L’atto
fondante dell’UE prevedeva la libera unione di stati in un
organismo sovranazionale che avrebbe mantenuto e sviluppato in pace
l’economia dei paesi membri. Ma se ci riflettiamo, è davvero
un’unione “libera” di stati? Fin dal 1998 è in vigore una
direttiva della Comunità europea che riserva la commercializzazione
e lo scambio di sementi alle ditte sementiere (le note
multinazionali) vietandolo agli agricoltori. Ciò che i contadini
hanno fatto per millenni è diventato così, di colpo, un delitto .
Con questa sentenza sono messe fuorilegge anche le associazioni di
volontari impegnati nel recupero delle varietà antiche e
tradizionali – ne esistono di benemerite anche in Italia – che
commettono appunto questo crimine: preservano e distribuiscono a chi
le chiede sementi fuori del catalogo ufficiale.
La
sentenza ha preso di mira specificamente una di queste associazioni,
la francese (ma nota in tutto il mondo) Kokopelli, che si batte per
la biodiversità. Già nel 2008 questa associazione era stata
condannata, per scambio di sementi antiche, a una multa di 35 mila
euro: esosa punizione per un gruppo di volontariato, volta a renderne
impossibile di continuare l’attività. Invece l’attività è
continuata, grazie allo sforzo e ai contributi dei volontari. Invece
oggi, un’altra grossa società che l’ha trascinata in giudizio
davanti alla Corte d’appello di Nancy, la «Graines Baumaux»,
approfittando della sentenza della Corte europea ha chiesto ai
giudici francesi di imporre a Kokopelli di pagare 100 mila euro per
danni e inoltre – esplicitamente – «la cessazione di tutte le
attività dell’associazione», pericolosa per il business , alla
faccia della libertà d’opinione e d’azione. Si noti che la
direttiva europea non osa vietare semplicemente e puramente lo
scambio di sementi antiche: non vigono forse da noi tutte le libertà
possibili e immaginabili? Lo fa obliquamente. Se si chiede di
includere queste varietà nel catalogo ufficiale lo si ottiene –
pagando profumatamente – e da quel momento diventa legale
commerciarle. Il fatto è che queste varietà antiche e tradizionali
sono di dominio pubblico, non appartengono a nessuno, e quindi
nessuno ha interesse a sborsare per iscriverle nel catalogo.
Ammettiamo che qualche buon samaritano lo faccia: dopo vent’anni,
se nessuno le re-iscrive nel suddetto catalogo, comunque ne escono (e
scambiarsele ridiventa un delitto).Ovviamente, l’inghippo è
escogitato per favorire le multinazionali delle sementi, che hanno i
soldi e l’interesse economico di iscrivere nel registro ufficiale i
loro semi ibridi, OGM, di loro proprietà o comunque brevettati. A
causa di questa regolamentazione, accusa Semailles (un’altra
associazione francese) «più dell’80% della biodiversità è
scomparsa» dai campi europei.
Pardon,
debbo correggermi: per iscrivere una semente nel catalogo ufficiale,
pagare non basta. Occorre che la varietà in oggetto risponda ai
criteri di «Distinzione, Omogeneità e Stabilità» (DHS nella
lingua di legno eurocratica), qualunque cosa ciò significhi. Ma cosa
significano esattamente questi criteri discriminanti? «Implicano che
le sementi siano pochissimo variate», rispondono a Kokopelli:
«Solo
varietà ibride F1 o varietà lignee quasi cloniche rispondono a
questi criteri. Tali criteri sono stati stabiliti al solo scopo di
aumentare la produttività nelle prassi di agricoltura industriale».
un
video interessante in merito…
La
Corte europea, nella sua motivazione , ha giustificato il divieto del
commercio delle sementi antiche e tradizionali con l’obbiettivo,
che giudica superiore ad ogni altro, di ottenere «una accresciuta
produttività agricola»; concetto che ripete per 15 volte nel testo.
Quasi che l’Europa fosse affollata di popolazioni malnutrite come
il Bangladesh, bisognose di aumentare le loro rese alimentari. Due
volte però la Corte giunge a sostenere che la legislazione
proibizionista in vigore serve a scongiurare «la
coltivazione di
sementi potenzialmente nocive» (per contro, è legale che gli
oncologi somministrino ai malati di cancro chemioterapici tutti di
altissima tossicità, fra cui la ciclofosfamide,
definita
«cancerogena» dall’Istituto Superiore di Sanità
italiano > chemio.pdf).
È
il caso di notare che le sementi antiche e tradizionali sono già il
risultato di una selezione – una selezione compiuta dagli esseri
umani da diecimila anni – con l’ovvia conseguente eliminazione di
specie «potenzialmente nocive» fin dalla preistoria, e che queste
piante hanno nutrito la popolazione europea da millenni.
Ma
è questo il nucleo di «progressismo» che è la dottrina ufficiale
del potere eurocratico: l’esperienza plurimillenaria che l’umanità
si è tramandata (la «tradizione») non conta nulla, non è che
tenebra e sospetta superstizione; l’ultima parola cui dar fiducia,
in fatto di sementi, è quella della «scienza», qual è
rappresentata da Monsanto, Syngenta e le relative lobbies da queste
pagate).
