Abbiamo
assistito in questi giorni a movimenti convulsi nel mondo “a
sinistra del PD”, sfociati nel probabile scioglimento del neonato
movimento “Cambiare si può” e nella formazione di un cartello
elettorale di partitini (PRC, PdCI, IdV, Verdi) sotto la candidatura
di Ingroia.
E’ l’ennesima riproposizione del solito copione,
già mille volte recitato: a ridosso delle elezioni c’è sempre
qualcuno che propone la formazione di una lista capace di riunificare
quel che resta dell’arcipelago della sinistra alternativa (stavolta
mettendoci in mezzo anche l’IdV pur di raccattare i voti necessari
a superare lo sbarramento), e di riconnetterlo alle tante realtà di
cittadinanza attiva nella società.
Basterebbe
chiedersi come mai ne è disconnesso per capire quanto sia inutile un
tale lavoro. E invece ogni volta la stessa storia di tentativi finiti
male: abortiti ancora prima di nascere o trasformati in carrozzoni ad
uso dei capibastone dei vari partitini, destinati a disintegrarsi
(fortunatamente) immediatamente dopo le elezioni.
Lo scopo
dichiarato di questi tentativi di aggregazione è sempre lo stesso:
costruire una sinistra vera, buona, giusta, capace di rinverdire i
suoi antichi ideali, che mandi in soffitta quella falsa, cattiva,
ingiusta, traditrice, cioè quella che effettivamente esiste
oggi.
Quasi sempre tutto ha inizio dall’iniziativa di brave
persone che si rendono disponibili a coprire col proprio volto pulito
queste basse operazioni elettorali.
Sarebbe molto meglio se,
invece di continuare in questi tentativi, chi voglia costruire un
movimento di riscatto popolare, di lotta anticapitalistica, di
riconquista dei diritti, prendesse atto della realtà politica
presente in Italia e nella maggioranza degli altri paesi avanzati: la
definitiva trasformazione dell’intero ceto politico (di destra e di
sinistra) in un gruppo di funzionari delle oligarchie nazionali e
internazionali, la cui unica funzione (ben pagata) è quella di
gestire la politica in modo da ottenere ciò che tali oligarchie
vogliono: la distruzione dei diritti sociali, del livello di vita
popolare, della civiltà sociale dei nostri paesi. Il ceto politico
ha assunto il compito di controllare e gestire il disagio e il
dissenso che tutto ciò genera. Destra e sinistra sono totalmente
unificate, da questo punto di vista, e si dividono solo su questioni
secondarie e su problemi di immagine, producendo scontri e polemiche
che funzionano come “armi di distrazione di massa”.
Una
politica di difesa dei ceti subalterni e della civiltà del nostro
paese non può che passare, quindi, attraverso la rottura drastica
con l’intero ceto politico, di destra e di sinistra (sia essa
moderata, radicale, alternativa o vattelapesca).
L’appello
“Cambiare si può” si avvicinava a queste considerazioni, ma la
sua proposta è fallita proprio perché “orientata a sinistra”.
I
promotori speravano di poter dar vita ad una lista elettorale
incentrata su candidati della società civile, ma capace di
coinvolgere anche i partiti, che però avrebbero dovuto fare un
“passo indietro” rinunciando almeno a candidare i proprio
segretari.
Ma se è vero, come è vero, che solo spazzando via
l’intero ceto politico attuale, di destra e di sinistra, ci può
essere speranza per il nostro Paese, come è possibile creare un
movimento politico che abbia chiari questi concetti e allo stesso
tempo si definisca “di sinistra”, o faccia comunque riferimento,
anche solo implicitamente, al mondo della sinistra? Procedere in
questo modo non porterà che alla morte del movimento ed al
ribaltamento di quanto proposto dagli stessi promotori. Il che è
esattamente quel che è successo a “Cambiare si può”, dove
gli aderenti hanno votato a favore della lista Ingroia, nonostante i
promotori fossero contrari*, dato che il magistrato ha fatto
spallucce di fronte alla richiesta di non candidare i segretari di
partito.
Il punto è che, essendo “Cambiare si può” un
movimento di sinistra, gli aderenti ai partiti di sinistra vi si sono
immediatamente tuffati, ed hanno sostenuto gli interessi dei loro
caporioni.
Più in generale, quel che accade in queste realtà
politiche, è che chi vi aderisce ritiene, ovviamente, che la
sinistra realmente esistente sia meglio della destra realmente
esistente. Dal che discende l’idea che un governo di
centrosinistra, alla fin delle fini, sia meglio, o meno peggio, di
uno di centrodestra.
Così un movimento nato su queste basi,
indipendentemente dalle ragioni e dagli obiettivi dei promotori,
inizia ad avere difficoltà a dire la verità, cioè che la vittoria
di Bersani oppure quella di Monti o Berlusconi sono tutte, allo
stesso modo, disgrazie per l’Italia. Magari differenti negli
aspetti esteriori, ma identiche nella logica economico-sociale e
negli esiti.
Stiamo
dicendo, in sostanza, che la posizione di “Cambiare si può”, e
di tutte le iniziative analoghe, era minata da un’evidente
contraddizione. Da una parte proponeva, giustamente, di porsi
all’esterno dal centrosinistra. Dall’altra non voleva o poteva
rompere definitivamente con esso.
Di qui la posizione ambigua nei
confronti degli “arancioni”, che invece sono pieni zeppi di ceto
politico e non vedono l’ora di aprire il dialogo col PD (e non
stanno nella coalizione di centrosinistra solo perché Bersani li
tiene fuori). L’esito non poteva essere più scontato.
Quanto
agli “arancioni”, non vale la pena di spenderci molte parole:
un’accozzaglia di micropartiti che cercano di mettere assieme i
voti necessari per portare in Parlamento i loro capetti. Senza
ovviamente proporre nulla di alternativo all’austerity, alla
trappola dell’euro, alla dittatura della UE.
Spiace che persone
per bene come Ingroia accettino di far da copertura a queste basse
operazioni politiche. Ingroia sembra il Michael Jackson di
“Thriller”, che trovandosi di fronte ad un gruppo di zombie, si
accorge di essere uno di loro, si pone alla loro testa e ne dirige il
ballo.
Aggiungiamo
una considerazione finale. E’ da decenni che sentiamo parlare della
costruzione di una sinistra che sia finalmente quella giusta, buona,
vera, capace sul serio di difendere i ceti subalterni, l’ambiente,
i diritti.
Di tentativi analoghi a “Cambiare si può” ne
abbiamo visti in numero infinito, grandi e piccoli. Forse al primo o
al secondo tentativo si poteva concedere il beneficio del dubbio.
Oggi ci sentiamo di dire a chiunque pensi di ritentare: “lasciate
perdere”.
*http://www.altratrapani.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=2232:cambiare-si-puo-ha-fallito-e-sinistra-arcobaleno
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