di Francesco Salistrari.
Simili a sentieri inespressi.
Forse non c’è posto per noi, in questa vita, in questo mondo
di plastica. Dove anche le gocce d’acqua hanno natura industriale.
Siamo complici, certo. Fin dalla nascita. Generazione di
mezzo, di un tempo di mezzo. Un ponte che si apre su un futuro dove non c’è
posto. Non c’è spazio per le idee. Le idee esistono già, preconfezionate,
industriali anch’esse, simili a congegni meccanici con l’autodistruzione
incorporata. Replicate. Replicanti. Adatte ad un mondo di replicanti.
E’ come una cappa di piombo sulle coscienze. Pesante.
Inquinante. Tossica. Che schiaccia le menti e le costringe a pensare nell’unico
modo accettabile: in prima persona.
E sfugge un sorriso a considerare cosa possa essere una
persona. Un niente galleggiante, un pozzo di intenzioni inespresse e
inesprimibili, un accumulo di emozioni incondivisibili, atone, impalpabili come
vento.
Senza toccarsi non si può esistere. Non esiste senso per una
pelle che non si può accarezzare, non esiste senso per due labbra che non si
possono baciare.
Il cibo di cui si nutre l’anima, è intorno a noi. Sono quegli
occhi che ci guardano e ci chiedono un perché. Sono il sorriso di un bambino
che gioca. Sono la bellezza di quella natura dalla quale proveniamo.
Siamo acqua. Non plastica.
Ma restiamo esposti nelle vetrine, manichini, ben vestiti ed
eleganti, belli, perfetti, con gli occhi senza vita. Riflessi di un riflesso di
una grandezza perduta. Disgregata da un odio prepotente, viscerale, virale,
epidemico.
L’umanità è malata di sé stessa. Di quell’immagine che essa
stessa si è attribuita, unilateralmente, senza il coraggio di chieder permesso
a Dio, pur fingendo di pregarlo ogni giorno.
Il lato oscuro della Luna è il nostro mondo. Quello che ci
siamo scelti. Illuminato dalla nostra elettricità.
Non ci resta che pagare le bollette.
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