Il sentiero di noi poveri mortali è lastricato da pietre taglienti, a volte, da foglie morbide seppur giallastre, altre, da ispidi cespugli di spine seppur carichi di more, in alcuni casi, da profumati fiori di campagna ondeggianti agli aliti del vento, qualche volta.
E' la vita ad essere così tortuosa, come una strada di campagna. E' essa che ci deride guardandoci negli occhi.
Lasciamo molte cose a sé, senza curarcene e invece ad altre assegniamo estrema importanza, senza però saper bene ed essere sicuri che sia davvero così. E lo si vede negli innumerevoli giudizi che ognuno, singolarmente, dà delle cose del mondo degli uomini. Esistono gli accordi, le convergenze, le comunioni, ma in fin dei conti, siamo tutti soli nel giudicare la vita e le sue cose. Esistono le regole, i codici, le norme e le morali, ma son tante e così contrastanti l'un l'altra che è impossibile stabilire dove stia la verità e la certezza del giudizio.
Siamo caduchi. Com'è caduco il nostro tempo, che non è eterno, ma limitato. Qualcuno lo imbriglia nelle formule, nelle generalizzazioni storiche delle ere, dei periodi, in base a giudizi e categorizzazioni del tutto arbitrarie. E così abbiamo gli Evi, le Età e i Secoli. Tutti, giorno per giorno lo contiamo, il tempo, secondo dopo secondo, con i nostri imprecisi orologi, e contiamo i giorni, gli anni, i periodi della nostra vita, arbitrariamente definendoli. In fin dei conti contando, anche se non ce lo confesseremmo mai, il tempo che ci resta da vivere, soli, nella nostra solitudine interiore, in quell'urlo di paura che a tutti scappa via nel sonno e nei sogni.
E' un attimo che tutti assaporiamo, che ci lega alla nostra natura d'animali, seppur abili con le mani e con la mente. E ci lega proprio alla nostra natura finita, imperfetta, caduca, appunto, come il tempo.
Tutto ha un inizio e una fine. Scontato, certo, ma pur sempre vero. La Terra, il Sole, i Pianeti, l'Universo stesso hanno avuto un principio e avranno una fine e se esiste un Dio che tutto ciò ha reso possibile vorrà dire che finirà pure lui, che spirerà, mortale anch'egli, guardando lontano, con gli occhi persi nel nulla eterno che gli si spalanca davanti. Il Tutto non può esistere per sempre. Non esiste un sempre, come non esiste un mai. Esistere è già parola complicata, difficile, indecifrabile, insondabile. E quanti ci hanno provato a darle un senso, quanti armati d'ingegno e speranza, di illusioni e sogni, quanti di numeri e di strumenti, ma invano. Non si comprende, non si sa, non si vede aldilà delle cose semplici ed anche la più complicata delle elucubrazioni umane è niente di fronte al Tutto, all' Universo, a ciò che è lontano non solo nello spazio interstellare, ma vicino, prossimo al nostro naso nelle nostre stesse percezioni. Guardiamo il mondo con degli occhi, strumenti mirabili, ingegneria genetica naturale perfetta direbbe qualcuno e sarebbe pronto a morire per dimostrare che è così. Ma pur sempre strumenti imperfetti di un corpo e di una materia imperfetta. Guardiamo e vediamo cose e altre non vediamo, cose che magari un agnello o un falco o un lombrico una formica vedono e sentono e pensano e odono.
Cinque sensi, non diecimila. Come potrebbero essere precise le nostre deduzioni? Come, le nostre rappresentazioni?
Spettacolini, caricature. Niente più.
Ci magnifichiamo dell'arte e della nostra maestria, ma è pur così? Ci gloriamo guardandoci allo specchio, ecco tutto. Ma pur sempre di riflesso si tratta, di distorsione della luce.
Ecco, la nostra vita è una distorsione. Qualcosa di illusorio eppur reale. Perchè è reale la materia di cui siamo fatti e di cui ci nutriamo, sono reali i nostri istinti e le nostre voglie, i nostri appetiti e le nostre aspirazioni. Ma sono frutto di un inganno profondo, pienamente immateriale. E' questo il grande paradosso dell'umanità.
Crediamo di vedere, ma non vediamo. Crediamo di creare, mentre in realtà stiamo scimmiottando con noi stessi e le nostre aspirazioni. Siamo bambini che giocano con un cubetto di plastilina e crediamo di essere gli artefici del mondo.