Lo
stesso Avvocato Generale della Corte europea (ossia il «suo»
avvocato) ha fatto notare l’assurdità di questo pretesto,
rilevando giustamente che l’iscrizione obbligatoria al Catalogo non
dichiara come scopo quello di proteggere i consumatori contro un
qualche rischio sanitario o ambientale, a cui la legislazione vigente
non fa’ alcun riferimento. A dire la verità, la Corte ha preso la
sua decisione contro il parere del suo Avvocato Generale che, nella
memoria depositata il 19 maggio precedente, rilevava che la
registrazione obbligatoria di tutte le sementi nel catalogo ufficiale
era una misura sproporzionata e violava i principii della libertà di
esercizio dell’attività economica, della non-discriminazione e
della libera circolazione delle merci. Uno dei tre dogmi del
liberismo: non
vige forse trionfalmente la «libera circolazione
di uomini, merci e capitali»?
Ebbene,
per una volta la Corte ha infranto il dogma ed ha dato torto alla sua
Avvocatura Generale, altra cosa che non succede spesso, per non dire
mai. Forse – chissà – perchè la potente lobby dei
sementieri,
la European Seed Association, durante la procedura ha
avuto modo di far conoscere alla Corte il suo disaccordo con
l’opinione dell’Avvocatura Generale; come oggi si rallegra in un
comunicato della totale convergenza della Corte con le sue vedute.
Fortunata coincidenza. (CJEU confirms validity of European seed
marketing legislation)
«Perchè
non esiste un registro ufficiale dei bulloni e delle viti?», si
domanda la sconfitta Kokopelli. Forse perchè non c’è una Monsanto
della minuteria metallica. Sottomettere le sementi ad una
procedura
del genere, che esiste ed è giustificata per i
medicinali e i pesticidi, ha evidentemente il solo scopo di eliminare
alla lunga le varietà di dominio pubblico, e quindi liberamente
riproducibili, per
lasciare in campo solo quelle brevettabili.
L’agro-industria e le sue lobbies difendono la regolamentazione con
l’argomento che essa permette di garantire il finanziamento della
ricerca per specie «più resistenti e più produttive». Strano che
in nome del libero mercato si pretenda la regolamentazione. La
finanza invece, come ha preteso, è stata completamente
deregolamentata , sicchè oggi può vendere ogni genere di titoli
tossici, titoli sub-prime e prodotti derivati, fino ai CDS, che
consentono di assicurarsi contro il fallimento di qualcun altro, con
cui non si ha parte, in pratica puntando sul suo fallimento.
Stranissima poi l’invocazione della regolamentazione per favorire
la ricerca; di solito la ricerca pretende di essere totalmente
deregolata, manipolare i geni umani, ibridarli con geni di maiali,
utilizzare feti abortiti (volete buttarli via?) per la famosa ricerca
sulle cellule staminali che guarirà tutte le malattie…
È
il bello della nuova forma di governo, la tecnocrazia pan-europea,
che sta sostituendo i governi eletti dopo averli esautorati, resi
irresponsabili e privati della sovranità nelle decisioni che
contano.
Per
intanto, la drastica riduzione delle varietà e la preferenza date
alle artificiali che questa sentenza porta, non solo ridurrà ancor
più la biodiversità, ma priverà l’alimentazione degli europei
delle 15-30 mila sostanze (se ne scoprono di continuo di nuove)
immuno-attivanti, anti-ossidanti, coenzimatiche, essenziali per la
salute umana che si trovano nelle verdure e frutta naturali, e che
l’amico medico Giuseppe Nacci chiama «vitamine» in quanto fattori
vitali (1). Già la coltivazione con fertilizzanti eccessivi
«impedisce alle piante di assorbire dal terreno i minerali più
importanti, come Selenio, Germanio, Ferro…» per non parlare
dell’impoverimento dovuto alla conservazione in celle frigorifere,
o l’avvelenamento da pesticidi.
Ora
diventa ogni giorno più chiaro che nelle verdure più comuni sono
contenuti migliaia di fito-sostanze e complessi chimici, di cui si va
scoprendo ogni funzione immuno-stimolante, detossicante, preventiva,
a
volte, contro il cancro. «Un semplice pomodoro appena colto da
un terreno assolutamente privo di sostanze tossiche – scrive Nacci
– può contenere 10 mila sostanze chimiche diverse, ognuna delle
quali è una ‘vitamina’, cioè un fattore coenzimatico o un
anti-ossidante. Ciò vale per tutte le verdure, gli ortaggi, i
frutti, i tuberi…». Il sapore e l’odore che le specie antiche e
tradizionali hanno più deciso rispetto alle moderne, spesso è dato
proprio da questi fattori attivi ed essenziali.
Quante
meno sostanze contengono le poche varietà permesse, uguali in tutto
il mondo, non è dato sapere. Non è cosa che interessi la «ricerca»
delle multinazionali.
UN
CONSIGLIO PER LA LETTURA:
1)
Giuseppe Nacci, «Diventa medico di te stesso»,
Editoriale
Programma, 334 pagine, 19 euro. Impressionante l’elenco
contenuto in
questo libro di sostanze presenti nei vegetali, di
cui è stata
appurata l’attività salutare. Oltre al menadione
(vitamina K),
inositolo (vitamina I), stigmasterolo (vitamina M),
l’acido tiuotico
(vitamina N), gli isprenoidi sono almeno 200, i
bioflavonoidi 5 mila.
E ancora: indoli glucosinati (nel cavolo),
llecitine, stilbeni,
(Resveratrol), tannini, terpeni, fito-enzimi
proteolitici, minerali
organici…
fonte: Sinergica-Mente
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