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di Francesco Salistrari.
Il
sentiero di noi poveri mortali è lastricato da pietre taglienti, a volte, da
foglie morbide seppur giallastre, altre, da ispidi cespugli di spine seppur
carichi di more, in alcuni casi, da profumati fiori di campagna ondeggianti
agli aliti del vento, qualche volta.
E'
la vita ad essere così tortuosa, come una strada di campagna. E' essa che ci
deride guardandoci negli occhi.
Lasciamo
molte cose a sé, senza curarcene e invece ad altre assegniamo estrema
importanza, senza però saper bene ed essere sicuri che sia davvero così. E lo
si vede negli innumerevoli giudizi che ognuno, singolarmente, dà delle cose del
mondo degli uomini. Esistono gli accordi, le convergenze, le comunioni, ma in
fin dei conti, siamo tutti soli nel giudicare la vita e le sue cose. Esistono
le regole, i codici, le norme e le morali, ma son tante e così contrastanti
l'un l'altra che è impossibile stabilire dove stia la verità e la certezza del
giudizio.
Siamo
caduchi. Com'è caduco il nostro tempo, che non è eterno, ma limitato. Qualcuno
lo imbriglia nelle formule, nelle generalizzazioni storiche delle ere, dei
periodi, in base a giudizi e categorizzazioni del tutto arbitrarie. E così
abbiamo gli Evi, le Età e i Secoli. Tutti, giorno per giorno lo contiamo, il
tempo, secondo dopo secondo, con i nostri imprecisi orologi, e contiamo i
giorni, gli anni, i periodi della nostra vita, arbitrariamente definendoli. In
fin dei conti contando, anche se non ce lo confesseremmo mai, il tempo che ci
resta da vivere, soli, nella nostra solitudine interiore, in quell'urlo di
paura che a tutti scappa via nel sonno e nei sogni.
E'
un attimo che tutti assaporiamo, che ci lega alla nostra natura d'animali,
seppur abili con le mani e con la mente. E ci lega proprio alla nostra natura
finita, imperfetta, caduca, appunto, come il tempo.
Tutto
ha un inizio e una fine. Scontato, certo, ma pur sempre vero. La Terra, il
Sole, i Pianeti, l'Universo stesso hanno avuto un principio e avranno una fine
e se esiste un Dio che tutto ciò ha reso possibile vorrà dire che finirà pure
lui, che spirerà, mortale anch'egli, guardando lontano, con gli occhi persi nel
nulla eterno che gli si spalanca davanti. Il Tutto non può esistere per sempre.
Non esiste un sempre, come non esiste un mai. Esistere è già parola complicata,
difficile, indecifrabile, insondabile. E quanti ci hanno provato a darle un
senso, quanti armati d'ingegno e speranza, di illusioni e sogni, quanti di
numeri e di strumenti, ma invano. Non si comprende, non si sa, non si vede
aldilà delle cose semplici ed anche la più complicata delle elucubrazioni umane
è niente di fronte al Tutto, all' Universo, a ciò che è lontano non solo nello
spazio interstellare, ma vicino, prossimo al nostro naso nelle nostre stesse
percezioni. Guardiamo il mondo con degli occhi, strumenti mirabili, ingegneria
genetica naturale perfetta, direbbe qualcuno e sarebbe pronto a morire per
dimostrare che è così. Ma pur sempre strumenti imperfetti di un corpo e di una
materia imperfetta. Guardiamo e vediamo cose e altre non vediamo, cose che magari un agnello o un
falco o un lombrico una formica vedono e sentono e pensano e odono.
Cinque
sensi, non diecimila. Come potrebbero essere precise le nostre deduzioni? Come,
le nostre rappresentazioni?
Spettacolini,
caricature. Niente più.
Ci
magnifichiamo dell'arte e della nostra maestria, ma è pur così? Ci gloriamo
guardandoci allo specchio, ecco tutto. Ma pur sempre di riflesso si tratta, di
distorsione della luce.
Ecco,
la nostra vita è una distorsione. Qualcosa di illusorio eppur reale. Perchè è
reale la materia di cui siamo fatti e di cui ci nutriamo, sono reali i nostri
istinti e le nostre voglie, i nostri appetiti e le nostre aspirazioni. Ma sono
frutto di un inganno profondo, pienamente immateriale. E' questo il grande
paradosso dell'umanità.
Crediamo
di vedere, ma non vediamo. Crediamo di creare, mentre in realtà stiamo
scimmiottando con noi stessi e le nostre aspirazioni. Siamo bambini che giocano
con un cubetto di plastilina e crediamo di essere gli artefici del mondo.