Il risvolto della medaglia è proprio questo. Che in effetti lo siamo. Siamo artefici del nostro mondo, perchè vediamo ciò che vogliamo vedere, facciamo ciò che vogliamo fare, plasmiamo la nostra realtà a nostra immagine e somiglianza, perfino i nostri Dei sono dipinti, raffigurati, immaginati e venerati a immagine e somiglianza di noi stessi. Nella Bibbia è scritto che l'uomo fu creato da Dio a Sua immagine e somiglianza. Non vi sembra un tantino presuntuoso? Direi proprio di si... Addirittura lo vediamo incarnato in uomini, sì grandiosi e genuini, sì imperiosi segni della nostra grandezza, ma pur sempre uomini, lungi anni luce dall'essere Dei.
Non voglio offendere nessuno. Ma vedo in questa presuntuosa proiezione di sé, qualcosa di innaturale, di immaginario, di controproducente. Di mistificante.
La presunzione è magia. Magia umana. Chi riesce a sfruttarne i poteri fino in fondo è simile in amarezza solo ad una strega che ha stretto un patto indissolubile con Satana. Un potere tanto più potente e controproducente quanto ammaliante come una Sirena. Presumere qualcosa dà potere, seppur breve. Ma il potere a volte sazia anche a piccole dosi, come droga potente, di cui basta una misera quantità per raggiungere il climax dei propri sensi. Breve, ma intenso.
Presumere qualcosa è una sferzata di adrenalina spirituale, capace di trasformarsi in un tocco subliminante. E' sapere senza sapere. E' vedere senza guardare.
La presunzione di convincersi e voler convincere di aver capito qualcosa, senza nemmeno averle destinato il giusto tempo, è l'autostimolazione sessuale più antica nell'uomo. Non a caso nel gergo comune si può sentire talvolta espressioni del tipo “seghe mentali”, proprio per tradurre a parole una sensazione di autoorgasmo. Per altro il D'Annunzio, savio e grandioso, ce ne potrebbe parlare a lungo, e più compiutamente.
Presumere è sinonimo di potere, dunque. Un potere strano e ammaliante di cui ci dipingiamo il viso tutti i giorni, per sembrare più belli, per attrarre attenzione, per essere accettati, per dare l'impressione di essere superiori in qualcosa sebbene indefinibile.
Ma la presunzione, come tutti i vizi, ha la sua controindicazione. Come un farmaco porta dipendenza dopo un uso prolungato, così la presunzione assuefà i suoi consumatori, sicchè la spirale è sempre ascendente, fin'ancora alla morte. E così un uomo presuntuoso morirà presuntuoso.
La cosa singolare è che la presunzione marchia i suoi consumatori con un segno particolare e riconoscibilissimo. Un segno che può modificare vieppiù l'espressione del viso. Le sopraccicglia che si muovono inconfondibilmente verso l'alto con un moto di sfida. Incredibilmente, anche da morto, il presuntuoso, rimane in rigor mortis con le sopraccicglia alzate. Cosicchè se vi capitasse di guardare un defunto presuntuoso, ne riconoscerete la natura trapassata grazie all'attenta osservazione dell'angolazione delle sopracciglia.
Ma c'è qualcosa di più di questo semplice sollazzo che insieme ci siamo concessi.
Siamo tutti presuntuosi. E' la natura umana ad esserlo.
Presumiamo di poter plasmare la materia come meglio crediamo e riusciamo. E ciò anche se le conseguenze del nostro intervento sembrano produrre effetti devastanti e controproducenti al nostro stesso interesse alla sopravvivenza. Interesse del resto completamente scalzato, in una immaginaria scala di valori, dall'interesse economico, che è presuntuoso nella sua essenza.
