essere per garantire un più corretto funzionamento
dei meccanismi di formazione delle scelte collettive, ma esclusivamente perché
la manipolazione culturale operata negli ultimi decenni da parte del Potere ai
danni della società occidentale, ha permesso l’introiezione collettiva del fatto
che i “mercati” POSSANO e DEBBANO interferire con la sfera propriamente
politica deputata alle scelte collettive. Culturalmente, il mercato appare
dunque oggi come una entità dotata anche di una “coscienza politica” e benché tale concetto non risulta palese né
nelle discussioni politiche, né nelle esternazioni sociali, concretamente
l’esplicazione pratica di questa “coscienza politica” che si esprime in una
“funzione politica”, determina degli effetti oggettivi sulle dinamiche
democratiche dei vari contesti nazionali dell’occidente.
In questo senso,
alla maggioranza delle popolazioni occidentali, sfugge un aspetto decisivo che
è quello che possa esistere un ambito esterno alla politica che in definitiva
determina le scelte collettive. Il fatto che tale aspetto decisivo in passato
non sfuggisse collettivamente del tutto, è la chiara dimostrazione che il
Potere attraverso tutta una serie di strumenti, tra i quali quello in questo
scritto analizzato (il sistema informativo), sia riuscito a vincere una battaglia
fondamentale per il controllo sociale tout
court. In effetti oggi proprio quelle formazioni politiche all’interno
delle quali la dialettica evidenzia questi aspetti, non hanno più la capacità
di proiettare all’interno della società determinate consapevolezze, mancando in
questo oltre che in capacità comunicativa de
facto, anche in capacità di analisi e di proposta. In questo quadro, come
nell’esempio analizzato, un aspetto non marginale del problema è che a pagarne
dazio (e pesantemente) sono proprio le capacità democratiche di una società
presa nel suo complesso, in quanto entità quali quelle dei “mercati” hanno
facoltà intrusive e decisionali che scavalcano e travalicano i confini entro i
quali le dinamiche democratiche normalmente possono operare ed esplicarsi.
Se Berlusconi in campagna elettorale
propone la “restituzione” dell’IMU e i “mercati” reagiscono in maniera
negativa, aldilà delle considerazioni di ordine pratico-economico che riguardano
la “fiducia” dei mercati finanziari sulla stabilità dei conti italiani, è
necessaria una analisi di carattere generale (politica) che verte sulla
preponderanza che tali considerazioni operano ai danni delle dinamiche
democratiche interne di un paese o di un’area geografico-economica particolare.
In altri termini, alla società, presa nel suo complesso, mancano completamente quegli strumenti attraverso i quali porre una
critica generale dei meccanismi economico-finanziari che operano nel mondo
“globalizzato” del nuovo millennio, critica che sfoci nell’elaborazione
collettiva di un paradigma sociale ed economico alternativo che metta al primo
posto la predominanza degli interessi e
dei bisogni collettivi (universali), presupponendo non tanto e non solo una
limitazione dell’ingerenza della finanza nell’ambito propriamente politico e
sociale, quanto una sua riconsiderazione
complessiva. In questo senso, infatti, proporre (come molte forze politiche
europee e statunitensi cosiddette “progressiste” fanno) una “riforma” del
sistema finanziario capace di implementare (o reintrodurre) tutta una serie di
controlli, di limiti e di “barriere” (legislative, sociali ecc.) alla
preponderanza dei “mercati”, rappresenta uno sterile tentativo di arginare un
fenomeno economico e sociale che appare radicato
profondamente nel funzionamento stesso del sistema preso nel suo complesso.
In altre parole, pensare di limitare i “mercati” attraverso interventi
legislativi e lasciando intatti altri meccanismi complessivi del funzionamento
del sistema, non risolverebbe alcun problema, ma al contrario accelererebbe il disfacimento del sistema stesso. Quello che le forze che propongono una
riforma del sistema finanziario, non riescono a cogliere, in definitiva, è il
fatto che i variegati strumenti e istituti finanziari di cui il mondo economico
si è dotato nel corso dell’evoluzione economico-sociale dal dopoguerra ad oggi,
restano essenziali per la perpetuazione
del sistema economico stesso e funzionali alle dinamiche ad esso sottese.