Il
risvolto della medaglia è proprio questo. Che in effetti lo siamo. Siamo
artefici del nostro mondo, perchè vediamo ciò che vogliamo vedere, facciamo ciò
che vogliamo fare, plasmiamo la nostra realtà a nostra immagine e somiglianza,
perfino i nostri Dei sono dipinti, raffigurati, immaginati e venerati a
immagine e somiglianza di noi stessi. Nella Bibbia è scritto che l'uomo fu
creato da Dio a Sua immagine e somiglianza. Non vi sembra un tantino presuntuoso?
Direi proprio di si... Addirittura lo vediamo incarnato in uomini, sì grandiosi
e genuini, sì imperiosi segni della nostra grandezza, ma pur sempre uomini,
lungi anni luce dall'essere Dei.
Non
voglio offendere nessuno. Ma vedo in questa presuntuosa proiezione di sé,
qualcosa di innaturale, di immaginario, di controproducente. Di mistificante.
La
presunzione è magia. Magia umana. Chi riesce a sfruttarne i poteri fino in
fondo è simile in amarezza solo ad una strega che ha stretto un patto
indissolubile con Satana. Un potere tanto più potente e controproducente quanto
ammaliante come una Sirena. Presumere qualcosa dà potere, seppur breve. Ma il
potere a volte sazia anche a piccole dosi, come droga potente, di cui basta una
misera quantità per raggiungere il climax dei propri sensi. Breve, ma intenso.
Presumere
qualcosa è una sferzata di adrenalina spirituale, capace di trasformarsi in un
tocco subliminante. E' sapere senza sapere. E' vedere senza guardare.
La
presunzione di convincersi e voler convincere di aver capito qualcosa, senza
nemmeno averle destinato il giusto tempo, è l'autostimolazione sessuale più
antica nell'uomo. Non a caso nel gergo comune si può sentire talvolta
espressioni del tipo “seghe mentali”, proprio per tradurre a parole una sensazione
di autoorgasmo. Per altro il D'Annunzio, savio e grandioso, ce ne potrebbe
parlare a lungo, e più compiutamente.
Presumere
è sinonimo di potere, dunque. Un potere strano e ammaliante di cui ci
dipingiamo il viso tutti i giorni, per sembrare più belli, per attrarre
attenzione, per essere accettati, per dare l'impressione di essere superiori in
qualcosa sebbene indefinibile.
Ma
la presunzione, come tutti i vizi, ha la sua controindicazione. Come un farmaco
porta dipendenza dopo un uso prolungato, così la presunzione assuefà i suoi
consumatori, sicchè la spirale è sempre ascendente, fin'ancora alla morte. E
così un uomo presuntuoso morirà presuntuoso.
La
cosa singolare è che la presunzione marchia i suoi consumatori con un segno
particolare e riconoscibilissimo. Un
segno che può modificare vieppiù l'espressione del viso. Le
sopraccicglia che si muovono inconfondibilmente verso l'alto con un moto di
sfida. Incredibilmente, anche da morto, il presuntuoso, rimane in rigor
mortis con le sopraccicglia alzate. Cosicchè se vi capitasse di guardare un
defunto presuntuoso, ne riconoscerete la natura trapassata grazie all'attenta
osservazione dell'angolazione delle sopracciglia.
Ma
c'è qualcosa di più di questo semplice sollazzo che insieme ci siamo concessi.
Siamo
tutti presuntuosi. E' la natura umana ad esserlo.
Presumiamo
di poter plasmare la materia come meglio crediamo e riusciamo. E ciò anche se
le conseguenze del nostro intervento sembrano produrre effetti devastanti e
controproducenti al nostro stesso interesse alla sopravvivenza. Interesse del
resto completamente scalzato, in una immaginaria scala di valori,
dall'interesse economico, che è presuntuoso nella sua essenza.