Presumiamo, appunto in tema di denaro, di poter comprare ogni cosa, finanche l'anima stessa di una persona. Sostituendoci, niente di meno e con una presunzione spropositata, allo stesso Satana. Compratore d'anime accanito e infallibile da tempi immemori. Ma presumiamo di sostituirci a Dio stesso, diventando giudici e vendicatori, applicando sanzioni e brandendo espulsioni. Si perchè la presunzione ci fa pur credere di poter creare una Morale Universale da applicare a tutti, dimenticando che altri uomini, per cultura storica, accettano e tollerano una morale che non è meno Universale di quella dei primi, se ad Universale diamo il giusto significato di Umana e dunque particolare. E qui subentra una “guerra tra le morali” che sfocia ben presto in guerra tra gli uomini. Anch'io, adesso, sto facendo “della morale” e dal mio punto di vista prettamente personale, ammantandomi di qualcosa che non possiedo (vale a dire cultura) e utilizzando a mio favore una dialettica non poi così povera o poco convincente. Così assurgo a giudice delle umane vicende, con la presunzione, appunto, di poter discernere “la via di mezzo” per la pace interiore.
Niente di più lontano dalla verità. A mala pena riesco a convincere me stesso. Ma credo che ognuno, possa, in mezzo alla spiaggia delle proprie menzogne, spillare di tanto in tanto, qualche granello di verità.
Presumiamo tutti, dal primo all'ultimo. Pecchiamo tutti di presunzione.
La domanda è: chi ha stabilito che la presunzione sia un peccato?
Nel testo che state leggendo, io, senza dubbio. In moltissimi altri testi, moltissimi altri. Nella vita di tutti i giorni, tutti quanti.
Ce ne rendiamo conto, seppur inconsapevoli. Ci rendiamo conto che il più delle volte la nostra felicità è effimera, beffarda, con un risvolto non sempre piacevole. E proseguiamo per la nostra strada per raggiungere nuovamente e riprovare nuovamente quella sensazione effimera e intensa. E quelle uniche volte che riusciamo ad assaggiare un istante di Pura Felicità, immacolata da qualsiasi sozzura dei nostri desideri, tendiamo a ricordarla per tutta la vita, santificandola in Templi appositamente eretti nell'anima nostra.
La felicità diventa effimera, perchè effimera è la droga che l'ha generata. La presunzione, appunto.
Diventa sale, camuffato da zucchero.
Ci sentiamo felici per aver raggiunto un obiettivo. E raggiunto quest'ultimo ci sentiamo vieppiù insoddisfatti. Perchè? E perchè aspiriamo nuovamente ad un nuovo e più difficile obiettivo? Perchè abbiamo presunto, in modi inconsapevoli quanto reali, di poter raggiungere la pace interiore dando prova a noi stessi di essere capaci di qualcosa. Raggiungere un obiettivo significa accettare se stessi prima ancora di ricevere riconoscenza dagli altri e ci gloriamo interiormente di questa vanità. In verità però raggiungere un obiettivo voluto dalla nostra presunzione ci lascia svuotati, seppur pochi istanti prima di raggiungerlo ci sentivamo pieni di forza vitale ed energia elettrica. Le vibrazioni della nostra anima parevano illuderci e invece ci lasciano sgomenti.
Così non ci fermiamo mai, e nella nostra presunzione, crediamo che sia possibile andare avanti all'infinito, sfidando in questo inconsapevolmente anche la Morte. Crediamo che tutto possa procedere per sempre, che l'Uomo sia eterno, come eterno il Tempo. E presumiamo, e qui il peccato diventa davvero universale, che qualcuno ci abbia assegnato un posto speciale nella storia dell'universo. Non rendendoci conto, però, che abbiamo si un posto di primo piano nei destini della Terra, ma limitato ad una piccola parentesi nei recessi del tempo.
Fingiamo di credere che la nostra economia possa svilupparsi all'infinito, che le nostre scoperte tecniche evolversi per sempre fino ad aprirci le porte del viaggio interstellare, che la nostra intelligenza sia qualcosa che cresca e si evolve con la nostra storia ed in questo senso siamo portati a ritenere, presumendo ancora qualcosa, che le epoche passate abbiano conosciuto un'Intelligenza umana inferiore, se non solo in pochi e geniali individui che ancora oggi ricordiamo. Ma per il resto crediamo che nelle antichità della nostra storia si siano mossi individui più rozzi, istintivi e meno intelligenti di quelli che vediamo oggi agire nel mondo.
Niente di più falso.
L'Uomo è sempre uguale a se stesso. A cambiare è solo il suo modo di rapportarsi alla materia che ci circonda, a cambiare è solo la sua fantasia nel cercare combinazioni diverse, a capire qualche meccanismo fino ad allora ignoto.
