«Tagliate le teste ai vostri
nemici, non per avere nemici senza teste, solo per scoprire quanto
esse siano vuote»
di
Anna Lami
Le
considerazioni che seguono derivano da un bilancio della mia
personale esperienza nella variegata area dell’estrema destra
italiana, dove ho iniziato a militare da giovanissima fino a
diventare, all’età di 20 anni, dirigente di Forza Nuova.
Diedi
le mie dimissioni da tale organizzazione dopo un percorso che mi
aveva condotto da una parte a comprendere il grave errore politico
compiuto in adolescenza e la sostanziale estraneità delle posizioni
rivoluzionarie a tali ambienti, dall'altro lato l'impossibilità di
agire all'interno di tale struttura per cambiarne programmi ed
obiettivi.
Questo
breve scritto si rivolge innanzitutto ai molti giovanissimi che si
avvicinano al neofascismo mossi da sincere aspirazioni di ribellione,
nell'ottica di offrire loro qualche strumento di riflessione e magari
ripensamento. Mi auguro, inoltre, che queste riflessioni possano
offrire quale spunto utile per approfondire la conoscenza dell’area
neofascista tra chi è attivamente impegnato a contrastare la
diffusione delle organizzazioni di estrema destra nel tessuto
sociale.
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Massimo
Fini e Giorgio Almirante
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Le
realtà italiane che si rifanno direttamente ad ideali fascisti sono
molteplici; ancor più numerosi sono i gruppi politici che pur non
rivendicando apertamente l’eredità del ventennio, vi si
riferiscono nelle pratiche e nelle battaglie politiche. Solo per
citare quelle più rilevanti sia per numero di militanti che per
diffusione sul territorio nazionale, troviamo Forza Nuova, Casa Pound
e La Destra.
Ripercorrerne
l’excursus storico-politico sarebbe superfluo, abbondando a
proposito le conoscenze. Maggiormente interessante è sottolineare
che tutti i gruppi neofascisti, oltre alle tematiche più
caratterizzanti come il rifiuto della società multirazziale e
dell’immigrazione, nella propaganda si richiamano ad ideali di
giustizia sociale, anticapitalismo, antimperialismo e spesso
rifiutano la collocazione a destra dello scacchiere politico
definendosi “oltre la destra e la sinistra”, “trasversali”,
oppure “estremo centro alto” (come si autoprofessa CP). Alcuni
settori minoritari arrivano addirittura a qualificarsi come
nazionalbolscevichi o nazimaoisti, senza uscire però dall’impianto
teorico, pratico e simbolico del neofascismo di cui sono parte
integrante.
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Silvio
Berlusconi e Francesco Storace
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Diventa
quindi importante smascherare le tematiche pseudo rivoluzionarie
agitate strumentalmente da questi ambienti, perché è proprio su di
esse che fanno leva per intercettare settori di ribellismo giovanile
e cercare di inserirsi nel malcontento
sociale.
Sull’anticapitalismo
Il
fondamentale motivo di incompatibilità tra una corretta concezione
anticapitalista e quella di derivazione neofascista risiede
nell’analisi dei rapporti economici. La dottrina economica
fascista, infatti, non mira in alcun modo a sovvertire i rapporti di
classe esistenti nel contesto capitalista, quanto piuttosto a
ricomporre i contrasti e le tensioni sociali che da questi rapporti
derivano, in un presunto superamento idilliaco del conflitto
capitale-lavoro “nel supremo interesse della nazione”
(corporativismo). La lotta di classe (dal basso) è considerata
sovversiva perché implica la divisione in seno alla nazione ed al
popolo.
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Un
manifesto di FN Perugia sulla
vicenda dell'omicidio di Meredit Kercher |
Il
neofascismo del dopoguerra non ha apportato dal canto suo nessuna
innovazione sostanziale nell’ambito della lettura dei rapporti
economici, limitandosi al massimo a denunciare l’eccessiva
acquiescenza delle politiche del ventennio nei confronti della grande
borghesia industriale, agraria e latifondista rivelatasi poi
“traditrice” di Mussolini e della patria. Basti pensare che negli
ultimi 60 anni la pubblicistica neofascista non ha prodotto alcuna
analisi rigorosa e documentata sugli effetti reali delle politiche
economiche del regime e sulle condizioni dei salariati nel sistema
corporativo mussoliniano.