Presumiamo,
appunto in tema di denaro, di poter comprare ogni cosa, finanche l'anima stessa
di una persona. Sostituendoci, niente di meno e con una presunzione
spropositata, allo stesso Satana. Compratore d'anime accanito e infallibile da
tempi immemori. Ma presumiamo di sostituirci a Dio stesso, diventando giudici e
vendicatori, applicando sanzioni e brandendo espulsioni. Si perchè la
presunzione ci fa pur credere di poter creare una Morale Universale da
applicare a tutti, dimenticando che altri uomini, per cultura storica,
accettano e tollerano una morale che non è meno Universale di quella dei primi,
se ad Universale diamo il giusto significato di Umana e dunque particolare. E
qui subentra una “guerra tra le morali”
che sfocia ben presto in guerra tra gli uomini. Anch'io, adesso, sto facendo
“della morale” e dal mio punto di vista prettamente personale, ammantandomi di
qualcosa che non possiedo (vale a dire cultura) e utilizzando a mio favore una
dialettica non poi così povera o poco convincente. Così assurgo a giudice delle
umane vicende, con la presunzione, appunto, di poter discernere “la via di
mezzo” per la pace interiore.
Niente
di più lontano dalla verità. A mala pena riesco a convincere me stesso. Ma
credo che ognuno, possa, in mezzo alla spiaggia delle proprie menzogne,
spillare di tanto in tanto, qualche granello di verità.
Presumiamo
tutti, dal primo all'ultimo. Pecchiamo tutti di presunzione.
La
domanda è: chi ha stabilito che la presunzione sia un peccato?
Nel
testo che state leggendo, io, senza dubbio. In moltissimi altri testi,
moltissimi altri. Nella vita di tutti i giorni, tutti quanti.
Ce
ne rendiamo conto, seppur inconsapevoli. Ci rendiamo conto che il più delle
volte la nostra felicità è effimera, beffarda, con un risvolto non sempre
piacevole. E proseguiamo per la nostra strada per raggiungere nuovamente e
riprovare nuovamente quella sensazione effimera e intensa. E quelle uniche
volte che riusciamo ad assaggiare un istante di Pura Felicità, immacolata da
qualsiasi sozzura dei nostri desideri, tendiamo a ricordarla per tutta la vita,
santificandola in Templi appositamente eretti nell'anima nostra.
La
felicità diventa effimera, perchè effimera è la droga che l'ha generata. La
presunzione, appunto.
Diventa
sale, camuffato da zucchero.
Ci
sentiamo felici per aver raggiunto un obiettivo. E raggiunto quest'ultimo ci
sentiamo vieppiù insoddisfatti. Perchè? E perchè aspiriamo nuovamente ad un
nuovo e più difficile obiettivo? Perchè abbiamo presunto, in modi inconsapevoli
quanto reali, di poter raggiungere la pace interiore dando prova a noi stessi
di essere capaci di qualcosa. Raggiungere un obiettivo significa accettare se
stessi prima ancora di ricevere
riconoscenza dagli altri e ci gloriamo interiormente di questa vanità. In
verità però raggiungere un obiettivo voluto dalla nostra presunzione ci lascia
svuotati, seppur pochi istanti prima di raggiungerlo ci sentivamo pieni di
forza vitale ed energia elettrica. Le vibrazioni della nostra anima parevano
illuderci e invece ci lasciano sgomenti.
Così
non ci fermiamo mai, e nella nostra presunzione, crediamo che sia possibile
andare avanti all'infinito, sfidando in questo inconsapevolmente anche la
Morte. Crediamo che tutto possa procedere per sempre, che l'Uomo sia eterno,
come eterno il Tempo. E presumiamo, e qui il peccato diventa davvero
universale, che qualcuno ci abbia assegnato un posto speciale nella storia
dell'universo. Non rendendoci conto, però, che abbiamo si un posto di primo
piano nei destini della Terra, ma limitato ad una piccola parentesi nei recessi
del tempo.
Fingiamo
di credere che la nostra economia possa svilupparsi all'infinito, che le nostre
scoperte tecniche evolversi per sempre fino ad aprirci le porte del viaggio
interstellare, che la nostra intelligenza sia qualcosa che cresca e si evolve
con la nostra storia ed in questo senso siamo portati a ritenere, presumendo
ancora qualcosa, che le epoche passate abbiano conosciuto un'Intelligenza umana
inferiore, se non solo in pochi e geniali individui che ancora oggi ricordiamo.
Ma per il resto crediamo che nelle antichità della nostra storia si siano mossi
individui più rozzi, istintivi e meno intelligenti di quelli che vediamo oggi
agire nel mondo.
Niente
di più falso.
L'Uomo
è sempre uguale a se stesso. A cambiare è solo il suo modo di rapportarsi alla
materia che ci circonda, a cambiare è solo la sua fantasia nel cercare
combinazioni diverse, a capire qualche meccanismo fino ad allora ignoto.