Ma conoscere le cause di una malattia, non vuol dire scongiurare l'umanità dalla morte. Comprendere i meccanismi delle maree non può permettere all'uomo di controllarle. Conoscere i segreti della chimica può si dare la possibilità di manipolare la materia come mai prima, ma non può permettere all'uomo, assolutamente, di conoscere il segreto della Vita.
Eppure c'è qualcuno che crede di aver carpito anche questo. Mettendo mano nel codice che rappresenta la Vita, appunto. Decifrando, ma chissà per quali vantaggi, il DNA. E ancora una volta, vedete, potente, subitanea, impassibile e spietata, la vanità della presunzione, che da all'uomo la capacità di illudersi di essere tanto intelligente da poter creare la Vita dal niente, di manipolarla, di modificarla secondo capriccio, di migliorarla, di mescolarla, di diventare artefici in breve della creazione stessa.
Come può essersi così stupidi, invece!
Scoprire un segreto della nostra intima natura, non vuol dire innanzitutto carpirne il significato, ma intravederne la forma. Capire il DNA umano non significa comprendere il significato della sua esistenza, né tantomeno riuscire a darvi un senso proprio. Del resto nelle poliedriche attività umane, continuamente, un senso seppur personale, viene continuamente smarrito e acquisito daccapo, senza peraltro riuscire a comprendere fino in fondo la natura di tali considerazioni. Qualcuno potrebbe anche dare un senso alla propria vita, e quasi tutti lo facciamo, ma è pura illusione. Anche il più nobile di questi, quello di allevare i propri figli, se da un punto di vista naturale sembrerebbe l'unico vero candidato a dare un senso alla nostra esistenza, vale a dire la perpetuazione della specie, viene ad essere rinchiuso negli schemi abietti della vita organizzata dell'uomo. Una organizzazione che snobilita l'uomo di fronte appunto alla Natura nel suo complesso e gli stessi figli, luce e speranza dei genitori, si fanno partecipi di questo equivoco, vivendo la propria vita stando alle regole e alle condotte che la società umana, ahimè, si è data.
Sembra assurdo affermare qualcosa di simile, come sembra assurdo non scorgere le innumerevoli qualità dell'uomo e della sua intelligenza. E sarebbe senz'altro assurdo condannare in toto tutte le attività umane, dalle più incredibili alle più semplici. Ma tant'è. L'uomo, nel suo vivere quotidiano, perde il senso di ciò che è, lasciandosi posto ad una visione del tutto innaturale ed incolore, tinta solo da passioni veniali e rischiarata di tanto in tanto dai lampi di genialità che pur le appartengono.
Anche in questo, come non si può vedere, la presunzione, tutta umana, di aver capito, compreso e assoggettato a se la Natura nel suo complesso, sentendosi l'assoluto monarca del nostro pianeta, mentre in realtà resta schiavo di una materialità tutta fittizia e apparenza che fa di tutti noi dei ciechi brancolanti nel buio.
A dare senso ci hanno provato e ci provano le religioni, con tutto il loro carico di cultura e spiritualità che purtroppo però, ancora una volta, viene piegato a fini del tutto lontani dal vero spirito e essenza della Vita. Del resto come potrebbe essere altrimenti se tutto, nella vita dell'uomo, che assume carattere di Potere, viene ad essere inesorabilmente piegato alle logiche di un profitto del tutto materiale. La religione, qualunque essa sia, storicamente è stata costretta a venire a patti con la malvagia propensione dell'uomo ad abbandonare le questioni spirituali per quelle più tangibili e immediate della materialità. E seppur risplendente di alti valori, la religione, è sempre apparsa come un manto con il quale nascondere la più abietta e brutale natura umana.
Del resto non può non essere così quando, a seguire un credo religioso, siano, anche se in maniere diverse, quasi tutti gli esseri umani che vivono e muoiono su questa terra e questo da sempre, fin dalla nostra comparsa come esseri pensanti. Avere un numero così grande di proseliti, ha messo ogni religione di fronte ad un problema di Potere. E quando, nelle umane vicende, esiste questione di potere, ecco che a scomparire è tutto il resto e le migliori intenzioni fin da subito si trasformano in qualcosa di poco universale.
Perchè il potere è presunzione.
E se c'è un peccato davvero universale e che è destinato a condannarci come specie, quello è proprio la presunzione.
