giovedì 23 gennaio 2014

Quando è l'offerta a fare il mercato, il cittadino è fregato.

di Gianni Tirelli
Un’economia etica, sana, priva di interferenze di natura speculativa e opportunistica, guarda ai bisogni reali dell’individuo, tenendo conto delle sue necessità strutturali  e scale di valori, a tal punto, che a determinare il Mercato è la domanda, e non l’offerta. 
Questo è un mercato etico per definizione, che si allinea e prende nota delle indicazioni e richieste suggerite dal consumatore, per non correre il rischio di sobbarcarsi i costi del non venduto; un consumatore che, dall’origine, possiede quei parametri necessari per capire ciò che vuole e ciò che gli serve davvero -  un consumatore “con le mani in pasta” che utilizza tutto ciò che acquista giustificando così le sue spese e limitando al minimo le eccedenze inutilizzate, fino ad azzerarle. 
Un’economia questa, dove è la domanda a dettare legge, le regole, e il quantitativo congruo di merce e beni da produrre e commerciare – e che in virtù di un tale meccanismo organizzativo, riduce al minimo  la quantità di spazzatura, di scorie e rifiuti. 
In un’economia del genere, solo una piccola parte è destinata alla produzione di beni “voluttuari”, ma anche questa si attiene a criteri logici indicati saltuariamente dalla domanda, e dall’eccezionalità del momento. Beni, che per l’oculatezza della scelta, non saranno in seguito rimpiazzati da altri ma, nel tempo, destinati a divenire duraturi.
Nelle nostre società, che per decenza abbiamo definito “moderne”, accade l’esatto contrario. L’impianto etico è stato scalzato di netto dal suo ruolo di giudice supremo dei nostri atti e scelte, ritenendolo, il Sistema, un vero e proprio impedimento e ostacolo al suo piano di produzione e commercializzazione di beni e prodotti effimeri, che in una condizione di “normalità ragionevole” non avrebbero mai visto la luce. 
In questo modo, il consumatore, defraudato da ogni punto di riferimento e capacità critica, demanda al Sistema ogni sua responsabilità e scelta, ritenendolo il solo interlocutore credibile e attendibile fra il Mercato e la sua coscienza – una concezione dunque relativistica della realtà sociale, dove il singolo delega a terzi (al Sistema) le sue responsabilità oggettive perché incapace di assumersi le conseguenze dei suoi comportamenti e scelte.
Questo moderno consumatore, in totale antitesi con il soggetto etico, non conosce i suoi bisogni reali e le sue necessità strutturali.. “non ha le mani in pasta”,  e diversamente dal “domandare”, aspetta che gli si offra. Ed è questa la sostanziale e fondamentale ragione che differenzia in maniera inequivocabile il capital/liberismo di quest’epoca dissennata, dalle illuminate società contadine del passato.  
Dove il Mercato e l’economia si reggevano esclusivamente (e in forma egemonica) sulla domanda e sulle richieste della massa – contrariamente da oggi, dove le sollecitazioni al consumo sono indotte e imposte dal Mercato Bestia gestito dai pochi.
Questa è la più perversa, diabolica e subdola forma di schiavitù mai sperimentata nella storia del mondo.
Viviamo nell’illusione indotta di ritenerci liberi quando, di fatto, siamo relegati all’interno di un oceanico campo di concentramento che, alle recinzioni ad alta tensione, ha sostituito il plagio mentale, la dipendenza da bisogni effimeri, l’uniformazione delle coscienze, e una globale deresponsabilizzazione. Siamo le inconsapevoli cavie di laboratorio, di un progetto di sperimentazione di stampo nazista di dimensioni planetarie, che terminerà con “LA SOLUZIONE FINALE
“Quella che oggi chiamate libertà, è la più forte di queste catene, benché i suoi anelli vi abbaglino, scintillando al sole” – Gibran


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