Ma
conoscere le cause di una malattia, non vuol dire scongiurare l'umanità dalla
morte. Comprendere i meccanismi delle maree non può permettere all'uomo di
controllarle. Conoscere i segreti della chimica può si dare la possibilità di
manipolare la materia come mai prima, ma non può permettere all'uomo,
assolutamente, di conoscere il segreto della Vita.
Eppure
c'è qualcuno che crede di aver carpito anche questo. Mettendo mano nel codice
che rappresenta la Vita, appunto. Decifrando, ma chissà per quali vantaggi, il
DNA. E ancora una volta, vedete, potente, subitanea, impassibile e spietata, la
vanità della presunzione, che da all'uomo la capacità di illudersi di essere
tanto intelligente da poter creare la Vita dal niente, di manipolarla, di
modificarla secondo capriccio, di migliorarla, di mescolarla, di diventare
artefici in breve della creazione stessa.
Come
può essersi così stupidi, invece!
Scoprire
un segreto della nostra intima natura, non vuol dire innanzitutto carpirne il
significato, ma intravederne la forma. Capire il DNA umano non significa
comprendere il significato della sua esistenza, né tantomeno riuscire a darvi
un senso proprio. Del resto nelle poliedriche attività umane, continuamente, un
senso seppur personale, viene continuamente smarrito e acquisito daccapo, senza
peraltro riuscire a comprendere fino in fondo la natura di tali considerazioni.
Qualcuno potrebbe anche dare un senso alla propria vita, e quasi tutti lo facciamo,
ma è pura illusione. Anche il più nobile di questi, quello di allevare i propri
figli, se da un punto di vista naturale sembrerebbe l'unico vero candidato a
dare un senso alla nostra esistenza, vale a dire la perpetuazione della specie,
viene ad essere rinchiuso negli schemi abietti della vita organizzata
dell'uomo. Una organizzazione che snobilita l'uomo di fronte appunto alla
Natura nel suo complesso e gli stessi figli, luce e speranza dei genitori, si
fanno partecipi di questo equivoco, vivendo la propria vita stando alle regole
e alle condotte che la società umana, ahimè, si è data.
Sembra
assurdo affermare qualcosa di simile, come sembra assurdo non scorgere le
innumerevoli qualità dell'uomo e della sua intelligenza. E sarebbe senz'altro
assurdo condannare in toto tutte le attività umane, dalle più incredibili alle
più semplici. Ma tant'è. L'uomo, nel suo vivere quotidiano, perde il senso di
ciò che è, lasciando posto ad una visione del tutto innaturale ed incolore,
tinta solo da passioni veniali e rischiarata di tanto in tanto dai lampi di
genialità che pur le appartengono.
Anche
in questo, come non si può vedere, la presunzione, tutta umana, di aver capito,
compreso e assoggettato a se la Natura nel suo complesso, sentendosi l'assoluto
monarca del pianeta, mentre in realtà resta schiavo di una materialità tutta
fittizia e apparente che fa di tutti noi dei ciechi brancolanti nel buio.
A
dare senso ci hanno provato e ci provano le religioni, con tutto il loro carico
di cultura e spiritualità che purtroppo però, ancora una volta, viene piegato a
fini del tutto lontani dal vero spirito e essenza della Vita. Del resto come
potrebbe essere altrimenti se tutto, nella vita dell'uomo, che assume carattere
di Potere, viene ad essere inesorabilmente piegato alle logiche di un profitto
del tutto materiale? La religione, qualunque essa sia, storicamente è stata
costretta a venire a patti con la malvagia propensione dell'uomo ad abbandonare
le questioni spirituali per quelle più tangibili e immediate della materialità.
E seppur risplendente di alti valori, la religione, è sempre apparsa come un
manto con il quale nascondere la più abietta e brutale natura umana.
Del
resto non può non essere così quando, a seguire un credo religioso, siano,
anche se in maniere diverse, quasi tutti gli esseri umani che vivono e muoiono
su questa terra e questo da sempre, fin dalla nostra comparsa come esseri
pensanti. Avere un numero così grande di
proseliti, ha messo ogni religione di fronte ad un problema di Potere. E
quando, nelle umane vicende, esiste questione di potere, ecco che a scomparire
è tutto il resto e le migliori intenzioni fin da subito si trasformano in
qualcosa di poco universale.
Perchè
il potere è presunzione.
E
se c'è un peccato davvero universale e che è destinato a condannarci come
specie, è proprio la presunzione.
In
questo scritto, anch'io, mio malgrado, mi sono macchiato dello stesso,
identico, irresistibile, peccato.
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