In questo scritto, anch'io, mi sono macchiato dello stesso peccato.
(Francesco Salistrari, 2009)
E' la vita ad essere così tortuosa, come una strada di campagna. E' essa che ci deride guardandoci negli occhi.
Lasciamo molte cose a sé, senza curarcene e invece ad altre assegniamo estrema importanza, senza però saper bene ed essere sicuri che sia davvero così. E lo si vede negli innumerevoli giudizi che ognuno, singolarmente, dà delle cose del mondo degli uomini. Esistono gli accordi, le convergenze, le comunioni, ma in fin dei conti, siamo tutti soli nel giudicare la vita e le sue cose. Esistono le regole, i codici, le norme e le morali, ma son tante e così contrastanti l'un l'altra che è impossibile stabilire dove stia la verità e la certezza del giudizio.
Siamo caduchi. Com'è caduco il nostro tempo, che non è eterno, ma limitato. Qualcuno lo imbriglia nelle formule, nelle generalizzazioni storiche delle ere, dei periodi, in base a giudizi e categorizzazioni del tutto arbitrarie. E così abbiamo gli Evi, le Età e i Secoli. Tutti, giorno per giorno lo contiamo, il tempo, secondo dopo secondo, con i nostri imprecisi orologi, e contiamo i giorni, gli anni, i periodi della nostra vita, arbitrariamente definendoli. In fin dei conti contando, anche se non ce lo confesseremmo mai, il tempo che ci resta da vivere, soli, nella nostra solitudine interiore, in quell'urlo di paura che a tutti scappa via nel sonno e nei sogni.
E' un attimo che tutti assaporiamo, che ci lega alla nostra natura d'animali, seppur abili con le mani e con la mente. E ci lega proprio alla nostra natura finita, imperfetta, caduca, appunto, come il tempo.
Tutto ha un inizio e una fine. Scontato, certo, ma pur sempre vero. La Terra, il Sole, i Pianeti, l'Universo stesso hanno avuto un principio e avranno una fine e se esiste un Dio che tutto ciò ha reso possibile vorrà dire che finirà pure lui, che spirerà, mortale anch'egli, guardando lontano, con gli occhi persi nel nulla eterno che gli si spalanca davanti. Il Tutto non può esistere per sempre. Non esiste un sempre, come non esiste un mai. Esistere è già parola complicata, difficile, indecifrabile, insondabile. E quanti ci hanno provato a darle un senso, quanti armati d'ingegno e speranza, di illusioni e sogni, quanti di numeri e di strumenti, ma invano. Non si comprende, non si sa, non si vede aldilà delle cose semplici ed anche la più complicata delle elucubrazioni umane è niente di fronte al Tutto, all' Universo, a ciò che è lontano non solo nello spazio interstellare, ma vicino, prossimo al nostro naso nelle nostre stesse percezioni. Guardiamo il mondo con degli occhi, strumenti mirabili, ingegneria genetica naturale perfetta direbbe qualcuno e sarebbe pronto a morire per dimostrare che è così. Ma pur sempre strumenti imperfetti di un corpo e di una materia imperfetta. Guardiamo e vediamo cose e altre non vediamo, cose che magari un agnello o un falco o un lombrico una formica vedono e sentono e pensano e odono.
Cinque sensi, non diecimila. Come potrebbero essere precise le nostre deduzioni? Come, le nostre rappresentazioni?
Spettacolini, caricature. Niente più.
Ci magnifichiamo dell'arte e della nostra maestria, ma è pur così? Ci gloriamo guardandoci allo specchio, ecco tutto. Ma pur sempre di riflesso si tratta, di distorsione della luce.
Ecco, la nostra vita è una distorsione. Qualcosa di illusorio eppur reale. Perchè è reale la materia di cui siamo fatti e di cui ci nutriamo, sono reali i nostri istinti e le nostre voglie, i nostri appetiti e le nostre aspirazioni. Ma sono frutto di un inganno profondo, pienamente immateriale. E' questo il grande paradosso dell'umanità.
Crediamo di vedere, ma non vediamo. Crediamo di creare, mentre in realtà stiamo scimmiottando con noi stessi e le nostre aspirazioni. Siamo bambini che giocano con un cubetto di plastilina e crediamo di essere gli artefici del mondo.