Rispetto
alla realtà odierna l’area neofascista ignora, in gran parte, la
struttura e le dinamiche del capitalismo e ne offre una definizione
confusa. Spesso “capitalismo” è utilizzato come sinonimo di
“mondialismo”. Secondo il pensiero prevalente nell’ambiente,
infatti, il capitalismo si concretizzerebbe nel dominio mondiale di
una cricca di usurai dell’alta finanza sui popoli del mondo. Si
tratta di una visione con forti venature complottiste in cui ci si
limita alla denuncia della speculazione finanziaria e del ruolo delle
banche senza assolutamente chiamare in causa i rapporti di
produzione. Non a caso, in quest' area politica trovano moltissimo
spazio le teorie signoraggiste che riconducono tutte le problematiche
socio-economiche, compresa la crisi capitalista attuale, ad un
problema di emissione monetaria da parte di banche centrali in mano
privata (controllate, per taluni, dal complotto tra ebrei, massoni e
finanzieri apolidi).
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Alessandra
Mussolini prima di
dedicarsi alla política |
Il
presunto anticapitalismo neofascista non ha alcun fondamento
scientifico e non è altro che un aggiornamento (approssimativo)
delle tematiche contro le plutocrazie giudaico-massoniche di
mussoliniana memoria.
Sull’antimperialismo
I
neofascisti tutti si definiscono antimperialisti e si dichiarano a
favore dell’autodeterminazione dei popoli. Eppure, cosa c’è di
più contraddittorio tra il richiamarsi più o meno apertamente alle
esperienze totalitarie ed autoritarie del ‘900 e
l’autodeterminazione dei popoli? Sia la politica nazionalsocialista
che quella fascista erano palesemente imperialiste, incentrate su una
visione dei rapporti internazionali che verteva sull’idea di una
continua lotta per la supremazia tra le nazioni, dal sapore
darwiniano. Per giustificare l’espansionismo ed il colonialismo
fascista si pretende di contrapporre una visione “imperialista”
statunitense ad una “imperiale” fondata sulla “volontà di
potenza” e sulla presunta superiorità della civiltà “romana e
cristiana”. Quest’ultima avrebbe svolto una funzione educatrice
nei confronti dei popoli di colore incapaci di evolvere socialmente e
politicamente senza la provvidenziale guida europea. Tant’è che in
più occasioni Forza Nuova ha difeso il colonialismo italiano in
Africa, e non ha fatto mistero di auspicarne una riedizione
aggiornata.
Vera
rimostranza alla base dell’antimperialismo neofascista è infatti
il ridimensionamento del ruolo italiano ed europeo nello scacchiere
geopolitico mondiale a seguito della sconfitta bellica: si rimprovera
infatti alla nostra classe dirigente il perenne atteggiamento di
“servilismo” nei confronti degli Usa. L’antimperialismo
neofascista non è che una reazione alla sconfitta storica subita
dalle potenze dell’Asse nella seconda guerra mondiale ed alla
perdita di centralità degli stati europei. E’ rivolto
prevalentemente nei confronti degli Stati Uniti d’America (pertanto
più che antimperialismo sarebbe maggiormente corretto definirlo
antiamericanismo) in quanto incarnerebbero il nemico che più di
tutti ha contribuito alla sconfitta dell’Europa nazi-fascista, la
“vera” Europa. Dopo il crollo del muro di Berlino, e la perdita
della funzione di argine antisovietico, gli Usa sono diventati per
l’estrema destra il simbolo di tutti i mali contemporanei: il paese
multirazziale per eccellenza, politicamente guidato da lobbies di
massoni ed ebrei che, occupando posizioni chiave dell’amministrazione
americana, ne dirigono la politica.
Di
conseguenza il neofascista condanna le guerre in Iraq, Afghanistan e
Libia soprattutto perché funzionali agli interessi economici e
geopolitici degli Usa e/o di altre potenze occidentali mentre
l’Italia in tali conflitti rivestirebbe un ruolo subordinato non
ricavandone che poche briciole. Inoltre il filo-militarismo tipico
degli estremisti di destra li porta comunque a solidarizzare e
rendere onore ogniqualvolta un soldato italiano perde la vita o viene
ferito in una missione all’estero. Emblematica in tal senso la
campagna di Casa Pound e della Destra di Storace a sostegno dei due
marò italiani che hanno sparato ed ucciso un pescatore indiano lo
scorso anno. Anziché chiedersi come mai i soldati italiani stessero
difendendo gli interessi di una compagnia economica privata, anziché
interrogarsi sull'opportunità di punire chi ha ucciso
immotivatamente un pescatore inoffensivo, hanno invocato la libertà
per i marò giudicando inaccettabile non l’assassinio di un uomo
inerme ma il fatto che il governo italiano non si sarebbe fatto
rispettare dall’India, imponendo l’estradizione dei
militari.