In altre parole, per sostenere la crescita economica (e arginare la caduta dei
profitti), prerequisito irrinunciabile del funzionamento del sistema
capitalista, l’economia reale si è dovuta dotare di una serie di istituzioni,
regole, condotte e strumenti finanziari senza i quali la crescita economica non
sarebbe stata possibile. A tal proposito, come non cogliere il nesso causale
che esiste tra alcune scelte propriamente politiche (anche se di natura
economica) e il rilancio della crescita economica mondiale (più propriamente
occidentale) come, ad esempio, l’abbandono negli anni Settanta del sistema monetario di “Bretton-Woods”
che arrivati ad un certo stadio di sviluppo delle forze produttive
dell’occidente si presentava come un ostacolo prepotente e insuperabile
all’espansione di queste ultime? Come ad esempio non vedere, oggi, negli strumenti finanziari cosiddetti “derivati”
il palloncino aerostatico a cui agganciare la crescita di determinati ambiti
dell’economia reale che altrimenti resterebbe ferma? In questo senso, appare
decisamente ingenua la proposta di tutte quelle forze politiche di determinare
una compressione della sfera finanziaria dell’economia a vantaggio di più ampi
margini di manovra di quella politica, di quella sociale o di quella
appartenete all’ “economia delle cose” (reale), perché facendo questo si
rischierebbe di ingrippare l’intero sistema economico. Per fare un altro
esempio concreto, porre oggi dei limiti, come quelli che esistevano un tempo,
alla libera circolazione dei capitali, per quanto possa sembrare perfettamente
ragionevole e auspicabile, considerati gli immani squilibri (e danni sociali)
che tale meccanismo comporta, sarebbe oltremodo dannoso per il funzionamento
complessivo del sistema economico e questo è abbastanza evidente nelle
posizioni espresse dai massimi esperti
di economia a livello mondiale. In altre parole, la riforma del sistema finanziario
mondiale, rappresenta al minimo un’utopia (almeno per gli obiettivi che si
vorrebbero raggiungere), nel peggiore dei casi un danno ancora maggiore dei
problemi che si vorrebbero risolvere.
E’ per questa
semplice ragione che all’interno della società occidentale (ma non solo
naturalmente) sarebbe necessario sorgesse una consapevolezza nuova e diversa,
consapevolezza capace di garantire l’elaborazione di un modello economico alternativo al capitalismo in cui la composizione
degli interessi sia appannaggio non già di entità, istituzioni e formazioni
sociali non democratiche (o para-democratiche), ma sia sotto il controllo effettivo della volontà
democratica collettiva.
Osservare la
realtà oggettiva del mondo nel quale viviamo, al contrario ci porta a registrare
la distanza abissale che si è venuta
a creare tra “volontà collettiva” e “luoghi deputati alle scelte politiche ed
economiche”. In altri termini, assistiamo al completo cortocircuito del meccanismo democratico e questo senza alcuna
reazione da parte del corpo sociale.
E’ in questo
aspetto, come in altri, che si esplicano prepotentemente gli effetti nefasti
della “propaganda ideologica” operata dal Potere sulle società occidentali che
ha determinato una completa e totale sottovalutazione delle conseguenze di
simili meccanismi.
Per fare un
altro esempio che possiamo trarre dalla realtà italiana, pensiamo per un attimo
a cosa, nella coscienza sociale, rappresenta oggi l’Europa in quanto “entità economica” (moneta unica, mercato
integrato, libera circolazione di capitali, merci e fattori produttivi).
Nella stragrande
maggioranza del popolo italiano, l’Europa non è neanche interiorizzata. In
altre parole, la maggior parte dei cittadini italiani, quando parlano di Europa non sanno nemmeno di cosa stanno parlando,
confondendo e fondendo in maniera arbitraria aspetti folkloristici, filosofici,
culturali, economici, sociali, politici e finanziari, senza la benché minima
capacità di analizzare organicamente cosa si nasconda nella realtà oggettiva
dei fatti dietro il concetto di “Europa”. In questo senso, la manipolazione
mediatica, ancora una volta ha determinato una distorsione profonda della percezione della realtà nella quale la
popolazione italiana si trova a vivere quotidianamente. Assistiamo cioè ad una
operazione che si è configurata in
maniera duplice: da un lato per anni si è veicolata l’idea della indispensabilità dell’entrata del
nostro paese nella moneta unica e della sottoscrizione dei Trattati Europei e a
sostegno di tali tesi il dibattito pubblico è stato completamente compresso e
limitato dalla parzialità sia delle informazioni fornite agli italiani, sia
dalla capacità di analisi delle formazioni politiche presenti nel panorama
italiano di quegli anni; dall’altro lato la meccanica delle scelte che hanno
condotto all’entrata del nostro paese nella moneta unica e nei Trattati
Europei, si è configurata eminentemente come antidemocratica in quanto il popolo italiano non è mai stato
chiamato ad esprimersi in merito all’adozione delle misure e alla
sottoscrizione degli accordi di ambito europeo. Il fatto che tali operazioni
(mediatico-politiche) siano state condotte in assenza di un dibattito pubblico
e democratico di qualche valenza concreta, è ancora una volta la chiarissima e
lapalissiana dimostrazione di come il sistema del Potere abbia completamente
manipolato la percezione della realtà oggettiva e con essa la concretizzazione
politica e sociale di quella al contrario necessaria valutazione delle
conseguenze che l’entrata del nostro paese in Europa avrebbe determinato. Mentre
un’analisi critica, attenta e puntuale, su tutti i pro e i contro di tale
ingresso, avrebbe permesso alla coscienza collettiva del popolo italiano di
formarsi un’idea precisa di cosa tale scelta avrebbe determinato e incontro a
quali conseguenze saremmo andati. In questo contesto ancora una volta si sono
inserite volontà extrapolitiche e
antidemocratiche che hanno pesantemente determinato l’evoluzione sociale e
politica di un paese (ed in questo caso specifico di un’intera area
geografico-economica) per un intero decennio con conseguenze di lungo periodo.