Il risvolto della medaglia è proprio questo. Che in effetti lo siamo. Siamo artefici del nostro mondo, perchè vediamo ciò che vogliamo vedere, facciamo ciò che vogliamo fare, plasmiamo la nostra realtà a nostra immagine e somiglianza, perfino i nostri Dei sono dipinti, raffigurati, immaginati e venerati a immagine e somiglianza di noi stessi. Nella Bibbia è scritto che l'uomo fu creato da Dio a Sua immagine e somiglianza. Non vi sembra un tantino presuntuoso? Direi proprio di si... Addirittura lo vediamo incarnato in uomini, sì grandiosi e genuini, sì imperiosi segni della nostra grandezza, ma pur sempre uomini, lungi anni luce dall'essere Dei.
Non voglio offendere nessuno. Ma vedo in questa presuntuosa proiezione di sé, qualcosa di innaturale, di immaginario, di controproducente. Di mistificante.
La presunzione è magia. Magia umana. Chi riesce a sfruttarne i poteri fino in fondo è simile in amarezza solo ad una strega che ha stretto un patto indissolubile con Satana. Un potere tanto più potente e controproducente quanto ammaliante come una Sirena. Presumere qualcosa dà potere, seppur breve. Ma il potere a volte sazia anche a piccole dosi, come droga potente, di cui basta una misera quantità per raggiungere il climax dei propri sensi. Breve, ma intenso.
Presumere qualcosa è una sferzata di adrenalina spirituale, capace di trasformarsi in un tocco subliminante. E' sapere senza sapere. E' vedere senza guardare.
La presunzione di convincersi e voler convincere di aver capito qualcosa, senza nemmeno averle destinato il giusto tempo, è l'autostimolazione sessuale più antica nell'uomo. Non a caso nel gergo comune si può sentire talvolta espressioni del tipo “seghe mentali”, proprio per tradurre a parole una sensazione di autoorgasmo. Per altro il D'Annunzio, savio e grandioso, ce ne potrebbe parlare a lungo, e più compiutamente.
Presumere è sinonimo di potere, dunque. Un potere strano e ammaliante di cui ci dipingiamo il viso tutti i giorni, per sembrare più belli, per attrarre attenzione, per essere accettati, per dare l'impressione di essere superiori in qualcosa sebbene indefinibile.
Ma la presunzione, come tutti i vizi, ha la sua controindicazione. Come un farmaco porta dipendenza dopo un uso prolungato, così la presunzione assuefà i suoi consumatori, sicchè la spirale è sempre ascendente, fin'ancora alla morte. E così un uomo presuntuoso morirà presuntuoso.
La cosa singolare è che la presunzione marchia i suoi consumatori con un segno particolare e riconoscibilissimo. Un segno che può modificare vieppiù l'espressione del viso. Le sopraccicglia che si muovono inconfondibilmente verso l'alto con un moto di sfida. Incredibilmente, anche da morto, il presuntuoso, rimane in rigor mortis con le sopraccicglia alzate. Cosicchè se vi capitasse di guardare un defunto presuntuoso, ne riconoscerete la natura trapassata grazie all'attenta osservazione dell'angolazione delle sopracciglia.
Ma c'è qualcosa di più di questo semplice sollazzo che insieme ci siamo concessi.
Siamo tutti presuntuosi. E' la natura umana ad esserlo.
Presumiamo di poter plasmare la materia come meglio crediamo e riusciamo. E ciò anche se le conseguenze del nostro intervento sembrano produrre effetti devastanti e controproducenti al nostro stesso interesse alla sopravvivenza. Interesse del resto completamente scalzato, in una immaginaria scala di valori, dall'interesse economico, che è presuntuoso nella sua essenza.
Presumiamo, appunto in tema di denaro, di poter comprare ogni cosa, finanche l'anima stessa di una persona. Sostituendoci, niente di meno e con una presunzione spropositata, allo stesso Satana. Compratore d'anime accanito e infallibile da tempi immemori. Ma presumiamo di sostituirci a Dio stesso, diventando giudici e vendicatori, applicando sanzioni e brandendo espulsioni. Si perchè la presunzione ci fa pur credere di poter creare una Morale Universale da applicare a tutti, dimenticando che altri uomini, per cultura storica, accettano e tollerano una morale che non è meno Universale di quella dei primi, se ad Universale diamo il giusto significato di Umana e dunque particolare. E qui subentra una “guerra tra le morali” che sfocia ben presto in guerra tra gli uomini. Anch'io, adesso, sto facendo “della morale” e dal mio punto di vista prettamente personale, ammantandomi di qualcosa che non possiedo (vale a dire cultura) e utilizzando a mio favore una dialettica non poi così povera o poco convincente. Così assurgo a giudice delle umane vicende, con la presunzione, appunto, di poter discernere “la via di mezzo” per la pace interiore.