Insomma
sono “antimperialisti” solo con gli imperialismi stranieri. Ad
esempio, lo scorso anno Casa Pound ha dato perfetta prova di cosa
intenda per antimperialismo. Come sappiamo, la Francia ha ricoperto
un ruolo di primo piano nella guerra alla Libia: ebbene la reazione
di Casa Pound è stata quella di protestare mandando gommoni al
Trocadero a Parigi perché “vi siete presi Galbani, Gucci, Bulgari,
Bnl, Parmalat, Alitalia” ed ora “l’Eni perderà il monopolio
del petrolio libico in favore di Total”. In questo caso il problema
non è l’imperialismo economico in sé, quanto se siano o meno
“italiani” o meno i gruppi capitalistici che lo praticano. Quindi
lo pseudo-antimperialismo neofascista è semplicemente figlio di
aspirazioni nazionaliste frustrate.
Destra-Sinistra
ovvero gerarchia-eguaglianza
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Uno
spot di Forza Nuova
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Come
accennato all’inizio di questo scritto la maggioranza dei gruppi
neofascisti rifiuta la collocazione a “destra” dello scacchiere
politico. Eppure, tutti i pensatori a cui si rifanno (da Nietzsche ad
Evola, dalla Konservative Revolution ad Adriano Romualdi), sono
ispirati, sia pur in forme differenti, al principio di fondo
dell’inegualitarismo gerarchico. Non a caso sono tutti feroci
critici della rivoluzione francese. Prima della rivoluzione francese,
infatti, la rappresentazione della realtà politica secondo metafore
spaziali non usava la dimensione laterale orizzontale
destra-sinistra, ma quella verticale alto-basso. Al vertice stava il
re, poi il clero, l’aristocrazia guerriera, ed infine il popolo. E’
la sinistra che durante la rivoluzione francese ha fatto ruotare
l’asse della raffigurazione originaria della dimensione politica da
verticale a orizzontale, laddove all’orizzontalità si associava un
programma ideologico contro il privilegio e la gerarchia. La destra,
che ha subìto questo cambio di paradigma simbolico, non si riconosce
in questa rappresentazione e preferisce continuare a ricorrere alla
concezione verticale, onde il rifiuto di molti settori della destra
più radicale di riconoscersi nella dicotomia
destra-sinistra.
Eppure
proprio la chiave interpretativa simbolica di
sinistra-orizzontalità-eguaglianza contro
destra-verticalità-gerarchia, consente di inquadrare bene un’altra
discriminante teorica fondamentale che separa irriducibilmente le
forze d’estrema destra da quelle autenticamente
rivoluzionarie.
Certamente
sia la concezione egualitaria che quella gerarchica possono tradursi
in svariati programmi ideologici concreti. L’eguaglianza da
realizzare può essere quella davanti alla legge, quella politica,
quella economica. Così come la gerarchia può essere fondata sul
censo, sulla razza, sulla forza. Ad ogni modo eguaglianza significa
riconoscimento di uno o più aspetti essenziali relativamente ai
quali gli individui, indipendentemente da tutte le altre diversità,
hanno pari dignità e diritto ad eguale trattamento, mentre gerarchia
significa l’individuazione di una specifica superiorità di alcuni
che, al di là di possibili aspetti comuni con gli altri individui,
richiede un trattamento differenziato.
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Nella
sede romana di Casa Pound
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Ebbene,
nella concezione ideologica della destra radicale le differenze tra
gli esseri umani (di etnia, di sesso, di capacità) comportano il
conferimento di uno status complessivo al gruppo di individui
portatori della differenza, status che definisce poi il posto
appropriato nella gerarchia sociale. Dunque l’inegualitarismo non
assume solo una funzione descrittiva, ma prescrittiva, nel senso che
le differenze nel genere umano non sono solo empiricamente evidenti
(bianchi-neri, uomo-donna), ma prescrivono un ordine strutturato dal
superiore all’inferiore. Le ideologie che stanno a fondamento della
destra neofascista (tradizionalismo, superomismo reazionario,
razzismo, comunitarismo organicista) sono, quindi, radicalmente
estranee, dal punto di vista della visione antropologica, ad ogni
forma di egualitarismo. Ed ecco, dunque, l’esaltazione della razza,
della stirpe, dei vincoli di “sangue e suolo”, di tutto le
possibili forme di unità sociale rette da vincoli di solidarietà
naturali e non da interessi materiali. Quindi il rifiuto della
dimensione economica come fattore determinante nella struttura
sociale e della democrazia che livellerebbe ingiustamente gli esseri
umani privilegiando la quantità rispetto alla qualità. Non a caso i
movimenti fascisti si sono sempre opposti alle classi dirigenti
liberali, perché non sono “vere” élite, autentiche aristocrazie
(del sangue o dello spirito), provviste del potere carismatico del
comando, perché la loro essenza è solo economica, “mercantile”,
quindi priva di valore intrinseco.