In concreto, oggi, con l’esplodere della crisi
mondiale, ed in particolare in Europa di quella dei “debiti sovrani”,
appaiono abbastanza palesi (come evidenziato già in studi economici precedenti
alla formazione dell’ “area Euro” completamente ignorati a suo tempo) per paesi
come i cosiddetti PIIGS, l’aggancio
valutario ad una moneta più forte e l’integrazione economica con paesi con
fondamentali diversi (inflazione, mercato del lavoro, sistema formativo ecc.)
abbia determinato l’aggravarsi di problematiche relative alla sostenibilità dei
debiti pubblici, l’acuirsi degli squilibri esistenti tra i vari paesi e favorito
l’esplosione della disoccupazione, della precarietà e dell’impoverimento del
tessuto sociale e produttivo dei paesi più deboli. In questo senso, in mancanza
di un dibattito democratico serio, libero e critico sui meccanismi che
sottendono al funzionamento del sistema economico preso nel suo complesso e sui
meccanismi particolari dell’area Euro e dell’Europa dei Trattati, la società
europea ha completamente subito una
serie di scelte e di provvedimenti che esulano completamente dalla difesa dei
propri interessi collettivi, di tutela dei propri diritti, della propria
capacità di partecipare alle scelte decisionali e al governo della propria
economia.
In altri termini,
molto semplicemente: democrazia.
La messa in
discussione della modellistica dello Stato
Sociale (venuta fuori dalla seconda guerra mondiale come contraltare non
solo economico ma anche ideologico al blocco sovietico) è solo uno degli
aspetti della più generale messa in discussione da parte del Potere della
democrazia come forma di governo in quanto tale. In questo senso, la
costruzione europea, appare come l’esempio più lampante di questa volontà
politica extrapopolare e che risponde alle necessità, alle prerogative e agli
interessi di una piccola fetta della
popolazione occidentale che detiene il controllo dei mezzi di informazione,
degli apparati militari e repressivi degli Stati, dei sistemi educativi, dei
centri finanziari (banche, multinazionali, borse valori ecc.), e che influisce
pesantemente e determina i meccanismi di selezione delle classi politiche e
dirigenti dei vari paesi, sul reclutamento e sull’utilizzo delle
intellettualità e controlla il mondo della cultura (scuole, università,
istituti di ricerca), che determina il meccanismo di selezione delle priorità
economiche e di programmazione sociale dei vari paesi, che indirizza la natura
e il carattere delle scelte di consumo, che influisce in definitiva, come già
ampiamente affermato, sulla natura stessa della percezione della realtà della
società che controlla.
In mancanza di
una presa di coscienza collettiva,
che nasca dall’interno stesso della società, che si faccia promotrice di una
visione alternativa del mondo, dell’economia, dei rapporti politici e sociali,
delle relazioni internazionali, dei modelli produttivi e di consumo, la presa
ferrea di questo complesso sistema di Potere sulla società occidentale (oggetto
di questa breve analisi) diventerà sempre più stringente e sarà la causa
storica principale del tramonto di
quello che è stato definito fino ad ora il “sistema democratico”.
Quello che
appare evidente è che se in passato, l’esistenza di forze politiche e sociali,
capaci di riequilibrare il sistema sociale ed economico attraverso la propria
azione difensiva e propositiva, ha garantito la concreta democratizzazione (con
variegate sfumature e profondità a seconda dei paesi e dei contesti storici che
si analizzano) di interi ambiti della vita sociale, politica ed economica
dell’occidente, oggi, il loro asservimento
culturale, politico ed ideologico, agli interessi e alle prerogative della minoranza dominante, pone un gravissimo
e immenso problema di tenuta complessiva
dell’ordine democratico occidentale, della capacità di partecipazione
concreta della popolazione alla formazione delle scelte collettive, di
imbarbarimento e appiattimento culturale e sociale, di arretramento sul
versante di diritti e tutele, di abolizione graduale di quelle garanzie
democratiche in merito alla giustizia, di accesso alle risorse, di
compensazioni sociali, di inclusione, di solidarietà.
Oggi, sulla base
delle risultanze oggettive che si osservano nelle dinamiche sociali e politiche
dell’occidente, quello che viene messo
in discussione è precisamente l’evoluzione civile e democratica dell’intera
civiltà occidentale e con essa, nella barbarie, nell’imbrutimento culturale
e sociale, rischia di scivolare il mondo intero, determinando fattori e
squilibri che potrebbero (e stanno mettendo) a serio repentaglio la convivenza
pacifica stessa a livello internazionale.
Il fatto che la
stragrande maggioranza della popolazione occidentale, nonostante gli immani
sacrifici che questa crisi sta ad essa imponendo, non si renda minimante conto dei
rischi della deriva in atto, testimonia, se ce ne fosse bisogno, la gravità
estrema della situazione alla quale, in un modo o nell’altro, va trovato un
argine e un freno e auspicata una completa inversione di rotta.
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