martedì 4 agosto 2009

Deriva totalitaria.


La separazione (o divisione) dei poteri è uno dei principi fondamentali dello stato di diritto. Consiste nell'individuazione di tre funzioni pubbliche - legislazione, amministrazione e giurisdizione - e nell'attribuzione delle stesse a tre distinti poteri dello stato, intesi come organi o complessi di organi dello stato indipendenti dagli altri poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario. (fonte Wikipedia)

Questa è la teoria classica della separazione dei poteri. Nella realtà i confini tra le varie attribuzioni e competenze dei poteri dello Stato non sempre risultano essere così marcati come dovrebbero. Nella stessa realtà, qualsiasi ordinamento giuridico e politico che non si configuri costituzionalmente con una separazione dei poteri, non può definirsi democrazia, ma rappresenta l'espressione di un governo totalitario, una dittatura.

A questi tre poteri, con una funzione storicamente fondamentale di critica nei confronti del potere costituito, va aggiunto quello che da molti è stato definito, appunto, il Quarto Potere: l'informazione. La stampa, le televisioni.

Analizzando dunque l'Italia di oggi, in base a questi principi, cosa dovremmo trarne in termini di un giudizio complessivo sulla democraticità del sistema?

In Italia, a causa di tutta una serie di “riforme” legislative che hanno minato non solo il funzionamento stesso della giustizia, ma anche la sua indipendenza, approvate da diverse maggioranze negli ultimi anni, si è venuto a creare una situazione abbastanza complicata e pericolosa. Se a questo si aggiungono i continui attacchi politici alla magistratura portati avanti dal Presidente del Consiglio stesso, dalla sua maggioranza, e dagli stessi partiti di “opposizione”, ecco come l'operato della giustizia italiana appaia fortemente condizionato.

I casi di “persecuzione politica” nei confronti di molti magistrati, rimossi, trasferiti, le cui inchieste sono state bloccate politicamente (De Magistris, Forleo, Castelli ecc.), i cui atti sono stati resi sterili da tutta una serie di leggi successive e retroattive, compreso l'indulto, sono l'emblema della Seconda Repubblica. Una repubblica su cui, tra le altre cose, pesa come un macigno l'ombra di un accordo fondante tra Stato e Mafia di cui, appunto dalle indagini, oggi si cominciano a conoscere i contorni. Come ha detto bene Marco Travaglio in un suo intervento recente, così come la Prima Repubblica era sorta sulle basi della strage di Portella della Ginestra (la prima Strage di Stato della storia repubblicana), così, a cavallo tra il 1992 e il 1993, dopo le stragi mafiose dei giudici di Palermo e gli attentati a Milano, Firenze, Roma, la stipula dell'accordo tra Stato e Mafia per un “cessate il fuoco” è il momento caratterizzante e iniziale della Seconda. Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che il partito di maggioranza relativa in Parlamento, Forza Italia, al governo quasi ininterrottamente dal 1994 ad oggi, impersonificato da Silvio Berlusconi, i cui trascorsi rapporti con la Mafia sono ben noti, è stato fondato da un personaggio chiave della politica italiana degli ultimi 15 anni, Marcello dell'Utri, condannato in primo grado a 9 anni per associazione mafiosa, si comprende bene lo stato di salute del nostro paese e si comprendono benissimo gli attacchi scriteriati, continuati, spudorati e letali alla magistratura italiana.

Detto questo, non si può non vedere come la continua ingerenza dei Ministri della Giustizia (Mastella, Alfano) nelle questioni di merito delle sentenze e degli atti di alcune procure e le continue “scomuniche” pubbliche di alcuni tra i più attivi magistrati italiani, nonché le sanzioni amministrative cui vengono sottoposti per questioni politiche, configurano una nettissima e indiscutibile influenza della politica, quindi del potere esecutivo e legislativo, su quello giudiziario. Una influenza che si prefigura come limitazione dell'indipendenza di uno dei tre poteri fondanti lo stato di diritto. Quindi una messa in discussione e in crisi della separazione dei poteri.