Braccio
armato della reazione
I
fascisti si proclamano come terza via rispetto alle ipotesi comuniste
e “liberal-capitaliste”. “Né fronte rosso, né reazione!” è
uno dei loro slogan preferiti. In realtà della reazione sono sempre
stati il braccio armato.
In
tutta Europa i movimenti fascisti nascono come reazione della piccola
borghesia al “pericolo rosso”. Nel 1919 la fondazione dei “Fasci
italiani di combattimento” con un programma intriso di forti
venature progressiste e richiami socialisteggianti, ebbe scarsissima
eco. Fu solo dopo la svolta reazionaria del 1920 con l’abbandono di
tutte le posizioni politicamente invise alla borghesia conservatrice
(la pregiudiziale antimonarchica, il voto per le donne, le posizioni
anticlericali, le rivendicazioni sociali più avanzate) e le prime
azioni squadristiche contro le organizzazioni proletarie che i
fascisti iniziarono ad essere finanziati da agrari ed industriali
preoccupati dalla agitazioni operaie del “biennio rosso”, ed
ingrossarono le loro fila fino a contare migliaia di militanti
(mentre tanti militanti della prima ora abbandonavano il movimento
ormai compromesso con i settori più retrivi delle classi
dominanti).
Dopo
la seconda guerra mondiale, gli eredi del ventennio si schierarono
attivamente nel campo occidentale per contrastare l’”avanzata
della barbarie sovietica”. Non a caso il MSI votò sempre a favore
della Nato dal 1949 (anno di adesione dell’Italia all’Alleanza
Atlantica) al 1991 (anno della partecipazione italiana alla prima
guerra di aggressione all’Iraq di Saddam Hussein).
Quanto
ai settori extraparlamentari, a parole più rivoluzionari della casa
madre missina, in politica internazionale si distinsero per
l’esaltazione del colonialismo francese in Indocina ed Algeria
(l’Oas divenne un vero e proprio mito per i neofascisti di Ordine
Nuovo e Avanguardia Nazionale), per il sostegno a tutti i regimi
dittatoriali da Franco a Pinochet passando per i colonnelli greci,
fino all’arruolamento di vari militanti (tra cui noti esponenti dei
Nar come Alessandro Alibrandi) nella Falange "Kataeb" in
Libano a fianco dell’esercito israeliano.
In
Italia è nota, e in taluni casi persino apertamente rivendicata, la
partecipazione di questi ambienti ai fatti più oscuri della
strategia della tensione dalle stragi ai tentativi di colpi di stato.
In tale contesto è utile smascherare le fantasiose ricostruzioni
storiche che vedrebbero i gruppi neofascisti in prima fila nella
contestazione giovanile del 1968: basti pensare che se è vero che
alcuni militanti di Avanguardia Nazionale e del Fuan-Caravella
parteciparono agli scontri di Valle Giulia del 1 marzo 1968, quelle
stesse persone nel 1970 erano attivamente impegnate nell’organizzare
il fallito golpe Borghese: questo la dice lunga sulle reali
motivazioni che avevano nella partecipazione (comunque assolutamente
marginale) alla rivolta sessantottina. Quanto al principale ideologo
“nero” di quel periodo, Franco Giorgio Freda, tutt’ora punto di
riferimento teorico imprescindibile con le sue Edizioni di Ar, se da
un lato, nel 1969, scriveva un testo come “la Disintegrazione del
Sistema” in cui auspicava l’alleanza con le formazioni
rivoluzionarie di sinistra e dichiarava il proprio apprezzamento per
il presidente Mao, dall’altro collaborava con il SID ricoprendo
indubbiamente un ruolo di primo piano nella strage di Piazza Fontana
il 12 dicembre dello stesso anno.