Niente di più lontano dalla verità. A mala pena riesco a convincere me stesso. Ma credo che ognuno, possa, in mezzo alla spiaggia delle proprie menzogne, spillare di tanto in tanto, qualche granello di verità.
Presumiamo tutti, dal primo all'ultimo. Pecchiamo tutti di presunzione.
La domanda è: chi ha stabilito che la presunzione sia un peccato?
Nel testo che state leggendo, io, senza dubbio. In moltissimi altri testi, moltissimi altri. Nella vita di tutti i giorni, tutti quanti.
Ce ne rendiamo conto, seppur inconsapevoli. Ci rendiamo conto che il più delle volte la nostra felicità è effimera, beffarda, con un risvolto non sempre piacevole. E proseguiamo per la nostra strada per raggiungere nuovamente e riprovare nuovamente quella sensazione effimera e intensa. E quelle uniche volte che riusciamo ad assaggiare un istante di Pura Felicità, immacolata da qualsiasi sozzura dei nostri desideri, tendiamo a ricordarla per tutta la vita, santificandola in Templi appositamente eretti nell'anima nostra.
La felicità diventa effimera, perchè effimera è la droga che l'ha generata. La presunzione, appunto.
Diventa sale, camuffato da zucchero.
Ci sentiamo felici per aver raggiunto un obiettivo. E raggiunto quest'ultimo ci sentiamo vieppiù insoddisfatti. Perchè? E perchè aspiriamo nuovamente ad un nuovo e più difficile obiettivo? Perchè abbiamo presunto, in modi inconsapevoli quanto reali, di poter raggiungere la pace interiore dando prova a noi stessi di essere capaci di qualcosa. Raggiungere un obiettivo significa accettare se stessi prima ancora di ricevere riconoscenza dagli altri e ci gloriamo interiormente di questa vanità. In verità però raggiungere un obiettivo voluto dalla nostra presunzione ci lascia svuotati, seppur pochi istanti prima di raggiungerlo ci sentivamo pieni di forza vitale ed energia elettrica. Le vibrazioni della nostra anima parevano illuderci e invece ci lasciano sgomenti.
Così non ci fermiamo mai, e nella nostra presunzione, crediamo che sia possibile andare avanti all'infinito, sfidando in questo inconsapevolmente anche la Morte. Crediamo che tutto possa procedere per sempre, che l'Uomo sia eterno, come eterno il Tempo. E presumiamo, e qui il peccato diventa davvero universale, che qualcuno ci abbia assegnato un posto speciale nella storia dell'universo. Non rendendoci conto, però, che abbiamo si un posto di primo piano nei destini della Terra, ma limitato ad una piccola parentesi nei recessi del tempo.
Fingiamo di credere che la nostra economia possa svilupparsi all'infinito, che le nostre scoperte tecniche evolversi per sempre fino ad aprirci le porte del viaggio interstellare, che la nostra intelligenza sia qualcosa che cresca e si evolve con la nostra storia ed in questo senso siamo portati a ritenere, presumendo ancora qualcosa, che le epoche passate abbiano conosciuto un'Intelligenza umana inferiore, se non solo in pochi e geniali individui che ancora oggi ricordiamo. Ma per il resto crediamo che nelle antichità della nostra storia si siano mossi individui più rozzi, istintivi e meno intelligenti di quelli che vediamo oggi agire nel mondo.
Niente di più falso.
L'Uomo è sempre uguale a se stesso. A cambiare è solo il suo modo di rapportarsi alla materia che ci circonda, a cambiare è solo la sua fantasia nel cercare combinazioni diverse, a capire qualche meccanismo fino ad allora ignoto.
