martedì 13 ottobre 2009

Il caos come pretesto.


Trovo incredibilmente assurdo il grado di irriconoscenza che si è accumulato intorno a noi. E' qualcosa di inaccettabile. Il peso dell'inutilità delle proprie azioni diventa difficile da sostenere, a un certo punto. E' come essere preso in una morsa, come essere lanciato nel vuoto attaccato ad un piccolo elastico. Il baging jumping reale è quello a cui siamo sottoposti nella quotidianità. Una quotidianità che si rivela sempre meno coerente con se stessa, con le proprie ragioni. Le persone vivono a contatto, ma distanti, come separate da un muro. La comunicazione avviene per gesti, per istinto, l'uso della parola è ridotto al minimo indispensabile per sopravvivere.

L'uomo oggi parla solo sui luoghi di lavoro. Nelle case ormai non discute più nessuno. Un silenzio tombale è calato sulla società.

Il mondo appare sempre più condannato ad un'innaturale parlottìo tecnico, calato nel silenzio delle anime.

Non si riesce a capire il perché sia diventato così difficile parlare, confessare i propri pensieri alle persone che si frequentano. E' come se un meccanismo del linguaggio comunicativo sia stato danneggiato da un fattore esterno di cui non si conosce nulla.

E' così facile parlare delle cose inutili, raccontare magari minuto per minuto la propria giornata di lavoro, fin nei minimi particolari, disegnando quasi al proprio interlocutore le immagini che si conservano in testa. E' assurda però la mancanza quasi assoluta di capacità descrittiva quando si tratta di parlare di se stessi, delle proprie emozioni, dei propri sentimenti. Diventa davvero difficile capire gli atteggiamenti delle persone.

E' incredibile constatare come sia così facile fraintendere un gesto di affetto, una cortesia, per qualcosa di diverso, di interessato. E' così facile sentire il pregiudizio che accoglie le nostre gentilezze.

Siamo come sospettosi uno dell'altra. La fiducia è diventato un bene realmente prezioso. Una risorsa in esaurimento che presto raggiungerà un picco catastrofico.

Siamo atomizzati, rinchiusi dal proprio egoismo, abbagliati dalla paura di essere raggirati.

Viviamo ogni giorno della nostra vita, guardandoci dietro per scoprire se qualcuno sta seguendoci.

Siamo una società paranoica, in competizione con se stessa, mossa da un malsano interesse composto. Abbiamo perso tutti la capacità di cogliere la profonda spiritualità della realtà, il versante puramente emozionale del nostro essere. Siamo immersi fino al collo nel guazzo della materialità, dell'artefatto. Siamo bambini che giocano con la plastilina, dimenticando che ogni tanto si smette di giocare.

Cammino per strada e vedo facce strane, cupe, quasi rassegnate ad un destino che nemmeno conoscono ma che avvertono. E' come un anatema che ci condanna inconsapevoli.

Avverto un senso di distacco nelle cose che facciamo, che ci diciamo. Un senso di fatalità che ci avvolge. Come se fossimo rassegnati a morire e basta.

Siamo volti indistinti di una folla sterminata di sconosciuti. Ci incontriamo ogni giorno, ci sfioriamo, ci tocchiamo, senza riconoscerci.

Basta un nulla per dimenticare quasi completamente chi si ha di fronte. Come se il passato fosse stato smacinato in una pressa. Simile a una montagna di sassi. Il minimo intoppo nel costruire la propria scala dei valori, mette immediatamente di fronte alla condanna la persona che la pensa diversamente da noi, mentre al contrario se si parla con chi la pensa come noi, si aspetta solo il proprio turno per parlare, senza scomodarsi ad ascoltare, come in un immane congresso politico in cui viene ratificata in plebiscito la linea del partito.

Ci guardiamo negli occhi e siamo capaci di mentirci senza battere ciglio, recitando alla perfezione una parte scritta per noi. Siamo diventati tutti attori, comparse di un dramma che ci avvolge ma non comprendiamo.

Dovremmo riacquisire la capacità di comprenderci l'un l'altro, prima di scadere nuovamente nella barbarie.

Mai come oggi in passato la società è stata così vicina alla propria scomposizione violenta. Siamo sull'orlo di un baratro che non vediamo, perchè nascosto dal velo delle nostre illusioni, dai nostri artefatti e manufatti.

Veneriamo da sempre i nostri manufatti come se fossero dei, rappresentazione di qualcosa di trascendentale, di immanente. Oggi abbiamo fatto di più, abbiamo reso noi stessi il proprio manufatto personale da venerare.

Non comprendiamo, non vediamo, non percepiamo il rispetto per il mondo che ci circonda. Per la natura, per gli altri esseri viventi, per noi stessi. Siamo diventati talmente miopi da scontrarci a testate.

Il mondo è un formicaio impazzito che sta per esplodere.

La cosa che mi rattrista di più e che mi svilisce di più come uomo, come essere pensante, è proprio il fatto che una considerazione del genere viene presa quasi universalmente come la testimonianza di uno squilibrio mentale. Le mie sensazioni, il mio modo di comprendere la realtà, i rapporti, le persone, le amicizie e gli affetti, vengono percepiti quasi come un delirio, e non come una presa di posizione recisa nei confronti di un modo di essere che ci ha drogati e condannati a dipendere da qualcosa che non sarebbe assolutamente indispensabile alla nostra esistenza.

Facciamo a meno dell'essenziale in maniera così spontanea da rendere il superfluo assolutamente indispensabile.

E' questo il paradosso più assurdo nel quale l'umanità si è gettata a capofitto senza rendersene conto.

Un paradosso che è destinato a condannarla all'estinzione.


(Francesco Salistrari, 2009)

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