Immigrazione
e razzismo
Con
il crollo dei socialismi reali, l’avvento della globalizzazione e
il fenomeno delle migrazioni di massa i movimenti neofascisti
rispolverano le vecchie teorie razziste e si propongono come baluardo
a difesa “dell’identità nazionale” minacciata dall’”invasione”
migratoria. Per i neofascisti, infatti, l’identità nazionale non
appartiene alla sfera culturale, soggetta ai mutamenti della storia,
ma è considerata come un dato originario, eterno ed immutabile,
radicato nell’eredità di sangue e nella dimensione razziale, in
una prospettiva completamente a-storica. In quest’ottica ovviamente
qualunque mutamento della composizione etnica dei popoli è
considerato degenerativo. Come se tutti i popoli attualmente
esistenti non fossero il prodotto di una catena infinita di
“contaminazioni” etniche e culturali sedimentatesi nei secoli.
Questa concezione razzista ha come ovvia conseguenza l’avversione
per l’immigrato visto come, più o meno inconsapevole, veicolo di
“imbastardimento” razziale. Dunque, nei fatti, i neofascisti
scaricano tutto il peso della problematica migratoria sulle
principali vittime del fenomeno: gli immigrati stessi. Senza
assolutamente concentrarsi sulle cause economiche che costringono
milioni di esseri umani ad abbandonare i loro paesi d’origine.
Certo, qualche volta, nella pubblicistica dell’estrema destra si
ammette che gli immigrati sono sfruttati, eppure anziché
solidarizzare con loro quando si ribellano allo sfruttamento (come i
braccianti africani di Rosarno nel gennaio 2010), si invoca l’
ulteriore repressione nei loro confronti totalmente funzionale alle
classi dominanti. Non a caso in Grecia, nel pieno di una crisi che ha
completamente devastato il tessuto sociale di quel paese, i
neonazisti di Alba Dorata (più volte presenti in Italia negli anni
scorsi ad iniziative di Forza Nuova) sono attivamente impegnati in
continue brutali aggressioni ai migranti più diseredati.
I
rapporti con la destra istituzionale
Infine,
se i militanti più ingenui davvero credono di essere alternativi
rispetto alle destre borghesi, i loro dirigenti nella destra
“sistemica” hanno abitualmente visto una sponda. Non è
praticamente mai successo che un’organizzazione neofascista
rifiutasse l’alleanza politica o il sostegno (più o meno palese)
della destra istituzionale: le esperienze della giunta comunale di
Alemanno a Roma e della presidenza Storace alla regione Lazio sono
quanto mai significative al proposito. Dalle assunzioni di vari
“camerati” nei settori della pubblica amministrazione o nelle
municipalizzate ai cospicui finanziamenti e patrocini alle iniziative
“culturali” dei circoli neofascisti.
Per
ciò che concerne le competizioni elettorali, dalle amministrative
passando per le regionali e le politiche, appena ne hanno avuto
l’occasione i dirigenti di La Destra, Forza Nuova, Casa Pound hanno
cercato un posticino al sole inserendo loro uomini nelle liste di
questo o quel partito “moderato” o, dove possibile, entrando
direttamente nella coalizione di centrodestra con la propria
organizzazione. Il “correre da soli” non è stato quasi mai una
scelta volontaria ma un ripiegamento obbligato, quando, per ragioni
di opportunità
elettorale,
i settori della destra “sistemica” non hanno voluto allearsi
pubblicamente con gli “impresentabili” neofascisti. Anche la
recente scelta di Casa Pound di presentare liste autonome alle
prossime elezioni, dopo che per anni ha candidato suoi esponenti in
An e poi nel Pdl, va letta nell’ottica di un deterioramento dei
rapporti tra CP e Polverini e Alemanno dopo che questi, in seguito
alle azioni squadristiche più eclatanti (aggressione all’esponente
del PD Marchionne, assassinio di tre senegalesi a Firenze da parte di
Gianluca Casseri, raid ai Magazzini Popolari a Casalbertone, ecc.),
avevano dovuto prenderne le distanze. Insomma pare evidente che le
organizzazioni neofasciste siano “alternative al sistema” e “dure
e pure” solo quando non possono fare altrimenti.
Fonte: sollevazione.blogspot.it
Il prefisso Neo non l'ho mai sopportato:neofascista,neopagano,neotutto...,sa tanto di artefatto ammuffito, di fondamenta rimesse a nuovo ma sotto l'intonaco sono fatiscenti,dietro al neo vi è sempre un riproposta vecchia dipinta a nuovo. e a volte il "neo" e ancor peggiore del vecchio.
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