A tutto questo va aggiunto il progressivo esautoramento del Parlamento a favore del Governo, attraverso la prassi ormai inveterata dei decreti-legge e di quelli legislativi che ha progressivamente svuotato le Camere dal compito costituzionalmente loro assegnato, riducendole a meri organi di ratifica delle scelte del Governo. Ciò configura una situazione di forte squilibrio, nei rapporti tra i Poteri dello Stato, tutto a favore del potere esecutivo, in una cornice costituzionale e legislativa che invece afferma qualcosa di molto diverso.

La situazione appare quantomai più grave se si considera lo stato di semi-libertà cui sono costretti i mezzi di informazione a causa del quasi completo monopolio della politica, dell'economia (banche, assicurazioni), nella proprietà di giornali e televisioni. Il fatto che il Presidente del Consiglio attualmente in carica (al terzo mandato), Silvio Berlusconi, sia contemporaneamente proprietario della Mondadori spa (editore di giornali e libri), della Mediaset spa (proprietaria di reti televisive), di Pubblitalia (conctractor di pubblicità), e che i restanti giornali non direttamente controllati da lui sono in mano a partiti e banche, mentre le altre televisioni private sono in mano a Tronchetti Provera e la RAI, la televisione di Stato sia occupata militarmente dai partiti politici, offre un quadro, incompleto, ma esauriente dello stato dell'informazione italiana e del grado di imparzialità offerto ai cittadini da uno degli esercizi fondamentali per una democrazia. Perchè una democrazia senza informazione non è una democrazia ma una tirannia mascherata da perbenismo, perchè l'assenza di libertà nell'informare i cittadini sugli eventi cruciali che riguardano l'intero paese, rappresenta un handicap di straordinaria intensità capace di rendere un paese schiavo di una concezione ed una visione del mondo e di determinati interessi particolari che ne minano seriamente la sua democraticità e la sua libertà.

Ricordo gli anni immediatamente precedenti al crollo del comunismo sovietico, nei quali gli esegeti del capitalismo e del libero mercato nostrani, sbandieravano dai propri giornali e dalle proprie televisioni il proprio disgusto nel descrivere lo stato di libertà di stampa e di parola nell'allora Unione Sovietica. Ricordo benissimo la loro, giusta, indignazione e condanna del controllo militare da parte del Partito Comunista Russo su tutti i mezzi di informazione, sulla cortina di fumo lanciata su tutto l'Est europeo attraverso i maggiori quotidiani partitici e le televisioni di Stato. Ricordo magnificamente le parole di sincero e appassionato spregio di tutti i commentatori politici del tempo nel condannare la censura spietata dei regimi comunisti nei confronti non solo degli oppositori palesemente schierati, ma anche dei semplici cittadini critici nei confronti del potere costituito dello Stato e del Partito. Bene, ecco, adesso mi domando: dove sono questi signori, strenui difensori della libertà di stampa, della libertà di parola e di critica? Cosa dicono di fronte ai continui attacchi all'indipendenza della magistratura, agli atti di spregiudicata censura televisiva addirittura nei confronti della Satira (Guzzanti, Luttazzi ecc.) e del dibattito politico televisivo (Biagi, Santoro ecc.)? Dove sono tutti quei personaggi che rimanevano inorriditi nel commentare il mondo sovietico, sventolando ai quattro venti le nostre libertà, le nostre prerogative, le nostre magnifiche virtù democratiche?

Oggi queste virtù, queste prerogative, queste libertà, ci vengono smantellate sotto il naso ininterrottamente e a rischio è messa la democrazia italiana nel suo insieme, e nessuno di questi signori si è lamentato, si lamenta e si lamenterà. A parte le voci fuori dal coro (Grillo, Travaglio, Lopez, Gomez, ecc.) che sono prontamente distrutti prima che politicamente, personalmente con attacchi degni di funzionari dell'OVRA, in Italia assistiamo ad un silenzio assordante in merito a problemi e a situazioni, sviluppi, programmi e riforme, che stanno riducendo la nostra democrazia ad una cornice solamente formale, svuotata, svilita, resa impotente da sprechi, privilegi, soprusi, illegalità. Lo svuotamento degli istituti democratici non è un invenzione, è una minaccia alla nostra libertà e al futuro dei nostri figli.

Sarebbe bene riflettere più a fondo su questi temi.


(Francesco Salistrari, 2009)



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