Ma conoscere le cause di una malattia, non vuol dire scongiurare l'umanità dalla morte. Comprendere i meccanismi delle maree non può permettere all'uomo di controllarle. Conoscere i segreti della chimica può si dare la possibilità di manipolare la materia come mai prima, ma non può permettere all'uomo, assolutamente, di conoscere il segreto della Vita.
Eppure c'è qualcuno che crede di aver carpito anche questo. Mettendo mano nel codice che rappresenta la Vita, appunto. Decifrando, ma chissà per quali vantaggi, il DNA. E ancora una volta, vedete, potente, subitanea, impassibile e spietata, la vanità della presunzione, che da all'uomo la capacità di illudersi di essere tanto intelligente da poter creare la Vita dal niente, di manipolarla, di modificarla secondo capriccio, di migliorarla, di mescolarla, di diventare artefici in breve della creazione stessa.
Come può essersi così stupidi, invece!
Scoprire un segreto della nostra intima natura, non vuol dire innanzitutto carpirne il significato, ma intravederne la forma. Capire il DNA umano non significa comprendere il significato della sua esistenza, né tantomeno riuscire a darvi un senso proprio. Del resto nelle poliedriche attività umane, continuamente, un senso seppur personale, viene continuamente smarrito e acquisito daccapo, senza peraltro riuscire a comprendere fino in fondo la natura di tali considerazioni. Qualcuno potrebbe anche dare un senso alla propria vita, e quasi tutti lo facciamo, ma è pura illusione. Anche il più nobile di questi, quello di allevare i propri figli, se da un punto di vista naturale sembrerebbe l'unico vero candidato a dare un senso alla nostra esistenza, vale a dire la perpetuazione della specie, viene ad essere rinchiuso negli schemi abietti della vita organizzata dell'uomo. Una organizzazione che snobilita l'uomo di fronte appunto alla Natura nel suo complesso e gli stessi figli, luce e speranza dei genitori, si fanno partecipi di questo equivoco, vivendo la propria vita stando alle regole e alle condotte che la società umana, ahimè, si è data.
Sembra assurdo affermare qualcosa di simile, come sembra assurdo non scorgere le innumerevoli qualità dell'uomo e della sua intelligenza. E sarebbe senz'altro assurdo condannare in toto tutte le attività umane, dalle più incredibili alle più semplici. Ma tant'è. L'uomo, nel suo vivere quotidiano, perde il senso di ciò che è, lasciandosi posto ad una visione del tutto innaturale ed incolore, tinta solo da passioni veniali e rischiarata di tanto in tanto dai lampi di genialità che pur le appartengono.
Anche in questo, come non si può vedere, la presunzione, tutta umana, di aver capito, compreso e assoggettato a se la Natura nel suo complesso, sentendosi l'assoluto monarca del nostro pianeta, mentre in realtà resta schiavo di una materialità tutta fittizia e apparenza che fa di tutti noi dei ciechi brancolanti nel buio.
A dare senso ci hanno provato e ci provano le religioni, con tutto il loro carico di cultura e spiritualità che purtroppo però, ancora una volta, viene piegato a fini del tutto lontani dal vero spirito e essenza della Vita. Del resto come potrebbe essere altrimenti se tutto, nella vita dell'uomo, che assume carattere di Potere, viene ad essere inesorabilmente piegato alle logiche di un profitto del tutto materiale. La religione, qualunque essa sia, storicamente è stata costretta a venire a patti con la malvagia propensione dell'uomo ad abbandonare le questioni spirituali per quelle più tangibili e immediate della materialità. E seppur risplendente di alti valori, la religione, è sempre apparsa come un manto con il quale nascondere la più abietta e brutale natura umana.
Del resto non può non essere così quando, a seguire un credo religioso, siano, anche se in maniere diverse, quasi tutti gli esseri umani che vivono e muoiono su questa terra e questo da sempre, fin dalla nostra comparsa come esseri pensanti. Avere un numero così grande di proseliti, ha messo ogni religione di fronte ad un problema di Potere. E quando, nelle umane vicende, esiste questione di potere, ecco che a scomparire è tutto il resto e le migliori intenzioni fin da subito si trasformano in qualcosa di poco universale.
Perchè il potere è presunzione.
E se c'è un peccato davvero universale e che è destinato a condannarci come specie, quello è proprio la presunzione.
In questo scritto, anch'io, mi sono macchiato dello stesso peccato.
(Francesco Salistrari, 2009)
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